Il pilota, giornalista e scrittore legato al mondo della motocicletta e alla terra lariana scrisse: “Fantasie, preoccupazioni, entusiasmi e paure vorticano in quei mesi di vigilia come le moto che alle giostre si inseguono e si intersecano nel muro della morte…”
(C.Bott.) “Ci siamo, è l’11 luglio 1964 e dopo un brindisi nella sede del Vespa club mi avvio emozionato e confuso verso l’autostrada che porta a Trieste. Basta però l’aria della corsa per spolverarmi di dosso l’ansia che ha accompagnato le ultime ore. Ormai ci sono dentro e l’unico pensiero dev’esser quello di cavarmi d’impaccio come meglio posso”. Così scriveva Roberto Patrignani sul libro-diario del suo viaggio di 13.000 chilometri (in 85 giorni) da Milano a Tokyo in sella a una Vespa 150.
Era appunto il 1964, l’anno delle Olimpiadi giapponesi. E quel raid sarebbe rimasta l’impresa in solitaria più conosciuta (e oggigiorno assolutamente improponibile) del pilota motociclistico, giornalista e scrittore originario di Firenze, dov’era nato nel 1935, ma ben presto trasferitosi con la famiglia a Mandello Lario dopo avere abitato per alcuni anni a Milano.
Sono passati sessant’anni esatti dalla data di partenza di quel raid e raccontandolo Patrignani scrisse tra l’altro: “Fantasie, preoccupazioni, entusiasmi e paure vorticano in quei mesi di vigilia come le moto che alle giostre si inseguono e si intersecano nel muro della morte… Mi vengono i brividi ancora adesso al pensiero di un così lungo percorso…”.
Già, un percorso incredibile che lo portò a toccare Jugoslavia, Grecia, Turchia, Siria, Libano, Giordania, Iraq, Iran, Afghanistan, Pakistan, India, Thailandia e Malesia e che gli aveva fatto scrivere qualche anno più tardi, in riferimento a un autoscatto che lo ritraeva in Afghanistan accanto alla sua fedele Vespa: “Difficile che nell’Afghanistan di oggi sbocci un candido pensiero come quello da me espresso nel 1964, quando ebbi a dire che se quell’autoscatto avesse lasciato trasparire anche l’anima è proprio nello stato in cui mi trovavo quel giorno che vorrei presentarmi a San Pietro”.
Ma “una folgorazione è una folgorazione”, per dirla sempre con Patrignani. “Non si può rispondere a un messaggio pervenuto direttamente da ignota località celeste “Beh, sarà per un’altra volta…” - si legge in apertura del capitolo 4 del libro In Vespa da Milano a Tokyo - Nel 1963 ero stato trafitto dall’idea di recarmi in Oriente in motocicletta, mentre scendevo dal Santuario di Monte Sant’Angelo durante il periodo trascorso a San Giovanni Rotondo, ed eccomi qui, all’inizio del 1964, a impegnarmi con tutte le mie forze perché l’avvincente proposito venisse senz’altro realizzato”.
Fu pilota motociclistico, giornalista e scrittore, si è detto, Patrignani. Curò le pubbliche relazioni per Moto Guzzi, Brembo, Cagiva e Garelli, fu direttore sportivo di Suzuki Europa e della Garelli Corse e da corridore disputò 150 gare (nel suo albo d’oro figurano due Milano-Taranto, due Giri d’Italia, tre volte classificato al Tourist Trophy, primatista mondiale con una Guzzi 1000 e un Garelli 50).
In un altro passaggio del libro dedicato al raid Milano-Tokyo Roberto Patrignani, scomparso nel 2008, scriveva: “Qualche tempo dopo, mentre in un cinema di Milano viene proiettata la scenetta dell’arrivo, mi stupisco della risata generale che una mia risposta suscita nella platea. Quando infatti, dopo una serie di domande, l’intervistatore conclude chiedendomi “Lo rifarebbe un viaggio del genere?” senza pensarci ribatto convinto Beh, direi proprio di no”.
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