30 dicembre 2024

Ritratti mandellesi dal presepe. “El Petülén”, capace di riorientare in positivo il suo spirito di iniziativa

Che ci fa “èl Petülén” nel presepe “de Mandel bass”? A questa domanda mi corre l’obbligo di una prima risposta fondata su dati di realtà. Nel nostro progetto, sulla barca che va alla Natività avrebbe dovuto esserci “èl Cechen de Debi”, per vari motivi: come dice l’espressione con cui veniva identificato, aveva abitato a “Villa Debbio”, confinante con la Canottieri Moto Guzzi, dove i suoi genitori per 50 anni erano stati portinai, negli anni in cui essa era appartenuta alla famiglia Foligno di Portogruaro.

In barca ci andava spesso, soprattutto per pescare e per quanto riguarda gli aspetti della santità quotidiana che i vari personaggi del presepe incarnano era stato capace di affrontare la vita con saggezza, anche per quanto riguarda gli aspetti problematici propri di ogni esistenza. Ma quando Osvaldo Morganti aveva ritagliato e piegato le bacchette di ferro che costituiscono la base della struttura di ogni statua, si era accorto di averle fatte corte; pur con i correttivi a cui io e Francesco avremmo potuto ricorrere nelle successive fasi della sua realizzazione, l’uomo sarebbe in ogni modo risultato di bassa statura. Impossibile contrabbandarlo per “èl Cechen de Debi”, alto, di bell’aspetto, tanto da essere chiamato anche “èl Cechen bèl”.

Con chi sostituirlo? I vincoli non erano pochi. L’abitare a “Mandel bass”, l’avere consuetudine con la barca, l’essere piccolo mi avevano portata a pensare a lui: al “Petülén”, all’anagrafe Luigi Bartesaghi, ma così soprannominato - mi è stato sempre detto - proprio perché piccolo. Ma c’era un però. Rispondeva al criterio di essere espressione di santità quotidiana?

Di lui sul pannello di presentazione del presepe sta scritto: “È stato capace di impegno per riorientare al positivo il suo spirito di iniziativa”, il che lascia intuire che nella sua vita non tutto sia stato ascritto alla santità quotidiana. Ma c’è qualcuno che di sé può dire di essere sempre stato santo? Il dubbio comunque c’era e una mandellese, nelle fasi di realizzazione del presepe, lo esplicitò: “Ma non avreste potuto metterci, che so, un Vincenzo Zucchi?”. Senza dubbio lo Zucchi ci sarebbe stato bene, eccome, per l’altezza morale, non certo per l’altezza fisica, essendo pure lui abbastanza alto. E poi non aveva consuetudine con la barca.

Ma questi aspetti pragmatici si sono rivelati assai meno importanti delle motivazioni che ci hanno portato a confermare la presenza del “Petülén” nel presepe. E in questi giorni abbiamo raccolto elementi per convalidare la nostra scelta. Alla messa di Natale nella chiesa di San Giorgio don Michele Gianola, dopo aver letto nel Vangelo la genealogia di Gesù, dopo aver sottolineato all’omelìa che gli ascendenti del Cristo non erano stati tutti stinco di santi, ha detto che Gesù non ha avuto timore di sporcarsi le mani con i suoi progenitori, così come non ha timore ancora oggi di sporcarsi le mani con i limiti dell’umanità intera.

Tutti, dunque, anche quanti stanno in questo momento leggendo queste righe, siamo accolti da Cristo nonostante i nostri limiti. Così è stato certamente anche per lui, “èl Petülén”.  Su Avvenire del 26 dicembre scorso padre Lucio, cappellano di Rebibbia, rispondendo a un’intervista sull’apertura della Porta Santa in carcere, dice: “È un giorno memorabile, ma il Giubileo non deve durare un giorno. Desideriamo che diventi occasione di cambiamento per i detenuti e per l’intera società, perché il carcere non sia più considerato uno scarto ma un luogo di riscatto. E perché si arrivi a un cambio di mentalità che deve riguardare tutti: l’uomo non è il suo errore”.

Do dunque il benvenuto in questo presepe anche al “Petülén”. Se lo merita per diversi motivi degli anni della sua vita in cui io l’ho personalmente conosciuto. Ne illustro alcuni.

