La ex docente
mandellese Adriana Lafranconi: "Una scuola flessibile, capace di rispondere
alle diverse esigenze dei suoi utenti, richiede certamente insegnanti
competenti, ma non soltanto"
Innanzitutto i fatti. A pochi giorni dalla festa del papà organizzata in una scuola dell’infanzia statale di Viareggio cinque o sei genitori lamentano con la dirigente scolastica che quella progettata è “un’esperienza discriminatoria” perché i loro bambini, che non hanno il padre, nel contempo sarebbero stati mandati a svolgere un’altra attività. Risultato, la festa viene annullata.
Come
è facile intuire, si scatenano le polemiche fra chi concorda con la decisione
della dirigente scolastica e chi la contesta. Da una parte la sottolineatura, a
partire dalla dirigente stessa, che non esiste più una famiglia modello e che è
quindi opportuno organizzare diversamente e con modalità differenti questa festa, così che vi possano
partecipare tutti i bambini,
accompagnati dal papà e dalla mamma, oppure da un nonno o da uno zio.
Abbiamo
chiesto cosa ne pensa al riguardo Adriana Lafranconi, mandellese, ex insegnante
e cultrice di pedagogia. "Sono al corrente dell’accaduto - dice - e la prima
domanda che mi sono posta di fronte alla nuova modalità proposta per l’organizzazione
della festa è stata: in tal caso come la chiamiamo? Festa della famiglia? Ma a quel punto siamo sicuri che non ci sia qualche altro genitore pronto a
insorgere contro un’esperienza così definita?
Il nichilista, si sa, è sempre dietro
l’angolo".
"Dall’altra - aggiunge - una rosa di motivazioni differenti. C’è chi sottolinea che
l’annullamento della festa abbia penalizzato i papà che si erano organizzati
per essere presenti, tra i quali anche padri separati. C’è chi fa presente che
è stata negata la possibilità di stare di più con i propri figli ai papà che
per lavoro non hanno molto tempo da passare con loro, come se costoro non
potessero scegliere di ritagliarsi uno spazio a ciò dedicato indipendentemente
dalle proposte della scuola. E poi c’è chi fa enfasi sul rischio, per il futuro,
di annullare altre feste che coinvolgono le famiglie, per il rispetto delle
minoranze, esattamente come accaduto in occasione del Natale".
Sarebbe però
opportuno anche pensare ai bambini…
“Certamente
sì. Fortunatamente, infatti, c’è qualcuno che pensa ai piccoli e al loro
disorientamento di fronte a una festa, indiscussa fino al giorno prima e improvvisamente
annullata, e auspica la ricerca della composizione, dell’armonia. A loro, e non
soltanto a loro, pensa ad esempio Massimo Gramellini che nel suo Caffè di mercoledì 15 marzo sul Corriere della Sera a proposito di
questo fatto di cronaca scrive: “Il movente è nobile, l’esito rovesciato: per
non far soffrire i bambini senza padre si fanno soffrire quelli che volevano
trascorrere qualche ora in classe con i padri. Si obietterà che la sofferenza
dei secondi non è paragonabile a quella dei primi. Però, a forza di eliminare
ogni cosa che possa anche solo lontanamente far soffrire qualcuno, si finisce
per far soffrire un po’ tutti e per non lasciare in piedi più nulla. Nessuna
festa, opera d’arte, memoria storica. Mi spaventa chi pretende di applicare
alla vita quel principio di unanimità che ha ridotto all’immobilismo le
istituzioni (…). La condizione umana è fin dall’infanzia una mescolanza di
piaceri e sofferenze che andrebbe spiegata e accompagnata più che rimossa a
colpi di divieti”. Un’affermazione toccante, quella di Gramellini, che non
tralascia una nota autobiografica, ricordando che se anche la sua maestra aveva
inteso proteggerlo dal dolore per la perdita della mamma, strappando dal libro
di lettura tutte le pagine dedicate a questa figura, all’uscita da scuola lo
aspettava comunque la sua sofferenza, perché era l’unico a non avere la mamma
ad aspettarlo”.
Siamo allora un
po’ alle solite e cioè che quel che più conta sarebbe poter fare affidamento su
docenti validi e preparati?
“Sulla
necessità della spiegazione della complessità della vita in generale e della
famiglia in particolare ci sono in effetti altre voci che sottolineano come ciò
richieda maestri capaci, pazienti e competenti. Che in quanto tali, aggiungo
io, dovrebbero cominciare a far capire che non esistono “bambini senza papà” e che
le cose vanno chiamate con il loro nome.
A me pare che fra tutte le voci sia passato abbastanza sotto silenzio un
dato che è invece a mio parere sostanziale: se i bambini “senza papà” vengono
mandati a fare un’altra attività mentre i compagni “con papà” festeggiano,
significa che la festa è stata organizzata durante l’orario scolastico. Fin
dalla programmazione, conoscendo la realtà delle famiglie di quella scuola, non
era proprio possibile pensare a una sua diversa collocazione oraria, oltre la
consueta giornata scolastica? Diverso è mandare pochi bambini di una sezione a
fare altro rispetto a chiudere come solito la giornata scolastica per tutti,
con la possibilità per gli interessati di ritrovarsi per festeggiare in un
altro orario, di tardo pomeriggio, o nella mattinata del sabato. Dirigere una
scuola è complesso, ma è abbastanza triste constatare che la dirigente scolastica
in questione abbia dovuto aspettare le rimostranze di un manipolo di genitori
per accorgersi che qualcosa nell’organizzazione non era andato per il verso
giusto e per annullare ciò che prima era stato progettato”.
E se invece la
dirigente aveva visto questo limite ma non aveva trovato insegnanti disposti a
un’attività oltre l’orario? O se i maestri erano disponibili a questa
flessibilità, ma non c’erano i fondi per riconoscerla sul piano economico?
“E’
un dato di fatto che, come dice proprio la dirigente scolastica, la famiglia
odierna non sia più quella di 50 anni fa. E’ consapevolezza di tutti che il
contesto scolastico sia oggi molto più eterogeneo di un tempo. Come si può
allora pensare di rispondere a questa diversificazione dell’utenza con proposte
sostanzialmente imperniate sull’uniformità, corretta appena appena con qualche
azione di maquillage? Ma una scuola flessibile, capace di rispondere alle diverse
esigenze dei suoi utenti, richiede non soltanto maestri competenti, ma una
politica scolastica che davvero sostenga la differenziazione delle proposte. Se
alla politica non si chiede questo investimento, allora siamo di fronte a
un’opinione che discute su un problema certamente significativo ma senza
collocarlo in una prospettiva di sistema. Questo dovrebbero ben saperlo proprio
i politici, che anche in questa occasione hanno cavalcato l’onda della
tradizione o, di contro, quella della fluidità”.
Un altro limite
del dibattito scaturito da questo episodio di cronaca sta nel fatto che non si
sia entrati nel merito del contenuto della festa...
“Celebrare
la festa del papà a scuola ha senso se non si cade nella prospettiva
consumistica che nell’extrascuola la caratterizza, se si ricerca uno spessore
culturale contro la banalizzazione imperante in molti blog di insegnanti:
proposte che riducono questa festa ad attività eterodirette, uniformi, che non
sollecitano né la creatività né il pensiero riflessivo del bambino. A queste
condizioni, anche le migliori riflessioni sul problema posto dalla cronaca
finirebbero per essere fiato sprecato. Ma questo è un altro discorso”.
Nessun commento:
Posta un commento