L’ex pilota di Formula 1 impegnato da giugno 2020 in una delle sue sfide più difficili aveva raccontato il campione paralimpico mandellese in un articolo: “Forse sono un romantico, però sentire la sua storia dal suo vocione mi carica sempre”
Pechino 2008, Fabio Triboli vince l'oro nella corsa in linea ai Giochi paralimpici. |
(C.Bott.) Un articolo dedicato a un amico. Una testimonianza preziosa, ancora di più alla luce di quanto accaduto sedici mesi fa e alla battaglia che ora lui sta combattendo dopo l’incidente di cui è rimasto vittima nel giugno 2020 a Pienza, in Toscana. Il racconto di un campione paralimpico, ex pilota di Formula 1, scritto per un altro campione paralimpico, ma soprattutto, come detto, per un amico.
Un articolo di Alex Zanardi datato febbraio 2020 su Fabio Triboli, mandellese, attuale collaboratore tecnico della Nazionale italiana paralimpica.
Una storia vera, riportata di recente da bici.pro, il primo portale italiano interamente dedicato al ciclismo, grazie a equipeenervit.com che lo aveva già pubblicato nella rubrica “A piede libero” gestita proprio da Zanardi.
“Ci sono storie belle, popolari. Sì, così simili a quelle raccontate nelle tante pellicole in bianco e nero del dopoguerra che hanno il loro ingrediente più romantico e toccante nel farcela - premetteva il campione originario di Bologna - a dispetto delle difficoltà che la vita imponeva a tanti in quegli anni. Quando c’era tutto da inventare perché tutto mancava e la gente si rompeva la schiena senza paura”.
“La mia è stata una generazione felice e sognante - sottolineava Zanardi - La domanda “Cosa farai da grande?” arrivava a giorni alterni mentre pranzavamo con la famiglia. Mi viene da credere che quel mondo abbia in qualche modo attrezzato tanti bambini nel diventare appassionati lottatori di vita. Fabio era certamente uno di questi. Vispo, sempre sorridente, mai fermo. Mai il primo della classe a scuola, ma sempre tra i primi nel cuore della maestra che li aveva cresciuti”.
Poi spazio al racconto: “Un giorno il nonno lo aveva portato a vedere il passaggio del Giro d’Italia e tornando, nella prima occasione di convivialità familiare a tavola, lui aveva dichiarato solennemente che nella vita avrebbe fatto il corridore come Gimondi. I bambini cambiavano e cambiano idea. Non Fabio, nemmeno quando la vita sembrava volergli imporre un cammino diverso, dove la salita non sarebbe stata quella da scalare in bicicletta ma piuttosto quella in apparenza molto più dura della disabilità”.
“Un giorno un anziano signore che guidava l’auto anche se ubriaco - scriveva Alex - diventò vittima e carnefice della sua vita. Vittima, perché quando investi due bambini innocenti che hanno la sola colpa di essere sulla stessa tua strada mano nella mano non sarai mai più un uomo felice. Carnefice, perché anche se certe cose non si possono evitare solo a forza di buone intenzioni, quel suo mettersi al volante nelle peggiori delle condizioni cambiò per sempre la vita del piccolo Fabio e della cugina che lo teneva per mano. Lei fu investita dall’auto che la trascinò sulla strada per decine di metri. Fratture multiple, degenza lunghissima in ospedale ma, pur con gravi conseguenze permanenti, si salvò. Era più grande del piccolo Fabio che quel giorno le era stato, come dire, affidato. E per questo lo teneva per mano con responsabilità, con una presa così salda che quando fu investita dall’auto il plesso brachiale dell’esile braccio del bambino si strappò di netto. La speranza tiepidamente offerta dai medici per un possibile recupero parziale dei movimenti si perse nel tempo assieme al tono muscolare di un arto che non si sarebbe più mosso come prima”.