Nella casa a cui si accede da contrada Rubaconte, attraverso un cortiletto dietro la gelateria Costantin, aveva abitato per un certo periodo, quando io ero ragazza, un’anziana signora, l’Ernesta, che aveva un qualche rapporto di parentela con il “Petülén”, che a lei si rivolgeva, se ricordo bene, con “zia Ernesta”. Soprattutto nella bella stagione, con le finestre aperte - con frequenza oserei dire quotidiana - dalla mia casa sul lato opposto di questa contrada lo vedevo o lo sentivo andare a farle visita, per portarle qualcosa di cui lei aveva necessità, chiederle se avesse qualche bisogno per l’indomani, fermarsi sulla porta per due chiacchiere, salutarla con affetto: tutti elementi che possono fare la differenza nella giornata di un’anziana, com’era allora l’Ernesta, perlopiù costretta a stare in casa, in solitudine.

Ma il rispetto verso anziani, e non solo, lui lo esprimeva anche mostrandosi spontaneamente servizievole: si offriva di portare una borsa della spesa pesante, affiancava chi aveva difficoltà nel camminare, scambiava anche soltanto una battuta spiritosa ma che poteva scaldare il cuore al passante occasionale. Era anche ecologista. L’ho visto molte volte disfare le cassette di legno della frutta e comporne i pezzi in modo ordinato, in attesa di impiegarle per accendere stufa o camino. Per lo stesso scopo, quando sulla zona si abbatteva qualche stratempo, appena possibile “èl Petülén” usciva con la sua barca, in cui caricava i pezzi di legno che fiumi e torrenti avevano scaricato nel lago, li portava a riva e qui, sempre in modo accurato, li metteva a asciugare lungo il muro di quella che, allora, si chiamava “la cà di Carizzón”, tra le vetrine del negozio di lane della Nene (dove adesso c’è l’Osteria Colombo) e la riva.

Era con la legna delle cassette e quella recuperata dal lago che “èl Petülén” accendeva il fuoco nel camino, in quello che allora era il suo rimessaggio di barche al piano terra della torre. Qui, non so più se il mercoledì delle Ceneri o il venerdì Santo, in ogni caso in un giorno di magro durante la Quaresima, preparava una bella polenta e pesci grigliati, per consumarli in compagnia di amici. C’è ancora chi ha presente il profumo di alborelle cotte alla perfezione che si diffondeva nelle contrade attorno. Ma anche in altri giorni dell’anno attorno a questo camino lui raccoglieva diversi amici, per due chiacchiere, un bicchiere di vino, un po’ di caldo. Qualcuno, in tempi più recenti, lo vedeva raggiungere verso mezzogiorno- fra le mani un piatto ben coperto, che conteneva qualcosa da mangiare - la casa dell’arciprete don Carlo Massina, che volentieri si sedeva a pranzo con il “Petülén”.

Una mia amica di lui conserva un caro ricordo. Lei e il fidanzato, uscendo dal ristorante a lago dove erano andati a prenotare il pranzo di nozze, si erano imbattuti proprio nel “Petülén”, gli avevano comunicato la loro decisione di sposarsi a breve e lo avevano invitato al matrimonio. Lui con piacere aveva accolto l’invito e, all’istante, si era allontanato per tornare poco dopo portando con sé, dentro una scatola, un orologio a pendolo di un certo pregio: il primo dono di nozze di questa coppia, che l’ha conservato con cura, anche perché ricordava loro la piacevole modalità con cui “èl Petülén” l’aveva dato loro.

In sintesi, mi pare di poter dire che lui sia stato capace di amicizia autentica, abbia compiuto diverse opere di misericordia corporali e assunto, se pur inconsapevolmente, atteggiamenti rispettosi dell’ambiente che papa Francesco raccomanda nell’enciclica Laudato si’.

Per concludere in modo ilare, aggiungo che la notte in cui il vento ha sferzato Mandello e il nostro presepe, “èl Petülén” è stato sbalzato dalla sua barca, con i remi ben saldi tra le mani, mentre il dottor Stea e il colonnello Pini venivano strappati dalle loro sedi. Ma mentre questi due al mattino da Osvaldo sono stati trovati a riva in pessime condizioni, tanto da richiedere complessi interventi d’urgenza per poter ritornare nel presepe, lui è stato recuperato integro, più lontano, sotto il terrazzo della Canottieri. Come era potuto arrivare fin lì, senza riportare danni di sorta? Io me lo sono immaginato roteare in aria, nel vento, con i remi che teneva stretti, che hanno svolto la funzione di elica, permettendogli in qualche modo di cadere in piedi. Così, mi pare, il volo della statua del “Petülén” nel vento con il successivo atterraggio può essere considerato metafora del complesso della sua vita: salvo anche dopo esperienze difficili.

Adriana Lafranconi

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