04 gennaio 2025

Ritratti mandellesi. "Laura Pelüca", si dedicò con amore alla crescita della sua numerosa famiglia

Quando ero bambina, ragazzina, giovane, i rapporti di vicinato fra quelli di Mandèl bass erano molto intensi. Ma tra la mia famiglia e quella della Laura Pelucchi lo erano in modo particolare, per diversi motivi: lei aveva alcuni anni più di mio padre, diversi dei suoi figli erano vicini per età alle mie sorelle e io alle sue prime nipoti, ci si poteva vedere e sentire reciprocamente dalle finestre. Ma credo che, su queste ragioni, prevalesse la stima per questa grande donna. Tante le motivazioni per essersela meritata. Ne illustro alcune, nella consapevolezza che ne potrebbero essere narrate molte altre.

Laura aveva sposato, nel 1923, Emilio Pelucchi - conosciuto quando per motivi personali si era trasferita in quel di Carlazzo - che dal primo matrimonio aveva avuto 12 figli, di cui l’unico sopravvissuto era Peppino. Laura con il matrimonio aveva accolto con sé Peppino, di qualche anno. La famiglia si era poi trasferita a Mandello, dove abitò fino alla morte di Laura in una casa dietro la torre e dove nacquero altri otto figli, due dei quali morirono presto.

Laura faceva la lavandaia ma, anche con questa integrazione al lavoro del marito, non era facile provvedere a tutte le necessità della famiglia. Dovettero scegliere addirittura, questi due sposi, di vendere la ricca dote di biancheria della prima moglie di Emilio. Salvarono soltanto una coppia di lenzuola, che ancora oggi testimoniano le vicende dei nonni. Ero ancora una ragazzina, ma ebbi la sorte di poter ascoltare un racconto della Laura, che fu per me lezione di vita. In quel periodo il figlio Peppino non godeva di buona salute. Una conoscente, incontrandola, le aveva detto: “Beh, dai, questo non è tuo figlio”. Commentando quelle parole, lei aveva detto a mia mamma: “Avrà anche creduto di consolarmi, ma non sa che male mi ha fatto. Per me il Peppino è mio figlio, non faccio nessuna differenza tra lui e gli altri che ho fatto io”. Qualche passo più in là io avevo ascoltato. Adesso, quando mi capita di leggere dissertazioni di pedagogisti, sociologi e filosofi sulla madre naturale e su quella adottiva penso sempre che poco o nulla ho da imparare da loro rispetto a quanto non avessi già appreso da questa umile grande donna che - con il marito e il figlio Peppino - aveva scritto, nel giugno 1923: “Perché i nostri figli abbiano a ricordarci”, con quel “nostri” che univa chi già c’era, nato da altra donna, a quelli che sarebbero in seguito nati da lei.

Altri episodi della sua vita mi sono stati raccontati dai miei genitori o, in questa occasione, da una sua nipote. Mi limiterò all’essenziale. Durante la guerra Laura aveva contribuito a nascondere, il 30 dicembre 1943, uno dei partigiani che in piazza Italia / Imbarcadero avevano avuto uno scontro con i carabinieri, uno dei quali era rimasto ucciso sul colpo. Fra i partigiani uno era stato arrestato, uno era stato ucciso sui tetti delle case a lago, altri - sul loro numero complessivo non c’è accordo assoluto - avevano subìto sorti diverse. Ma alla Resistenza lei aveva dato altri contributi, mandando sua figlia Lucia a portare cibo ai partigiani raccolti attorno al colonnello Galdino Pini, tra i quali c’era anche - nome di battaglia - “il Romanino”, che avrebbe poi sposato proprio Lucia Pelucchi.

Dopo l’8 settembre, un altro figlio di Laura, Angelo, era stato fatto prigioniero a Salò. Mamma Laura andò a fargli visita, calzando scarpe di cartone. Si mosse a compassione di lei un tedesco, che le fece dono delle sue scarpe e di un sacco di caramelle. Lei si portò a casa questo sacco - Angelo nel frattempo era stato mandato prigioniero in Germania - da cui di tanto in tanto pescava qualche caramella da dare ai figli, una a ciascuno di loro. Ma un giorno si trovò a constatare che il sacco era vuoto: ci aveva pensato Prospero, l’ultimo dei maschi.

A ulteriore riprova della lungimiranza di questa donna, so che lei aveva avviato le tre figlie minori a differenti attività femminili, perché potessero a vicenda scambiarsi reciprocamente le diverse competenze: Renata alla maglia, Teresa al ricamo, Lena al cucito. Proprio in questi giorni è mancata l’ultima di loro, Lena. Accanto al ricordo di questa altrettanta brava moglie, mamma e nonna, un’immagine: la “Laura Pelüca”, come tutti i vicini la chiamavano, che con il marito, gli altri figli e i suoi cari la accoglie: “Ti stavamo aspettando”.

Adriana Lafranconi

Nessun commento:

Posta un commento