“Ogni volta che
passeggio tranquillo, adagiato nella routine e nelle giustificazioni, loro mi
tagliano la strada: i poveri ci sono ancora, la violenza c’è ancora”
Domani,
venerdì 24 marzo, è la Giornata di preghiera e digiuno per i missionari martiri. Nel 2022 sono stati uccisi nel mondo 18 tra missionarie e missionari: 12 sacerdoti, un religioso, tre
religiose, un seminarista e un
laico. Il numero più elevato di morti si è registrato in Africa, dove sono
stati uccisi 9
missionari (7 sacerdoti e due religiose e tra queste ultime anche suor Maria de Coppi). Seguono l’America Latina e l’Asia. Dal 2001 al 2021 il totale dei missionari uccisi è di
526.
Quella
che segue è una riflessione di don Filippo Macchi, missionario fidei donum in
Mozambico, già vicario a Mandello Lario, che il 7 settembre dello scorso anno
era stato tra i primi a giungere a Chipene, luogo dell’uccisione di suor Maria:
Scorrendo all’indietro
le pagine del tempo mi sento circondato e mi stupisco vedendo che, nonostante
tutto, rimango sempre in ritardo, a volte immobile, incapace di tenere lo
sguardo fisso su Gesù. Nella Lettera agli ebrei si parla dei grandi personaggi
della Bibbia, che hanno fatto la storia del popolo di Dio perché hanno messo la
vita nelle Sue mani. “Anche noi dunque, circondati da un così grande numero di
testimoni, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo
fisso lo sguardo su Gesù”. Da tempo ormai il nostro Dio misericordia sceglie
piccoli testimoni di un amore grande, ha permesso che gente semplice indicasse
la strada per rinnovare il mondo. La Chiesa italiana tenta di riconoscerli e
ricordarli nella giornata dei missionari martiri.
Nel nostro
piccolo abbiamo avuto esempi forti nella nostra diocesi e in questa ultima
generazione possiamo ben dire che il braccio del Signore non si è accorciato.
Nella mia esperienza ho conosciuto due dei missionari martiri degli ultimi
anni: don Roberto Malgesini e suor Maria de Coppi. Più tanti altri testimoni
meno eclatanti ma che hanno donato la vita goccia a goccia, nel silenzio. Don
Roberto nella sua dedizione ai poveri, radicata in Cristo, lontana da ogni
esibizione. Così era anche suor Maria, uccisa in Mozambico l’anno scorso. Niente
di diverso tra loro, solo le latitudini e l’età.
Suor Maria,
comboniana, ha passato gran parte della sua esperienza di vita da suora nei
luoghi più dimenticati dell’Africa, Non le mancava mai il tempo per ascoltare,
una parola di incoraggiamento, un sostegno o un rimprovero per chi ne aveva
bisogno. Ha concluso questa esperienza con una raffica in volto, nella missione
che a suo tempo aveva contribuito a fondare.
Ho avuto la
grazia di conoscere don Roberto e suor Maria, non a fondo, ma ho incrociato brevi
tratti di strada con loro. Non posso esserne orgoglioso, in fondo non credo di
averli capiti o di avere imparato un granché, ma devo esserne grato perché sono
un dono grande, frutto di un grande amore, e questo si porta dietro la
responsabilità di non trascurarlo.
Ogni volta che
passeggio tranquillo, adagiato nei miei comodi, nella routine e nelle giustificazioni,
loro mi tagliano la strada: i poveri ci sono ancora, la violenza c’è ancora. Da
quattro mesi in Mozambico gli attacchi terroristici si sono diradati, i gruppi
armati hanno lasciato la nostra provincia mentre continuano a colpire più a Nord,
nella zona di Capo Delgado, dove tutto è iniziato.
In diocesi di
Nacala viviamo una momentanea tranquillità, ma questo non garantisce che
possano in futuro ritornare. Tante cose di questo terrorismo non si capiscono,
avvolte in una nebbia di contraddizioni; le cause profonde affondano nella
povertà, la delusione, la disoccupazione giovanile, traffici grandi e piccoli
che travolgono masse di persone. Non c’è pace in questo Paese, perché ancora la
giustizia non trova una strada su cui camminare spedita.
Le persone
tirano avanti e non vogliono pensarci, hanno già le normali lotte con fame,
povertà, malattie, piogge, discordie familiari… Oggi ci siamo, domani si vedrà.
La missione di Chipene, teatro dell’assassinio di suor Maria, in questo momento
è vuota, il prete fidei donum di Pordenone segue a distanza la parrocchia e fa
di tutto perché i cristiani, rimasti per sopravvivere, non si sentano
abbandonati.
I missionari che
erano con suor Maria de Coppi quella notte di settembre sono dispersi, seminati
in altri luoghi dove Dio li ha inviati. Noi, spettatori del prodigioso duello
tra il male e l’amore, la violenza e il dono di sé, siamo chiamati a ricordare
e a correre per la nostra parte, con perseveranza, circondati e non
abbandonati.
“Con il
Battesimo siamo stati tutti rivestiti di Cristo con un abito di santità e di
gioia che, seppure tutti ci accomuna, è un vestito su misura”. Ho trovato
queste parole preziose nel libro sinodale. Tenendo fisso lo sguardo su Gesù,
come don Roberto e suor Maria hanno fatto, senza frasi memorabili, ma con una
limpidezza di sguardo incancellabile. Vivere la giornata dei missionari martiri
può servire a questo.
don Filippo Macchi
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