10 novembre 2023

L’addio a mamma “Gina”. La figlia scrive alla casa di riposo: “Tutto è vita e ogni esperienza è unica”

Luigia "Gina" Caletti vedova Taschetti (1932-2023).
 

Una vita fuori dall’ordinario, una malattia che non le ha mai spento il sorriso e la serenità, accompagnata dalla fede e dalla preghiera e sostenuta dall’amore dei familiari e dalle cure, dalle premure e dalla costante vicinanza che le figlie Maddalena e Monica non le hanno mai fatto mancare. Importanti e preziose sono state poi l’assistenza e l’amorevolezza in particolare di Elisabetta, infermiera di professione ma soprattutto nipote con il pregio di una rara sensibilità. Un amore grande, il loro, per mamma e nonna “Gina”. E un’esperienza di vita - quella di Luigia Caletti vedova Taschetti, morta venerdì 3 novembre alla casa di riposo di Bellagio all’età di 91 anni - destinata a trasmettere più di un messaggio, a lasciare un’eredità morale della quale fare tesoro.

Ha sempre vissuto a Chiuso di Lecco, mamma “Gina”, non distante dalla piccola chiesa dedicata al beato Serafino Morazzone, che il cardinale Schuster ebbe a definire “il novello Curato d’Ars” e al quale lei era particolarmente devota, come del resto molti residenti nel rione cittadino. Soltanto da alcune settimane Luigia Caletti, il cui rito funebre si è svolto lunedì scorso nella chiesa parrocchiale dello stesso quartiere lecchese intitolata a Maria Assunta, era ospite presso la Rsa della “perla del Centrolago”. Un’ultima esperienza di vita che ha ispirato alla figlia Monica, attuale sindaco di Fusine, in Valtellina, le profonde riflessioni affidate a una lettera aperta inviata alla direzione, alle operatrici, alle educatrici e a tutto il personale della struttura bellagina. Uno scritto significativo fin dal titolo - “Tutto è vita” - capace di racchiudere tanti messaggi d’amore. E di speranza.

TUTTO E’ VITA

Un’esperienza unica perché ogni vita è unica. Quando viene vissuta con un genitore anziano e malato in una casa di riposo e lo si accompagna verso l’ultimo viaggio l’esperienza racchiude tutto quello che l’animo umano può contenere: dolore, sofferenza, paura, rabbia, senso di impotenza. Questo appartiene a chi vive tutto ciò in prima persona, di riflesso viene vissuto dai parenti e, nelle sue sfumature variabili, dal personale medico e da tutti gli operatori della Rsa.

Mia mamma se n’è andata quando era ricoverata in casa di riposo a Bellagio. E’ un fatto che rimarrà per sempre. Dove è morta la tua mamma? Era a casa? Questa è la domanda che tutti ci sentiamo fare quando viene a mancare una persona, soprattutto se anziana.
Questo rende la casa di riposo un luogo sacro, dove si incontrano gli aspetti ordinari della cura alla persona nei suoi bisogni fondamentali e concreti con gli aspetti che vanno oltre l’ordinario perché l’esperienza quotidiana si intreccia con il bisogno di significato, nel momento in cui si perde l’intimità di una casa e ci si avvicina alla morte.

Non è un caso (mi si passi il giro di parole) che sia stata chiamata proprio casa di riposo. La casa richiama al calore, alla sicurezza, al senso di protezione. Dove è morta la tua mamma? Era a casa? Come è difficile rispondere a questa domanda.

Noi siamo entrate in casa di riposo e dico di proposito “noi” perché insieme alla mamma siamo entrate anche noi figlie, noi parenti con tutto il bagaglio di aspettative e paure conseguenti. Un incontro con una realtà non desiderata, obbligata da uno stato di salute che non ci ha permesso di proseguire la cura della mamma da casa. La casa, quella vera.


E’ stato un incontro con tante persone diverse, volti nuovi, un luogo sconosciuto. E’ stato anche un processo in continuo divenire, sempre intenso, sempre in tensione. Affidare le cure della mamma a persone estranee che sicuramente non l’avrebbero capita, curata e accudita come facevamo noi è stato traumatico. Ora mi chiedo se è così anche per chi lavora in casa di riposo. Mi chiedo cosa prova, cosa e come vive un operatore della struttura quando entra un nuovo ospite.

