27 dicembre 2024

Ritratti mandellesi. Rosina Monti e quel suo accogliere con il sorriso chiunque si rivolgesse a lei

Le poche parole di presentazione delle cinque donne e dei cinque uomini sul pannello del presepe allestito alla Canottieri Moto Guzzi di Mandello Lario sono probabilmente bastate per chi li ha conosciuti, non però per chi è più giovane. E per chi non ha vissuto a “Mandèl bass”. Anche per questo Adriana Lafranconi ha deciso di svilupparle, per delineare di loro un ritratto più preciso.

“Non ho la pretesa di presentare a tutto tondo queste persone, con i loro limiti oltre che con le loro virtù - dice - ma soltanto di evidenziarne quei tratti di “santità quotidiana”, per usare le parole di papa Francesco, per cui abbiamo scelto di collocarle in quel presepe. Da qui all’Epifania c’è tempo per questo progetto, appena nato? Non lo so, ma ci si può provare. E se qualcuno vuol dare una mano, aggiungendo informazioni, non c’è che da esserne contenti”.

Il primo “ritratto” è quello di Rosina Monti, che ha sempre accolto con il sorriso e la disponibilità chi si rivolgeva a lei per chiedere aiuto.

Mi piace “incorniciare” la presentazione di Rosina Monti fra due miei ricordi. Il primo mi vede bambina, 6-7 anni, non di più. Avevo avuto in dono da Gesù bambino - non sarebbe mai passato da casa nostra Babbo Natale, mai sarebbe arrivata la Befana, al suo posto i Re Magi - una bambola di celluloide: occhi azzurri e fissi, riccioli modellati nello stesso materiale del corpo, braccia e gambe che si potevano muovere grazie a un sistema di elastici con nodi alle estremità, infilati nella parte superiore degli arti, un accenno di ombelico. Ma bastava poco perché i nodi fuoruscissero dalle loro sedi e braccia e gambe si staccassero.

Mia mamma all’occorrenza reinfilava i nodi degli elastici nei fori che, in quel modo, ogni volta si facevano più ampi.  Finché il sistema non tenne più e io mi ritrovai con la mia bambola mutilata. Una disperazione! Mi disse la mamma un giorno: “Io adesso non so più cosa fare. Prova a andare dalla Rosina Monti, forse lei sa aggiustartela. Così, titubante e con poche speranze, anche perché fino a quel momento non ero mai stata a casa sua, me ne andai con la mia bambola a chiedere aiuto alla Rosina, che allora abitava in piazzetta 25 Aprile.

Ricordo che mi accolse sorridendo e che mise subito da parte il lavoro che la vedeva impegnata in quel momento, per cominciare a armeggiare attorno a un braccio della mia bambola. La rivedo ancora adesso riflettere sul da farsi, provare e riprovare fino a trovare la soluzione, di cui ora so solamente che aveva a che fare con la bambagia. Ho ben presente, invece, l’abilità delle sue mani mentre si muovevano attorno al mio giocattolo, per me prezioso, e soprattutto la leggerezza con cui rifeci i portici per tornare a casa, con la mia bambola tutta intera. La Rosina aveva consolato un’afflitta.

Il secondo ricordo mi rimanda a tanti anni dopo, quando la nostra mamma ormai non aveva più consapevolezza di sé. Confesso che non era facile, neppure per noi figlie, continuare a vedere la persona in quel corpo ormai incapace di tutto. In tanti venivano a farle visita e tutti, comprensibilmente, esprimevano compassione, commiserazione. Un giorno venne lei, la Rosina. Ciò che mi colpì, accanto alle sue parole, fu il tono con cui prese a rivolgersi a mia mamma: vi si respirava non la pena, non il compatimento, ma la gioia che può provare una donna che rivede dopo tanto tempo un’amica, una conoscente, alla quale vuole esprimere l’affetto nei suoi confronti. “Ciao, Teresina, allora… cosa mi dici? Stai bene con questo taglio di capelli…”. E sorrideva, mentre le parlava.

Sapeva bene, la Rosina, qual era lo stato della mia mamma, eppure aveva scelto di rivolgersi a lei come se fosse quella di un tempo. La sua presenza era molto più che l’andare a visitare gli ammalati delle opere di misericordia corporali. Era il rispetto per la vita, in qualsiasi condizione. Mi sono chiesta tante volte se e quale effetto possano avere avuto su mia mamma le espressioni della Rosina, senza ovviamente poterne trovare risposta. Su di me certamente l’hanno avuto, altrimenti non avrei fatto memoria di un episodio di brevissima durata, come in effetti fu. Non è la stessa cosa imboccare un anziano, lavarlo, vestirlo, medicarlo e continuare a vedere la persona anche dietro uno sguardo perso. Come la Rosina era stata capace di fare.

Tra questi due ricordi, una punteggiatura fitta di segni della capacità di questa donna nei confronti di chi avesse bisogno di una qualche forma di attenzione, di chi si rivolgesse a lei per realizzare qualche desiderio: la visita settimanale a un’anziana, Gianfranca, quando questa non era più in buona salute; l’aprire le porte di casa sua con regolarità a donne che si trovavano a vivere la realtà della solitudine, o che potevano fare esperienza della fatica del quotidiano in famiglia; la disponibilità a condividere con altre persone per due lire, proprio due, quanto riusciva a realizzare con le sue mani d’oro.

In tante case di Mandello sono entrate le presine di pannolenci della Rosina: la foglia con una coccinella, l’ochetta gialla con la cuffietta verde acqua, il papavero, il limone… Tante donne hanno riposto i loro ferri da maglia nei tubi che lei sapeva trasformare in altro, per esempio nel bassotto in cui una mia sorella ha raccolto per tanto tempo i suoi ferri da calza. E poi i pupazzi artigianali con cui si sono trastullati tanti piccoli. O le bambole di pezza per le quali sceglieva il nome proprio in relazione a come le era venuto il volto o l’aspetto complessivo.

Qualcuno, certo, a questo punto potrebbe sorridere, mettendo in evidenza lo stile naif dei prodotti citati, di un gusto oggi superato, o sottolineando che quanto narrato fa tanto “storie di Natale”. Possibile, certamente, anche questa interpretazione. A me piace di più pensare quanto faccia bene, a ciascuno di noi, trovare chi è capace di mettere da parte il proprio interesse per darti la precedenza in qualcosa che ti sta a cuore. Fosse anche una presina.

Adriana Lafranconi

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