Dal Mozambico,
sua terra di missione, don Filippo Macchi invia questo scritto-testimonianza agli amici e alle
comunità lariane:
Una
parola che nei primi mesi di Mozambico mi irritava molto era “ainda”. In
portoghese significa ancora, quando è pronunciata da sola significa “ancora
no”. Alcuni esempi: “E’ pronto quel documento?”, ancora no. “E’ arrivata la
risposta a quella mail?”, ancora no. “Sappiamo cosa è successo all’animatore
parrocchiale che era tanto preoccupato di risolvere un problema nella
comunità?”, ancora no.
E ancora, ti trovi ad aspettare (mozambicani, campioni
olimpici nell’attesa agli sportelli) o ti è ancora impossibile dare per risolta
una situazione che sembrava chiusa. Oppure ti trovi a pagare qualcosina in più
perché i prezzi sono cambiati, i termini sono scaduti, o altro.
Questo
“ainda” mi scatenava grandi sospiri, più un altro ritornello imperdibile:
pazienza! La pazienza è davvero merce preziosa e vitale qui, se si perde per
strada si vive come disperati incattiviti, perché nessuno ti dà retta se
sbraiti e pretendi, magari ti danno ragione ma come si fa con i matti.
Nelle
ultime settimane sto notando di più, e spesso mi affiora alle labbra nelle
conversazioni, un’altra espressione: “ainda bem”. Ancora bene, letteralmente, o
si potrebbe tradurla “almeno questa cosa va bene”.
Si
è forata la ruota, ma almeno eravamo vicini al meccanico che ha tappato il buco
con la gomma fusa; l’incontro è iniziato in ritardo, c’era poca gente, ma
almeno lo abbiamo fatto; il bancomat si è mangiato la carta di credito e ho
passato tutta la mattinata in fila, ma almeno me lo hanno ridato senza farmi
pagare; alla messa c’erano quattro gatti, ma almeno abbiamo capito il problema
che c’era sotto. Nel mese di marzo ci sono state inondazioni in tutto il Paese,
nella nostra zona è piovuto tanto ma senza i danni a case e persone che avevamo
visto l’anno scorso. Il raccolto è rovinato, almeno qualcosa ha resistito.
Una
storia da “ainda bem”, che mi è capitata in questo mese. Ho sempre avuto due
professoresse di macua, due gemelle di 16 anni senza peli sulla lingua,
semplici e solari, che ci venivano a visitare in casa e mi hanno fatto
compagnia in alcune visite alle comunità di Mirrote: si chiamano Lucia e
Luciana, di Namapa, famiglia musulmana, all’ultimo anno di catechesi per
ricevere il battesimo. Da gennaio hanno diradato le visite, si faceva vedere
soltanto Lucia, che non spiegava mai perché mancava la sorella. Diceva che era
malata, verso Pasqua abbiamo capito che era una malattia di quattro mesi:
Luciana aspettava un bambino e per questo solo a Pasqua si è fatta vedere in
chiesa, nascondendo la pancia con un vestito ben stretto.
L’abbiamo
accolta a braccia aperte, dicendole che non si deve vergognare di niente, che
sta custodendo il tesoro prezioso di una nuova vita e che in chiesa c’è posto
per lei, anche se per il battesimo dovrà aspettare. E’ un bene un’adolescente
incinta di un bambino che probabilmente sarà senza padre? Chiaramente non lo è,
ma potrebbe andare peggio: qui purtroppo l’aborto è una realtà consolidata e le
pratiche di contraccezione selvaggia stanno facendo breccia nella corazza della
morale tradizionale.
Dunque
sto passando da “ainda” a “ainda bem”: non so cosa sta maturando in me, se è la
rassegnazione tradizionale africana o se è la speranza cristiana. Mi auguro che
sia la seconda e che i miei occhi siano puliti nel riconoscere il bene che c’è
e che restino aperti contro il male che si mette in mostra in questa sempre
nuova, sempre sorprendente (a volte terribile) realtà.
Ringrazio
tutti voi per il sostegno che mi date: non solo quello economico, ma la voglia
di conoscere cosa faccio e come sto. Più la preghiera: la benzina che ci
permette di andare avanti! Soffro ancora un po’ la solitudine, ma se lo Spirito
Santo fa la sua parte qualcosa si muoverà.
Don Filippo
Bella lettera. Il Mozambico è proprio così e anche molto di più.
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