Dicembre 2014, Alex Zanardi e Fabio Triboli alla "Casa dell'economia" di Lecco. Al centro don Agostino Frasson, direttore di "Casa don Guanella". |
“La vita per Fabio non sarebbe più stata la stessa, eppure i suoi sogni non cambiarono - affermava il campione paralimpico - Questo ostinato modo di pensare può pure essere normale per un bambino, ma un conto è provare un altro riuscire, a dispetto delle difficoltà. Diventando uomo, Fabio ha fatto la sua parte. Ha studiato quel che serviva e poi è andato a lavorare. Ha messo su famiglia, assieme ad Antonella ha cresciuto tre bellissimi figli, due ragazze e un ragazzo. Tra le difficoltà, perché lavorando in fabbrica bisogna saper tirare la cinghia quando si avvicina la fine del mese. Ma a dispetto di tutto non ha mai mollato il suo sogno, quello di andare in bicicletta e di fare il corridore”.
E ancora: “Un brav’uomo, Fabio. Uno che sul lavoro non si è mai tirato indietro, guadagnandosi la stima e l’amicizia dei colleghi. E soprattutto dei suoi superiori... Forse è per questo che quando la vita ti fa un regalo in tanti siano felici per te. E il regalo arrivò sotto forma di un incontro. Con Mario Valentini, che dopo aver diretto la Nazionale italiana di ciclismo su pista aveva da poco ricevuto dalla Federciclismo l’incarico di ristrutturare e gestire i programmi del ciclismo paralimpico. Fabio aveva sviluppato il suo sogno come aveva potuto, finendo per correre gare di mountain bike. Quello che si poteva fare sulle colline vicino a Lecco, con qualche puntatina ogni tanto fuori dal solito perimetro dopo aver risparmiato un po’. Valentini gli offre una nuova prospettiva. Quel braccio inutile che lo ha sempre limitato nel gareggiare contro gli altri può diventare il suo biglietto d’ingresso in un mondo nuovo dove i sogni, anche i più arditi, possono realizzarsi”.
“Potrebbe non essere facile per un ex-ragazzo di ormai quasi 40 anni continuare a sudare per inseguire quel sogno cullato da bambino - si leggeva sempre nell’articolo di Zanardi - ma in fondo, nell’accezione più nobile del termine, Fabio Triboli un bambino lo è ancora. Per ognuno di noi, cavalcare gli eventi per trasformare ciò che accade in un’opportunità dovrebbe essere una regola. Nelle avversità, pochi ci riescono. Eppure alcuni lo fanno, quindi un modo esiste”.
Poi l’appuntamento con i Giochi di Pechino 2008. “Sono serviti impegno e sudore, è servita molta pazienza ma Fabio è diventato un corridore che indossa alle Paralimpiadi la maglia più bella, la maglia azzurra. E visto che favola deve essere, nella prima delle tre gare per le quali si è qualificato, quella dell’inseguimento su pista, vince la medaglia d’argento. E poi il bronzo, sette giorni dopo, nella prova a cronometro su strada. A casa la festa è già partita, Antonella al telefono felice e commossa gli racconta di come la famiglia ha vissuto i suoi successi. Poi, siccome le donne sono più pratiche e pragmatiche, gli parla anche di tutte le cose che potranno fare con i premi delle medaglie. Soldi veri per una famiglia che, pur facendolo con assoluta dignità, s’è sempre dovuta far bastare uno stipendio per fare tutto”.
