Don Marco Nogara: “Ricordarlo vuol dire ripensare alle
esperienze vissute al suo fianco camminando verso il Sasso di Remenno, sui
sentieri delle Dolomiti o di ritorno dal Monte Bianco”. La moglie Sonia: “Grazie
a chi mi ha sorriso e sostenuto, a chi mi ha ascoltato e a chi è rimasto in
silenzio”
(C.Bott.) E’ un ricorrente richiamo alla montagna l’ultimo saluto di Mandello Lario
a Enrico Lafranconi. Lo è l’omelia di don Marco Nogara, lo è la presenza nella
chiesa del Sacro Cuore di tanti alpinisti e di tanti escursionisti, gente che
la montagna la ama, la frequenta e la apprezza, proprio come la amava, la
frequentava e la sapeva apprezzare Enrico.
Lo sono le note del Signore delle cime diffuse dall'organo nella parrocchiale
dopo la Comunione. Lo è il ricordo dei coscritti del 1952, che nel saluto al loro coetaneo affisso sui muri del paese hanno scritto: “Sulle tue Grigne senti la gioia di
vivere, la commozione di sentirti buono e dimentichi le miserie terrene perché
sei più vicino al cielo”.
La montagna è al centro anche della preghiera dell’alpinista
letta al termine del rito funebre da Giuseppe Orlandi, il “Calumer”, un altro
che ai sentieri e alle pareti dà del tu da una vita. “Enrico amava vivere - dice - amava la famiglia e
amava la natura. E amava il Soccorso alpino. Era una persona gentile e coerente
e ora lui sta salendo i sentieri della montagna più luminosa”.
“E’ naturale associare le persone che ci
lasciano ai luoghi da loro frequentati e alle esperienze da loro vissute”, aveva
detto don Marco all’omelìa seguita alla lettura del Vangelo di Marco con il
racconto degli ultimi istanti di vita di Gesù crocifisso. “E ricordare Enrico -
aveva specificato - vuol dire ripensare alle esperienze vissute al suo fianco camminando
verso il Sasso di Remenno, sui sentieri delle Dolomiti o di ritorno dal Monte
Bianco. La montagna è un luogo privilegiato per contemplare le meraviglie del
Creato ma anche per prendere coscienza dei propri limiti. Tutti noi, infatti,
quando saliamo proviamo stupore, ma i sentieri ci ricordano anche che siamo fragili
e questo Enrico lo sapeva bene”.
Enrico Lafranconi (1952-2022) |
“Il suo cammino non si è mai fermato - aveva
sottolineato ancora il sacerdote - neppure nella drammatica, dolorosa e
misteriosa esperienza dell’infermità. Anche noi allora dobbiamo saper cogliere
le pietre più preziose incastonate tra le rocce, comprese le più taglienti,
quelle che vorremmo evitare”.
Quindi il ricordo del suo mettersi al servizio del prossimo,
testimoniato dal suo impegno nel Soccorso alpino, in veste di istruttore della
scuola di alpinismo dei Corvi e partecipe alle iniziative del Consorzio Alpe di
Era. E un pensiero a lui e a sua moglie Sonia, che proprio nelle ultime
settimane di vita di Enrico ha voluto condividere idealmente con lui il
traguardo del quarantesimo anniversario di matrimonio. “Voi siete stati un’icona
dell’amore umano, di quell’amore che ogni persona malata vorrebbe e dovrebbe
ricevere”, aveva sottolineato don Marco prima della sua ultima riflessione: “Il
sepolcro aperto di Cristo indica il trionfo della sua vita e così, sorretti
dalla fede nel Risorto, ci stringiamo attorno ai familiari di Enrico con la
speranza di ritrovarci un giorno in cima alla santa montagna, la Gerusalemme
del Cielo”.
Al termine delle esequie è Sonia a ringraziare chi ha
accudito Enrico “per farlo soffrire il meno possibile”. Poi il suo “grazie” a chi
le ha dimostrato sensibilità e disponibilità, “a chi mi ha sorriso e sostenuto,
a chi mi ha ascoltato e a chi è rimasto in silenzio”.
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