Lo psicologo e
psicoterapeuta dialogherà in sala civica con l’avvocato Grazia Scurria. L’incontro
è all’interno della programmazione di “Yeah! Festival del libro per ragazzi”
All’interno
della programmazione di “Yeah! Festival del libro per ragazzi” domani, martedì 2
maggio, presso la sala civica in via Marinai d’Italia a Bellano (inizio alle
ore 21) si terrà un incontro con Alberto Rossetti, psicologo e psicoterapeuta, il
quale parlerà del suo ultimo libro dal titolo La vita dei bambini negli ambienti digitali (edizioni Gruppo Abele).
A condurre l’incontro sarà l’avvocato Grazia Scurria.
Una
recente indagine condotta da Kaspersky, azienda specializzata nella produzione di
software progettati per la sicurezza informatica, ha evidenziato come il 55%
dei bambini dai 5 ai 10 anni disponga di un dispositivo personale. Il 74% ne
utilizza uno anche mentre si trova in compagnia di amici e coetanei.
Un
uso ampio che però non è scevro dai rischi considerato che il 36% dei più
piccoli in quella fascia d’età ha già ricevuto messaggi da sconosciuti o inviti
a giochi pericolosi, mentre il 40% sarebbe disponibile anche a fornire
informazioni personali ad amici conosciuti soltanto virtualmente.
Le
tecnologie e i dispositivi digitali fanno parte delle nostre vite, anche di
quelle dei bambini. Ed è bene che sia così: l’utilizzo della rete e delle
opportunità di conoscenza che ne derivano, purché in contesti controllati e privi
di rischi, è un diritto a cui tutti dovrebbero avere accesso.
A
partire da questa premessa si svilupperà la riflessione proposta
da Alberto Rossetti, il quale afferma che la relazione tra bambini e
bambine, da un lato, e l’uso dei dispositivi tecnologici dall’altro non ha
ragione di essere demonizzata. Occorre indagare in che modo i più piccoli vi hanno
accesso nelle loro vite, quali significati sono in grado di attribuirvi e quali
no, e con quali conseguenze sul mondo delle relazioni e sullo sviluppo.
Ma
i bambini sono sempre più spesso anche i protagonisti del racconto che i loro genitori
portano quotidianamente in scena sui social network. Fino a che punto è
corretto che gli adulti condividano pubblicamente contenuti riferiti ai figli? In
questa pratica, nota con il nome di sharenting,
il bisogno di raccontare l’esperienza di genitorialità si piega alla logica dei
like, delle visualizzazioni, dunque del mercato. E i figli rischiano di
diventare un contenuto come tanti, che scorre sulle bacheche di tutti noi,
perfetti sconosciuti.
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