Il parroco: “Questa vostra comunità è costruita bene e devo ammettere che forse qui ho ricevuto più di quanto io abbia dato”
(C.Bott.) Quando aveva fatto il suo ingresso in paese, a fine settembre 2019, aveva portato all’altare un sacco dal quale aveva tolto, uno dopo l’altro, tre oggetti: un bastone, una palla e la ruota di una bicicletta. Il bastone per indicare che lui e la comunità che gli era stata affidata avrebbero dovuto camminare insieme, la palla per testimoniare la docilità (“Se tu sei bravo, dove tu vuoi lei va”, aveva detto) e la ruota formata da tanti raggi che verso il centro si avvicinano sempre più, proprio come dovrebbe fare una comunità cristiana, “partecipe di un progetto che guarda a Dio”.
Anche ieri, nella messa con cui si è congedato dalla comunità pastorale di Abbadia Lariana, don Fabio Molteni all’omelìa ha voluto racchiudere in alcuni simboli il senso dei suoi cinque anni trascorsi in riva al Lario. Innanzitutto un cartellone donatogli dai bimbi della scuola dell’infanzia con il disegno di tante mani. “Sono le mani di chi mi ha aiutato in questi anni e con le quali abbiamo costruito tante cose belle”, ha detto.
Poi il plastico del giardino della casa parrocchiale “dove nelle occasioni di festa abbiamo condiviso numerose esperienze e incontrato tanti volti, a partire dalle feste patronali di San Lorenzo e Santa Apollonia”. Quindi una maglietta con le firme di tutti i ragazzi che hanno partecipato a uno dei campi organizzati dalla parrocchia e il libretto di un matrimonio su sui era riportata la frase “Non camminare davanti a me, potrei non seguirti. Non camminare dietro di me, non saprei dove condurti. Cammina al mio fianco e saremo sempre amici”. Infine la tessera del Circolo di Abbadia Lariana, “dove tante sere mi sono fermato a giocare, a chiacchierare e a bere una spuma e dove mi sono sempre sentito bene accolto”.
“Ho constatato che questa vostra comunità è costruita bene - ha aggiunto il sacerdote - e devo ammettere che forse qui ho ricevuto più di quanto io abbia dato”. “Ma ciò che più conta - ha concluso - è che non è venuta meno la volontà di continuare il cammino intrapreso”.
Prima della conclusione della celebrazione eucaristica, che ha visto all’altare anche padre Gianfranco Picozzi, il saluto della comunità di Abbadia a don Fabio, con il rifermento all’“incubo Covid” vissuto dal parroco in prima persona e allo stop a ogni tipo di rapporti. “Lei ha guidato questa nostra comunità con mitezza, sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, pietà e timor di Dio - le parole rivolte al sacerdote - e l’ha condotta sulla via che porta alla salvezza. In questi anni abbiamo potuto conoscere e apprezzare il suo operato e il suo dedicarsi soprattutto ai giovani, che ha coinvolto nella vita di comunità affrontando con loro il percorso della crescita e dell’adolescenza”.
Poi altre constatazioni: “Ci ha fatto intravedere un modo nuovo di vivere la fede, di essere cristiani veri in famiglia, nel lavoro e nella vita di ogni giorno. Ha saputo svegliarci, farci riscoprire quanto è bello e straordinario stare insieme: bambini, adolescenti, giovani e adulti e l’importanza della dedizione agli anziani e agli ammalati. Le assicuriamo che il suo passaggio lascerà un segno indelebile”.
Infine una promessa: “Metteremo in atto i suoi consigli e tutto ciò che ci ha insegnato e cercheremo di rendere ancora più unita la nostra comunità”.
E’ stata poi la volta del saluto dell’amministrazione comunale. A porgerlo a don Fabio è stato il vicesindaco. “Non ci sono parole per ringraziarti, ma oggi la nostra comunità è un po’ triste. Sei stato un amico, una persona umile, concreta e sincera”, ha detto Roberto Gandin prima di dare lettura del messaggio indirizzato al parroco dal primo cittadino, assente per impegni di lavoro.
“Il tuo arrivo cinque anni fa aveva seguito di pochi mesi la mia elezione a sindaco - ha scritto Roberto Azzoni - Poi è arrivata la pandemia, con il peso di una realtà che non avremmo mai immaginato di dover affrontare”. E poco oltre: “Il nostro rapporto è sempre stato improntato alla volontà di servire al meglio la nostra gente e anche noi, insieme, siamo cresciuti”.
Al termine della cerimonia un lungo applauso. E l’inevitabile spazio anche alla commozione.
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