Lo scorso anno aveva pubblicato Quattro piante raccontano la vita rurale del Lario. In quel libro Roberto Pozzi, derviese, aveva descritto - o per meglio dire aveva fatto descrivere alle stesse piante - la loro storia e il contributo che esse hanno apportato non soltanto all’economia lariana ma più in generale alla cultura contadina fino agli anni ’50 del secolo scorso. Quali sono queste preziose piante amiche dei nostri antenati? Sono la vite, l’ulivo, il castagno e il gelso.
Di recente, sempre con “Bellavite” di Missaglia, ha visto la luce Autobiografie di undici piante. Nel libro sono sempre le piante a scrivere la loro biografia. Esse si presentano narrando la loro storia e raccontando come sono arrivate sul nostro territorio. Parlano dei loro problemi di adattamento, della vita nascosta delle radici e all’interno del tronco e della vita alla luce del sole delle loro chiome che svettano nel cielo, oltre che dei loro fiori e frutti.
Parlano anche della loro non facile convivenza tra le varie specie nel bosco e della loro lotta per la sopravvivenza. “Se per l’uomo la vita è una lotta - osserva Roberto Pozzi - anche le piante per sopravvivere devono combattere contro i loro nemici, o farseli amici. Esse devono convivere con altre piante e con gli animali, soprattutto con gli insetti e poi con l’uomo al quale offrono moltissimi doni”.
Nel libro intervengono ben undici piante. Prende la parola per primo il limone, che reclama di essere annoverato tra le piante più importanti del territorio. Il limone parla della sua utilità e, tra le altre cose, vanta di aver salvato la vita dei marinai della Royal Navy e quindi consentito la glorie dell’Inghilterra. Racconta come ha abbellito i giardini delle ville lariane, ma alla fine della narrazione si lamenta perché ora noi moderni l’abbiamo messo nei detersivi per pulire… i gabinetti.
Dopo il limone scrive la sua storia la rovere, una specie di quercia, antica regina dei boschi lariani. I suoi regali sono stati enormi al tempo dei Celti e dei Romani per le ghiande con cui venivano alimentati i maiali. Non si dimentichi, poi, che molti manoscritti sono giunti fino a noi grazie all’inchiostro ottenuto dalle galle formate sulle foglie della rovere. E poi quanti oggetti e utensili fatti di rovere, oggi purtroppo sostituiti dalla plastica! La rovere, però, ci è grata perché riusciamo a farla sopravvivere ancora per molti anni, nonostante la sua già proverbiale longevità, nelle botti che conservano le fatiche della vite.
La rovere ci parla dei grandi bottai del Lario del secolo scorso. Ci ricorda che alla sua ombra è iniziata la lunga storia dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’islam. Alla fine lancia un monito particolarmente ai nostri politici: vorranno costoro imitare la sua solidità e fedeltà ai propri princìpi, oppure preferiranno imitare la canna che si piega a ogni soffio di vento?
“Poi è il turno del fico, della betulla, del noce, del faggio, dell’alloro, del tiglio, del frassino, del pioppo e del larice - afferma sempre l’autore del libro - Il fico è fiero per aver offerto le sue foglie per i… tanga dei nostri progenitori e per i suoi frutti essiccati che finivano nella miascia o nelle bisciole caserecce. La betulla, amante della luce, ci parla della sua femminile leggiadria, ma anche della sua fortuna come simbolo del potere e della giustizia dei fasci romani e anche, purtroppo, di quelli degli imperialismi del secolo scorso. Il noce ha una lunga storia: veniva usato come giocattolo dai piccoli romani e lanciato agli sposi come simbolo di fecondità, ora sostituito dai confetti. Il faggio è molto loquace e racconta quanto è stato importante per i nostri antenati per ottenere carbone di legna, per la costruzione di quelle gigantesche trappole per uccelli migratori chiamate “roccoli” e per far bollire l’acqua nel paiolo sul camino”.
“Il frassino ci porta ai miti dei celti - aggiunge - mentre l’alloro alle glorie di Roma e dei dotti “laureati” e al sapore che le sue foglie donano ai nostri misultìn. Tutte queste piante sono orgogliose di parlarci dei pittori che le hanno ritratte in famosi quadri e dei poeti che le hanno cantate: dalla foglia frale di faggio del Leopardi ai pioppi descritti dalla poetessa Antonia Pozzi, dai tigli dei Carmina Burana alle betulle del lecchese Carlo Del Teglio”.
Così Roberto Pozzi invita tutti la sera di venerdì 24 maggio alle 20.30 a fare una passeggiata, comodamente seduti nella sala civica “Sankara” di Dervio, in questo ideale bosco di undici piante per conoscere la loro storia e le loro proprietà. E’ lui stesso ad assicurare che il giorno dopo, quando gireremo per i nostri paesi o saliremo sulle nostre montagne, potremo salutare come amici gli annosi tigli e ringraziarli per aver sanato con le tisane dei loro fiori tanti malanni dei nostri antenati. Ammireremo gli slanciati pioppi tremuli della riva sotto la cui ombra facevano un sonnellino i nostri pescatori, saluteremo gli svettanti larici con la testa tra le nuvole dei Roccoli d’Orla. Ci sentiremo ispirati a contemplare le leggiadre betulle sempre con l’abito da sposa. Osserveremo con gratitudine i noci che hanno saziato i nostri antenati in tempi di miseria e i fichi di alcuni orti. Ci innamoreremo dei limoni nei giardini di case e ville. Saluteremo con affetto le querce, i faggi e i frassini e ringrazieremo il glorioso alloro.
Autobiografie di undici piante è distribuito a Colico dalla libreria “L’omino d’inchiostro”, a Mandello Lario dalla libreria “Aquilario” e a Dervio dall’edicola Rita. Presto sarà anche nelle librerie di Lecco.
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