Arriva poi il giorno dell’ultima gara, la corsa in linea. “Teoricamente, per le sue buone doti di velocista - annotava Alex nell’articolo - quella che alla vigilia rappresentava l’opportunità migliore per vincere una medaglia. Ma vada come vada, perché giusto tre anni fa ti facevi i conti in tasca per cambiare un copertone alla bici e ora sei un doppio medagliato paralimpico. Un professionista ormai, nel vero senso del termine, uno di quelli che dalla propria attività ci ha finalmente tirato fuori anche di che vivere. Con l’animo sereno Fabio attacca da subito trovando la collaborazione di altri due atleti molto forti. Arriva un’occasione e vanno in fuga. Prendono un vantaggio notevole, quasi due minuti e sembrano imprendibili. Poi però accade quello che non ti aspetti… Fabio dà l’anima per non far rientrare il gruppo, ma il gruppo arriva e li riprende. Quando accade, Fabio sente di aver speso ormai tutto. Fa un caldo pazzesco a Pechino, ma lui ha i brividi di freddo. Tutta l’energia spesa, tutta la fatica già fatta inseguendo un sogno ormai svanito impone al suo corpo un dazio severo e pian piano perde terreno. Prima la ruota di un compagno, poi anche i ritardatari di quel gruppo lo staccano”.
“Conosco quel momento - scriveva più avanti - Quando sei intossicato di fatica e il fisico non risponde più, lo fa ancor meno la mente. E’ un attimo: una distrazione, una difficoltà aggiuntiva come una mezza scivolata, un salto di catena o un banalissimo colpo di vento e ti fermi. Poi ti riprendi e ti maledici per aver mollato e se ormai è tardi puoi anche arrivare a convincerti che doveva andare così, che non si poteva fare di più”.
E il racconto continua: “Fabio aveva fatto un’abbuffata fuori programma nei giorni precedenti. Due medaglie già vinte… Poi però può anche accadere dell’altro. Che ti tornino in mente i sacrifici che hai fatto, quelli che hai imposto alla tua famiglia. Che anche se i sei mesi di aspettativa che hai ottenuto per preparare quella gara sono un diritto tutelato per legge, mentre tu eri in giro in bici ad allenarti c’erano altri in fabbrica a spostare le casse per te e l’hanno fatto con gioia, perché ti stimano. Ti vogliono bene. In questi momenti può accadere la cosa più bella. Che tu scopra che non serve una ragione particolare per rialzarsi sui pedali a spingere. Basta qualcosa che ti faccia ricordare la stessa intatta passione che ti faceva rompere il maialino per andare a fare le gare in mountain bike contro dei signor nessuno quando tu eri l’ultimo tra loro. E che vuoi farlo per te stesso, perché puoi. E non sarà tra un giorno, un’ora o un attimo, ma è adesso che devi farlo. Così Fabio si rialza sui pedali, ritrova un ritmo, riprende la migliore andatura possibile e sorridendo in modo convinto si dice: “Oh, Triboli: metti mai che la vita voglia farti un altro regalo che fai, non ti presenti?”. Quasi come se qualcuno da lassù avesse apprezzato il suo cambio di ritmo, emotivo ancor più che fisico, fuori da una collina a tre chilometri dal traguardo Fabio scorge il gruppo là davanti”.
Quindi la descrizione delle fasi decisive della corsa: “Ignora i dolori, la fatica, il sudore gelato che avvolge il suo corpo. Pensando soltanto a proseguire per chiudere quel divario che, peraltro, vede di metro in metro ridursi. Ora non serve chissà quale allungo per vedere i corridori davanti. E spinge, spinge ancora, quasi ridendo di quello sforzo stupido che sta facendo contro ogni pronostico. Quando ha quasi raggiunto il gruppo che procede ad andatura tattica, il corridore brasiliano, uno dei più forti negli ultimi metri, scatta per anticipare tutti. E come se fosse tutto a posto nei muscoli e nel fisico, Fabio intuisce l’opportunità. Arrivando lanciato, gli basta un piccolo scatto per agganciare la ruota del brasiliano. Alla compagnia si aggiungono altri quattro corridori che anticipano tutti gli altri tra cui il belga, sulla carta il più forte dei velocisti. Proprio mentre tutto questo accade, dai rumori terrificanti di metalli che sfregano sull’asfalto, Fabio intuisce che il gruppo dietro di loro è stato rallentato da una caduta”.
