12 febbraio 2025

Il vescovo Oscar Cantoni nella Giornata del malato: “Accanto a loro noi impariamo moltissimo”

“Non è facile rimanere forti e affrontare con serenità i momenti di sofferenza, toccati nella carne dalla malattia, esperienza questa che fa parte, presto o tardi, della vita di tutti noi.  Non è facile essere “angeli di speranza”, così li definisce il Papa, neanche per coloro che seguono i malati in una corsia di ospedale, dove l’organizzazione sanitaria impone ritmi frenetici a medici e infermieri, spesso costretti a turni massacranti, così che appare difficile prendere il tempo per la relazione con il malato, che invece è componente essenziale della cura. C’è da osservare inoltre che accanto ai malati impariamo moltissimo. Da essi ci viene un forte esempio di accettazione della sofferenza e di gratitudine verso coloro che si prendono cura di loro”.

Così il vescovo di Como, cardinale Oscar Cantoni, ha introdotto ieri la sua omelìa alla messa celebrata all’ospedale “Sant’Anna” di San Fermo della Battaglia in occasione della Giornata mondiale del malato. Con lui, oltre a padre Alessandro Viganò, che si occupa della Pastorale della salute, anche don Giovanni Villa, dallo scorso autunno cappellano del nosocomio lariano, già parroco ad Abbadia Lariana.

“Come in ogni tempo di fatica e di prova - ha detto il prelato - ci è necessario un supplemento di fede per sperimentare l’aiuto di Dio, della sua grazia, della sua provvidenza, di quella forza che è dono dello Spirito. Inviando in missione i suoi 72 discepoli, come ci testimonia il Vangelo, Gesù li esorta ad annunciare che “è vicino a voi il regno di Dio”. Ogni epoca della vita è un’opportunità per incontrare il Signore. Anche nella malattia, pur sperimentando la nostra fragilità possiamo fare esperienza della sua vicinanza, della compassione di Dio, che attraverso Gesù ha condiviso la nostra sofferenza. È consolante la forza della fede che ci permette di sperimentare che il Signore non ci abbandona mai e ci dona la tenacia di affrontare le tempeste della vita, nella certezza di non essere lasciati soli. Siamo perciò invitati ad accogliere e a coltivare l’invito ad essere fedeli alla fedeltà di Dio. E’ Dio che ci è fedele. Il nostro compito è di rispondere a questa fedeltà”.

“Soltanto dalla fede nel Cristo crocifisso e risorto - ha quindi osservato il vescovo - ci viene la certezza che nulla, né morte né vita, né angeli e principati, né presente né avvenire, né potenze né altezza, né profondità né alcun’altra creatura, potrà mai separarci dall’amore di Dio, come ci ricorda san Paolo nella lettera ai romani. E da questa “grande speranza” deriva ogni altro spiraglio di luce con cui superare le prove della vita”

Quindi un’altra sottolineatura: “Stando al capezzale dei malati impariamo a credere e nello stesso tempo diveniamo messaggeri di Dio. Ci scopriamo un’unica famiglia, tutti sullo stesso piano, bisognosi di consolazione e insieme pronti a consolare. Da qui un ringraziamento a medici, infermieri, familiari, amici e sacerdoti perché con la loro opera e già con la loro stessa presenza sono un inno alla dignità umana, un canto di speranza”.

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