“Le Università si trovano a fare i conti con una parte di studenti che non sanno scrivere in italiano, con vistosi limiti anche a livello ortografico. Eppure si tratta di giovani che, nel loro precedente percorso scolastico, non avevano incontrato la Dad”
Adriana Lafranconi, mandellese, cultrice di pedagogia presso l’Università degli studi di Bergamo, per lunghi anni insegnante ed ex dirigente scolastico, ci invia l’intervento che di seguito pubblichiamo:
I giorni trascorsi dall’inizio dell’anno scolastico si possono ancora calcolare in unità, ma le classi messe in quarantena in Italia e impegnate in didattica a distanza si contano già in centinaia. E i mass media tornano a soffermarsi sull’incubo Dad e a paventare scenari peggiori di quelli già vissuti, da contenere attraverso formule diverse di messa in quarantena, che considerino le effettive situazioni di rischio, evitando perniciose generalizzazioni.
Nulla da eccepire, ovviamente, rispetto ai mali derivanti dall’impossibilità per gli allievi, di qualsiasi età, di vivere la scuola in presenza, così come sulla necessità di mettere in atto tutte le soluzioni per prevenire o contenere il contagio.
Ma il contesto “scuola” si presta a essere analizzato anche da altre prospettive, non riducibili alla pandemia. Alla denuncia del problema dell’insegnamento da remoto si sono infatti affiancate voci volte a sostenere che la Dad avrebbe potuto essere più costruttiva se la scuola italiana non si fosse fatta trovare, nel complesso, impreparata all’impiego del digitale nella creazione di contesti di apprendimento. Voci autorevoli, ma sporadiche, a conferma del fatto che si preferisce tacere sulle difficoltà del sistema scolastico italiano.
Ma se si volge lo sguardo oltre la contingenza del Covid, si trovano motivi per affermare quanto sia scorretto attribuire prioritariamente alla Dad i mali della scuola.
Le Università si trovano da anni a fare i conti con una parte di studenti che non sanno scrivere in italiano, con vistosi limiti anche a livello ortografico. Eppure si tratta di giovani che, nel loro precedente percorso scolastico, non avevano incontrato la Dad. E anche se si offre loro la possibilità di seguire corsi gratuiti di potenziamento delle competenze in scrittura, ci si trova a fare i conti con pochi iscritti. Da qui il dubbio che ci siano studenti che non solo non hanno imparato le regole dello scrivere corretto, ma che neppure sono stati educati alla responsabilità personale. Il che è un problema ancora più serio.
Chi è impegnato nell’ambito della formazione dei docenti fa conoscenza - nelle scuole di vario ordine e grado - di docenti di eccellenza, ma anche di loro colleghi culturalmente e professionalmente impreparati, restii a qualsiasi sollecitazione all’autovalutazione e al conseguente impegno per il doveroso miglioramento.
Accanto a dirigenti scolastici che investono sulla meritocrazia, senza timore di non piacere all’intero Collegio docenti, si incontrano anche quelli che, per il quieto vivere, preferiscono non vedere o sono disposti a giustificare lo scarso profilo professionale di una parte dei docenti, piuttosto che valorizzare le risorse incarnate dai migliori.
In alcuni Piani dell’offerta formativa si respira una progettualità frutto di una autentica e chiara prospettiva educativa. In altri i progetti sono giustapposti: pezze nuove su un vestito logoro.
Il cahier de doléances potrebbe continuare, ma credo sia sufficiente per provare che - ahimé - la Dad non sia il male più grave in cui la nostra scuola attualmente annaspa. Le famiglie se ne stanno probabilmente accorgendo, visto che è in aumento in Italia il trend dell’istruzione parentale, permessa dalla nostra Costituzione.
A cosa è dovuto l’incremento dell’homeschooling? In alcuni casi certamente la paura del contagio o il desiderio di maggior stabilità rispetto a quella registrata negli ultimi anni ha orientato genitori a questa opzione di formazione dei figli. In altri può essere il fascino delle soluzioni alternative ad avere avuto il maggior peso.
Ma il confronto con alcuni diretti interessati mi permette di dire che, proprio l’aver assistito in diretta, attraverso la Dad, a lezioni di scarsa qualità, può aver contribuito all’abbandono della scuola pubblica, statale o paritaria.
In quest’ultimo caso alla Dad bisognerebbe allora riconoscere il merito di aver sollevato il coperchio dove altri non osavano farlo. Riconosciamo le difficoltà della nostra scuola, perché si può sempre invertire una tendenza problematica.
Molte esperienze lo dimostrano. Anche perché l’alternativa dell’homeschooling, che spesso comporta per i genitori pagare scuole private, non può certo rappresentare oggi una scelta libera per tutti, non si caratterizza come possibile “scuola per il popolo”, attenta a tutti, anche ai più svantaggiati, considerati destinatari di un percorso educativo “su misura”, come già nell’ultimo dopoguerra auspicava una figura di spicco della pedagogia cattolica qual era Vittorino Chizzolini, per contribuire a realizzare i princìpi di uguaglianza formale e sostanziale affermati durante i lavori della Costituente.
Riconoscere la centralità della persona comporta essere nei fatti testimoni di scuole migliori, perché anche il periodo che stiamo vivendo è denso di difficoltà per la crescita dei nostri giovani, la più grande risorsa per il futuro del nostro Paese.
Adriana Lafranconi
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