Sul fenomeno
dell’immigrazione l’alto prelato dice: “Qualcuno lo interpreta come l’invasione
dei musulmani, quando invece la gran parte delle persone che giungono da noi
sono cristiani, magari anche più contenti di noi. E allora sotto i nostri occhi
dobbiamo scorgere qualcosa di nuovo e non di catastrofico”
(C.Bott.) “Questo incontro
è per me motivo di grande emozione perché profuma di amicizia. Monsignor Mario Delpini
guida la diocesi di Milano con una dedizione instancabile, vivace e creativa e
averlo con noi dà gioia”. Don Marco Malugani, parroco di Lierna, ha introdotto con
queste parole l’ultimo incontro vicariale del cammino di Quaresima che si è
tenuto ieri sera al teatro “San Lorenzo” di Mandello Lario.
“Sono
venuto volentieri anche perché amo il vostro lago”, ha premesso l’arcivescovo
di Milano. “E poi - ha aggiunto con una simpatica battuta - svolgere il proprio
ministero a Milano di per sé è facile perché la diocesi è talmente grande che
sono gli altri a far tutto e così se anche manca il vescovo non se ne accorge
nessuno”.
Quindi
i primi riferimenti al tema della serata, che verteva sulla missionarietà, sulla
sinodalità e sulla ministerialità. “Parole quasi magiche - ha detto l’alto
prelato - anche se io ai sostantivi tronchi, con l’accento sull’ultima sillaba,
preferisco gli aggettivi”.
Poi
le riflessioni iniziali sui comportamenti e sugli atteggiamenti da assumere di
fronte all’inedito. “C’è un modo di affrontare determinate situazioni, così
come i contesti culturali e religiosi, che è pregiudizialmente critico e
incline al malumore - ha affermato - eppure noi siamo la gente del Vangelo e
dovremmo essere un po’ più cristiani anche nel giudicare quanto sta accadendo”.
E
allora ecco un riferimento a papa Francesco, “che a questo riguardo ha molto da
dirci e che vuole che noi siamo il popolo della gioia e non del lamento”.
Poi
un accenno al fenomeno dell’immigrazione. “Qualcuno lo interpreta come l’invasione
dei musulmani - ha ammonito - quando invece la gran parte delle persone che
giungono da noi sono cristiani, magari anche più contenti di noi. E allora
sotto i nostri occhi dobbiamo scorgere qualcosa di nuovo e non di catastrofico
e non vedere soltanto quello che non ci piace”.
“C’è
un modo di affrontare l’inedito - ha aggiunto monsignor Delpini - che sa
riconoscervi la grazia di Dio e farne motivo di incoraggiamento e di
esortazione lungimirante. C’è uno sguardo di fede che sa essere intraprendente
e che sa cercare collaboratori anche in persone improbabili”.
Quindi
alcuni interrogativi, alla luce di queste considerazioni: come sarà la Chiesa
di domani? Ci saranno forze nuove per la missione oppure invecchierà? E qual è
l’inedito della vita della Chiesa nel nostro tempo? In definitiva, quale Chiesa
si vuole costruire e che tipo di cammino stiamo facendo?
Addentrandosi
nel concetto di missione, l’arcivescovo di Milano ha esortato a non
scoraggiarsi, “anche perché - ha detto - siamo chiamati a obbedire al mandato
affidatoci dal Signore, sapendo che Lui è sempre con noi. Allora non dobbiamo
provare imbarazzo nel parlare di Gesù anche a scuola o nei luoghi di lavoro,
pur nella consapevolezza che in tal modo ci si può esporre a qualche fallimento”.
Infine
alcune riflessioni sulla possibilità che le diverse generazioni possano
incontrarsi nella Chiesa, così come le diverse provenienze e le diverse
sensibilità. “Diventare adulti vuol dire assumersi responsabilità, ciascuno nel
proprio ruolo - ha ammonito monsignor Delpini - e le lamentazioni delle mamme,
dei papà e dei preti possono scoraggiare il desiderio dei giovani di diventare
madri, padri o sacerdoti”.
“Si
deve perciò trovare un modo - ha concluso l’arcivescovo - per far sì che l’incontro
tra le diverse generazioni diventi una comunione che renda desiderabile per un
giovane l’idea di diventare adulto e di mettere mano all’impresa di aggiustare
il mondo senza complessi di inferiorità, senza vergognarsi, senza presunzione
ma con rinnovato vigore e con nuovi pensieri”.
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