Dopo la sua scomparsa Alessandro Gogna scrisse: “Se n’è andato un amico, un compagno di tante amichevoli ma infinite discussioni al campo base del Lhotse. Provocatore, ma buono”
Gigi Alippi (1936-2016) |
(C.Bott.) Di lui Alessandro Gogna, classe 1946, guida alpina e storico dell’alpinismo, scrisse: “Se n’è andato un grande dell’alpinismo, se n’è andato un amico, un compagno di tante amichevoli ma infinite discussioni al campo base del Lhotse. Provocatore, ma buono. Che, quando nel 2004 si era trattato di scrivere un libro sulle guide alpine lombarde, mi aveva dato generosamente un bel po’ di foto e materiale d’archivio…”.
“Il libro subì ritardi - aggiungeva Gogna - poi alti e bassi nella possibilità di realizzazione, infine fu abbandonato nel cassetto. E io, nella speranza prima o poi di pubblicarlo, mi tenni le stampe in bianco e nero e gli articoli di giornale che Gigi mi aveva affidato. Non c’era una volta che c’incontrassimo senza che lui mi ricordasse la mia promessa… E avevo un bel po’ da scusarmi con lui, il suo sguardo intelligente e indagatore mi fissava sempre allo stesso modo”.
Era fine marzo 2016 e il mondo dell’alpinismo dava l’addio a Gigi Alippi, morto a Lecco all’età di 80 anni (li aveva compiuti soltanto un mese prima).
Era nato ad Abbadia Lariana nel 1936 e di lui sulla Grande enciclopedia illustrata “La montagna” dell’Istituto geografico De Agostini, si legge: “Estremamente attivo negli anni Cinquanta e Sessanta, Alippi ha al suo attivo un notevole numero di scalate in tutto l’arco alpino. Nel suo curriculum figurano quasi tutte le più importanti salite della sua epoca”.
E nel volume dato alle stampe nel 1996 per celebrare i 50 anni dei Ragni “sulle montagne del mondo” Alberto Benini scriveva: “Gigi Alippi entra nel gruppo nel 1966, ma a quella data ha già al suo attivo un curriculum alpinistico di elevato valore, che lo lega in modo più considerevole alla generazione precedente. È stato uno degli artefici della vittoria sul McKinley e nella sua attività spicca la prima invernale della via Bonatti al Capucin”.
Gigi Alippi e Jack Canali al McKinley. E' il 1961. |
Gigi Alippi, un grande dell’alpinismo. Non soltanto per le sue imprese sulle pareti di mezzo mondo ma anche per il suo modo di intendere e “interpretare” l’alpinismo e poi di raccontarlo alle nuove generazioni. L’aveva fatto anche nel suo libro Il profumo delle mie montagne pubblicato nel 2014 e di cui a curarne la prefazione fu Marco Valentini, che fu prefetto a Lecco dal 2010 al 2012.
“C’è qualcosa di diverso in questo libro rispetto ad altre pubblicazioni - aveva detto proprio Valentini in sede di presentazione - innanzitutto perché si è in presenza di una biografia intima di questo grande alpinista, che parla con se stesso prima ancora che con i lettori. Poi perché non è un libro di ricordi ma di emozioni e di affetti, che in quanto tali non possono essere visti al passato”.
“E’ un libro che “produce” cultura - aveva aggiunto l’ex prefetto - attraverso il racconto delle esperienze più significative della sua vita. E “produce” cultura anche per la capacità di Alippi di avere uno sguardo che si apre agli altri e perché lui sa ammettere, raccontandole, pure le rinunce e le sconfitte”.
Lui, Gigi Alippi, prendendo la parola aveva citato il mitico “Bigio”, ricordando una frase che Carlo Mauri era solito ripetergli, rigorosamente in dialetto: “Mi diceva sempre che noi l’Università la facciamo sui marciapiedi, a differenza degli altri che la studiano sui libri”.
Poi un simpatico aneddoto. “Tutti noi - aveva affermato - ci siamo innamorati e sappiamo che prima arriva l’infatuazione. Ebbene, Cesare Giudici era mio amico e ha indossato prima di me il maglione rosso dei Ragni. Io vedevo che quel maglione attraeva le ragazze e allora mi sono detto: “Ci provo anch’io a indossarlo”. Qualche tempo dopo ero sul Grand Capucin e lì ho capito cos’era l’alpinismo”.
Quindi spazio ad altri ricordi, ad altre considerazioni. “Prima di addormentarmi - aveva detto Alippi - ancora adesso rivedo il Gigi poco più che ventenne che scende dalla cima del McKinley e arriva sfinito al secondo campo dopo aver ceduto i suoi scarponi a Jack Canali che aveva i piedi congelati. Rivedo le cadute lungo quella stessa discesa. E poi penso al Cerro Torre, dove accadeva di vedere tutte e quattro le stagioni in una sola giornata. O ancora all’Antartide, quando Renato Cepparo imprecava perché non riusciva a mettersi in contatto con noi…”.
Il McKinley, si è detto. E nel libro c’è tutto il diario di Gigi Alippi riferito proprio a quella spedizione. “Sono contento di averlo pubblicato - aveva detto - perché io credo nella storia ma a un’unica condizione, cioè che sia vera”.
Sono passati sei anni, dalla morte di Alippi. Ma il Gigi continua a mancare a molti. E manca certamente anche alle “sue” montagne.
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