In una fotografia d'epoca, il lido di Mandello in Poncia.
Una nuova pagina di “appunti” a firma del mandellese Luciano Rossi. Un altro capitolo della storia dei giardini pubblici e della zona a lago di Mandello Lario.
Eravamo alla proposta di Vincenzo Zucchi, datata 1931, per la sistemazione dei giardini attorno al monumento ai caduti. Passano pochi anni e c’è qualcosa di nuovo, su cui non tutti, però, sono d’accordo.
Anticipo da un documento una descrizione dal sapore quasi poetico, poi spiego dove l’ho presa: “Corona Mandello, in riva al lago, un largo prato ombreggiato a fresco, recentemente sistemato a giardino, adibito a posto di riposo e svago dei cittadini, essendo contornato da panchette e intramezzato da viali ombrosi. E’ continuamente affollato di giorno fino a sera inoltrata dalle mamme con la loro giovanissima prole di ambo i sessi”.
E’ un bel quadro, che ci dà finalmente conto della sistemazione che aspettavamo. E’ il 1937 e sono i nostri giardini!
Ma attenti al cambio di tono, perché il documento prosegue così: “Proprio in immediata vicinanza di tali giardini pubblici viene costituito il nominato lido, senza riparo alcuno, permettendo ai bagnanti di mostrarsi a tutti i frequentatori del posto nei loro succinti costumi”. Sì, è una protesta inviata da madri e padri di Mandello al prefetto di Como. Da cosa nasce?
Nel ’34, mentre la sponda destra del Meria era già occupata dalla colonia per bambini, la “Sportiva Mandello Lario del Fascio di combattimento” (aleggia sempre intorno uno spirito di guerra) aveva cominciato a costruire un lido pubblico per adulti sulla sponda sinistra: in Poncia, allora molto più dritta, senza l’accentuata prominenza nel lago di oggi.
E l’anno dopo, essendo il lido risultato “troppo angusto per il grande numero di frequentatori”, chiedeva di ingrandirlo di 17 metri in direzione della darsena. Il podestà lo concedeva, raccomandando di fare richiesta al demanio per quanto riguardava l’utilizzo della riva.
Ancora due anni e nel ’37 un nuovo ampliamento e spostamento, in seguito all’ennesima piena del Meria che aveva rovinato la riva. Ed è qui che si inserisce l’esposto al prefetto di un gruppo di genitori contro il lido. I firmatari aggiungono alle ragioni di buon costume anche problemi di sicurezza, perché “in quel punto il lago è profondissimo, quindi pericoloso per chi non è provetto nuotatore”, proponendo infine di costruire il lido altrove, come in località Crotti o Soriva, lungo l’attuale via Lungolario, andando dai Mulini verso la “Gilardoni raggi X”.
Il ricorso era stato preceduto di un paio di settimane da un altro gruppo di 61 padri di famiglia, che si erano appellati direttamente al podestà, chiedendogli con una certa durezza e per le stesse ragioni morali di allontanare il lido dalle “nostre case” e da “quella piazza Gera dove tutti i cittadini di ogni età e di ogni condizione si recano per un giusto svago e per una onesta passeggiata”, non per vedere lo sconcio di “questa nostra bella sponda fatta esposizione di nudismo”.
Esagerazione? Intransigenza? Un po’ forse sì, ma in fatto di buon costume sappiamo quanto è difficile fissare un confine nel continuo variare della sensibilità.
Il punto importante, però, è un altro. Qui sulle due sponde del Meria stanno nascendo a uso della popolazione cose che non c’erano mai state prima: giardini pubblici, lido pubblico e colonia solare, oltre al campo sportivo che però, come detto, non ha nessun rapporto diretto con la Gera e il lago, se non la disponibilità del terreno. E tutte queste strutture bisogna decidere come devono essere, a cosa propriamente devono servire, quale collocazione ottimale avere.
Non è sempre facile stabilirlo a priori. Le immagini “poetiche” con cui i genitori descrivono il giardino che corona Mandello, il posto di riposo e svago, il prato e i viali ombrosi, l’onesta passeggiata e le mamme coi bambini, colgono nel segno. E’ quello che si voleva? C’è bisogno di altro? Così, penso, si discuteva, o forse semplicemente si andava per tentativi, come spesso si fa con le cose nuove.
Continuiamo con la nostra storia. Anche la risposta del podestà ci mette qualche dubbio, di un genere diverso. Il prefetto gli aveva chiesto chiarimenti e lui li dà.
Dice che i villeggianti e anche la popolazione apprezzano il lido, che il recente ampliamento era appunto dovuto all’abbandono della parte invasa dalle acque e che comunque ai “firmatari, invitati nel mio ufficio, ebbi a dimostrare che le loro lagnanze erano infondate. Alcuni di essi, pur avendo firmato l’esposto, non erano a conoscenza del contenuto, altri ancora dichiararono che non lo avevano firmato”, e insomma tutti “affermarono che il lido, così com’è costruito, non può dare agio a lagnanza alcuna”.
Il dubbio è questo: siamo nel 1937, ormai anno XV dell’era fascista. Pensiamo che per un podestà convocare dei “contestatori” nel suo ufficio, chiedergli spiegazioni e alla fine sentirli dire che è stato tutto un equivoco e che si sono sbagliati, fosse così difficile? A ogni buon conto si dispose, a quanto pare, che il lido fosse “opportunamente cintato per far sì che i bagnanti non vengano veduti dal di fuori”.
Luciano Maria Rossi
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