Negli anni
Novanta fu tra i promotori dell’Associazione cardiopatici lecchesi, determinante
per la costituzione del reparto di cardiochirurgia all’ospedale di Lecco
(C.Bott.) Festa di compleanno (e che festa,
verrebbe da dire!) per Luigi Bartesaghi, che oggi taglia il traguardo dei 90
anni.
Classe
1932, nato a Mandello Lario, si è fatto conoscere e stimare in paese per le sue
molteplici passioni e per la dedizione e determinazione con cui ha sempre
portato avanti ogni iniziativa che lo ha visto impegnato in prima persona. Una
su tutte, la sua sfida - perché tale, a tutti gli effetti, deve essere
considerata - per dotare l’ospedale di Lecco del reparto di cardiochirurgia.
Una
battaglia, quella combattuta a inizio anni Novanta, a giudizio di molti persa
in partenza ma nella quale lui ha sempre creduto e che alla fine sarebbe stata
vinta.
“Per
far pressione presso le autorità regionali c’era bisogno di avere un’associazione
che promuovesse iniziative di informazione - raccontava un giorno Bartesaghi - Sono
riuscito a coinvolgere tanti miei concittadini, ho raccolto firme da presentare
in Regione, organizzato volantinaggi e gazebo all’esterno dell’ospedale. Poi
abbiamo costituito l’Associazione cardiopatici lecchesi e grazie alla nostra
azione e a una consistente donazione da parte di una benefattrice dopo qualche
anno la proposta è stata accolta e il nostro sogno è divenuto realtà”.
Ci
sono anche gli “Amiis del dialètt” nel panorama delle iniziative volute e
portate avanti da Bartesaghi. “Abbiamo costituito questa associazione con il
sostegno di un centinaio di soci che come me credevano nell’importanza del
dialetto - è solito ricordare Luigi - Tra loro c’erano Maria Luisa Castagna, la
prima presidente dell’associazione, e il dottor Gianni Comini. Eravamo
entusiasti e organizzavamo gare di poesia e serate. Andavamo nelle scuole a
promuovere la conoscenza del dialetto, facevamo imparare canti, vocaboli e tradizioni”.
Nella
vita di Luigi Bartesaghi un capitolo importante è rappresentato dagli anni da lui
trascorsi in Canada. “Là avevo degli zii che cercavano operai per la loro
fabbrica di statue - spiegava un giorno - e alla loro richiesta di raggiungerli
non ho avuto alcun dubbio”. “Sono partito in nave nell’ottobre del ’51 accompagnato
a Genova da mio papà Mario, da mio fratello Peppino, da una zia e da alcuni amici.
Eravamo 1.500 passeggeri, tutti migranti, e io ero il più giovane. Il viaggio è
durato dieci giorni e per sollevare il morale di giorno si suonava e si cantava
e la sera c’era l’orchestrina della nave”.
C’è
poi il ciclismo nelle passioni e nella vita di Luigi Bartesaghi, che dopo aver
superato le selezioni gareggiò alle Olimpiadi di Roma del 1960 con la maglia
del Canada, dove tra il 1958 e appunto il 1960 aveva conquistato tre titoli
nazionali di ciclismo su strada. E’ stato tra i promotori del Gruppo sportivo
Grigne e negli anni Settanta allenatore e accompagnatore della Federazione
italiana di ciclismo.
E’
sempre stato anche un grande appassionato di musica, Bartesaghi, per alcuni
anni presidente del Corpo musicale mandellese, prima di lui guidato per tre
lustri da Achille Panizza.
“La
musica faceva parte del nostro orizzonte - ricordava Luigi nella testimonianza
raccolta dalla mandellese Bianca Panizza e pubblicata nel 2019 nel libro Passioni e professioni - perché in tutte
le case c’era qualcuno che suonava o che cantava. Si veniva invitati ai
battesimi, ai matrimoni, alle feste di compleanno, agli anniversari… Si andava
gratuitamente per il pezzo di torta e un bicchiere di vino. Ci divertivamo noi
e si divertiva tutta la compagnia. Anche nei bar, quando si entrava con il
nostro strumento, eravamo accolti con simpatia, gli avventori smettevano di
giocare a carte o a biliardo e partecipavano alla cantata”.
Di
suo fratello Giuseppe, classe 1934, morto nel gennaio 2021, raccontava: “Peppino
ha studiato musica e si è dedicato, con profitto anche maggiore del mio, alla
fisarmonica, stimolato dal fatto che quando io sono andato in Canada la casa
era diventata un “mortorio”. Si era fatto prestare lo strumento da un cognato,
poi ne aveva acquistato uno di seconda mano dal Faggi di Olcio e infine, quando
io sono tornato dal Canada, ha usato la mia “Guazzi”, costata 65.000 lire”.
Negli
ultimi passaggi di quella stessa testimonianza raccolta da Bianca Panizza è
racchiusa la filosofia di vita di Luigi Bartesaghi. “Nel nostro sangue c’era la
volontà di fare qualcosa di nuovo, di progredire, di costruire qualcosa per noi
e per gli altri - vi si legge - Ci sentivamo parte integrante del nostro
ambiente e tutto quello che c’era intorno a noi faceva parte del nostro
territorio… La vita, insomma, era un campo aperto da esplorare”.
Buon
compleanno, Luigi!
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