“I sei corridori iniziano a dare l’anima per tenere quei metri di vantaggio che la fortuna ha loro regalato. Fabio sente il corridore inglese chiedergli collaborazione urlandogli: “Fabio, come on! Come on mate!”. E Fabio pensa: “Sì, come on ‘sta cippa! Non ne ho più cavolo, buona grazia se non mi staccate subito!”. Si vede l’arrivo 500 metri più avanti. E mentre decide solennemente che sarebbe bello avere ancora qualcosa da spendere in quell’attimo, perché il momento per scattare è arrivato, riesce a vedere Mario Valentini sotto la linea a braccia alzate. Lo sfinimento, gli sforzi fatti, il dolore… non c’è più nulla. Solo la voglia di tagliare per primo quel traguardo perché è lì, perché si può fare. Fabio si alza sui pedali e il corpo risponde! Le gambe spingono sui pedali, butta giù i rapporti con la catena che resta tesa come la cima che tiene una petroliera in porto investita dal vento. Risale il gruppetto e infine passa anche l’ultimo dei suoi avversari. Il corridore belga, il più forte… Fabio è sulla linea e, servisse mai a fargli capire chi ha tagliato per primo il traguardo, riaprendo gli occhi dopo lo sforzo ritrova il tipo con i baffi e la maglia dell’Italia a braccia alzate. Servirà un altro minuto al vecchio Mario, fermo sul traguardo, per raggiungere Fabio che s’è fermato 100 metri più avanti. Ma adesso un minuto può passare. Adesso di minuti ne possono passare e ne passeranno tanti perché quell’oro è e sarà per sempre di Fabio Triboli”.
Infine qualche considerazione: “Io l’ho un po’ romanzata, ma è andata così davvero. Ve l’ho voluta raccontare perché ogni volta che sento questa storia mi vengono in mente le parole di mio padre quando mi diceva: “Sandrino, bisogna sempre dare il massimo anche quando sembra ci sia solo bonaccia. Perché se poi il vento arriva, tu sei già lì a prenderlo”. Fabio è uno che metaforicamente ha sempre provato a prendere il mare. E quando finalmente è arrivato il vento a gonfiare la sua vela, ha mostrato come accadono le cose a chi aveva occhi per vedere. Che devi volerlo, non per soldi, fama o per migliorare la tua vita, ma perché l’unico modo per vivere al meglio è cogliere l’attimo. Facendo le cose che ami al meglio delle tue possibilità. Sempre”.
E un ultimo riferimento all’incarico successivamente ricoperto dal campione mandellese. “Alla vigilia dei Giochi di Londra Mario Valentini ha chiesto a Fabio di passare la mano, di agganciare il gruppo come suo collaboratore e oggi si occupa di noi. E lo fa bene, in modo unico, per le sue competenze tecniche e la sua grande capacità di motivare le persone. Forse sono un romantico, però sentire questa e altre storie dal suo vocione mi carica sempre e immancabilmente il pensiero vola alle cose da fare che mi stanno già portando a Tokyo. Non so dove potreste trovare il vostro Fabio Triboli dal quale estrarre quelle energie che possono farvi fare le cose. Eppure sono certo che ci siano persone in giro capaci di ispirarci. Che si possa imparare da tutti, se non siamo troppo concentrati su noi stessi. Io questo sbaglio, a quasi 53 anni non posso permettermelo. D’altronde, sono le armi che mi restano: consapevolezza, misura e testardaggine più che determinazione. Perché, indipendentemente da quello che è accaduto, la vita è adesso e viverla davvero significa scorgere un nuovo spazio per fare solo un altro dei nostri tentativi migliori”.
Qualche mese dopo aver raccontato Triboli con quell’articolo, che assomiglia tanto a un bellissimo racconto, Alex Zanardi sarebbe rimasto vittima con la sua handbike del terribile incidente di cui si è detto e di cui tutti sanno. E da quel maledetto giorno di giugno dello scorso anno Fabio, senza mai stancarsi, grida: “Forza, Alex!”.
Lezione di vita. Due grandi. Forza Alex!! ❤️
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