Ritorna la ricerca di dare un senso a questa esperienza. Un’esperienza è tale quando diventa conoscenza, consapevolezza piena di ciò che si è vissuto. Quando l’esperienza diventa un passo ulteriore nella crescita di sé, nella realizzazione personale come essere umano e si esprime nei diversi ruoli che ognuno è chiamato a ricoprire. Allora si chiama esperienza, allora emerge il valore.

Voi, proprio voi operatori della casa di riposo, rappresentate molto più di quello che fanno le vostre mani, anzi le mani diventano una semplice conseguenza di quello che è il valore di ogni vostro gesto, sguardo, parola.

Chi lavora con le persone, soprattutto quando sono fragili perché anziane e malate, ha l’opportunità di arricchirsi di umanità. Non è poesia prendersi cura di una persona che non ha più il controllo delle sue funzioni corporali o cognitive, non è questione di stare calmi quando la pressione del lavoro aumenta, non è nemmeno questione di soldi. Voi siete lì in quel momento, in quel preciso momento dove la persona è spogliata ed è nelle “vostre mani”. Voi avete un potere che inevitabilmente usate, è vostro compito usare. Questo è il vostro vero lavoro, la gestione del potere.

Ricordate il dolore, la sofferenza, la rabbia, la paura, il senso di impotenza? L’esatto opposto del potere e forse anche voi a volte vi sentite arrabbiati, impotenti e, nel vedere il dolore altrui, emerge il vostro personale dolore di esperienze vissute, subite e di ferite aperte.

Parlando con qualcuno di voi è stato così. Ognuno porta la propria storia e quando si confronta con il dolore diventa un unico sentimento da cui staccarsi perché professionisti, con cui empatizzare per poter comprendere l’altro. Un equilibrio difficile, un lavoro costante, un’esperienza entusiasmante se vissuta nella consapevolezza che lì, in quella casa di riposo, la vita va all’essenza, non ci si può nascondere.

Allora il percorso di avvicinamento alla morte diventa una scoperta. Non soltanto sofferenza e paura, ma urgenza di un rapporto autentico, profondo. Non c’è tempo da perdere. I vecchi non hanno più tempo. Questo è quello che è successo a me, un processo in divenire, uno svelamento.

Ci sono state diverse fasi, quello che non è mai mancato è stato il desiderio di trovare una strada comune. Non è stato facile. La casa di riposo è una realtà complessa. Da qualunque parte la si guardi. Questo è importante riconoscerlo. Quello che conosco possiedo, lo dice una legge energetica. Conosci, possiedi, trasformi recita la mia formazione in psicosintesi. Questo è quello che è avvenuto. Ci è voluto il giusto tempo, ci è voluto il giusto atteggiamento, c’è voluta la volontà di bene. Da entrambe le parti.

Mia mamma è stata la protagonista di questa esperienza. Ci sono stati giorni in cui ha sofferto e se mi soffermo a pensarci richiamerei la rabbia e verrebbe spontaneo scaricare la colpa su qualcuno o a qualcosa, è facile e allenta la tensione. Ci sono stati giorni in cui avrei voluto incendiare la casa di riposo. E poi ci sono stati i giorni in cui ho osservato il vostro lavoro con un atteggiamento di comprensione e di accoglienza. Mia mamma ha vissuto abbastanza per darmi il tempo di conoscere, possedere e quindi trasformare il mio sguardo nei confronti di una realtà come quella delle case di riposo così come sono generalmente ideate.

Mia mamma è stata una donna straordinaria, lo è stata la sua vita. Se tutto ha significato, e noi abbiamo sempre creduto in questo, allora è stato un dono reciproco che lei sia mancata proprio nella casa di riposo a Bellagio. Non perché sia perfetta, non lo è, ma perché tutto è vita e trova compimento quando l’esperienza ci migliora come esseri umani, e l’ordinario diventa straordinario. E la vita si rinnova anche nella qualità di ogni vostro gesto, sguardo e parola.

Questo è l’ultimo insegnamento che ho appreso grazie all’esperienza che mia mamma mi ha permesso di vivere.

Monica Taschetti

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