di Claudio Redaelli
Ci sono libri destinati a restare, a sfidare il tempo con la forza delle loro parole, delle loro narrazioni, degli scenari che contribuiscono a evocare e ricostruire il più fedelmente possibile.
In mezzo a tante menzogne, e a distanza di così tanti anni, in una società che sembra avere smarrito il senso della memoria spicca un libro come La verità di Giusto Perretta, tuttora nel catalogo dell’editrice lariana Lariologo, che ha raccolto il testimone delle edizioni Actac di Aldo Nicoli, editore militante e impegnato nel sociale e nella politica.
Un libro, quello di Perretta, di primaria importanza per ricostruire nel racconto di Michele Moretti - “Gatti Pietro”, commissario politico della 52.ma Brigata Garibaldi Luigi Clerici - e nei documenti di Aldo Lampredi “Guido” consegnati ad Armando Cossutta nel 1972 tutti i passi che portarono all’esecuzione di Mussolini a Giulino di Mezzegra.
Culmine di giorni e ore convulse che l’autore declina con lo sguardo dello storico di precisione, momento per momento (memorabili ad esempio i dialoghi della Petacci con la “Gianna” e Moretti), mai tralasciando peraltro lo sguardo sulla cornice degli eventi sul contesto storico complessivo e sulla gravità di quei momenti.
La fine di Mussolini. Tema su cui sono stati versati fiumi di inchiostro, interi scaffali se non intere biblioteche come è giusto che sia per un evento che cambiò la storia d’Italia, spesso con ricostruzioni di parte, aleatorie se non fantasiose, ipotesi di complotti e piste inglesi sicuramente suggestive a livello di ipotesi di ricerca (innegabile che ci siano e ci saranno sempre punti oscuri in quel quadro complessivo e che mai saranno chiariti nel mosaico di quei giorni e di quei mesi, vedi il caso del celebre oro di Dongo e del carteggio Mussolini-Churchill), come pure di spunti per una letteratura poliziesca e spionistica ma mai ricostruzioni capaci di rivoluzioni copernicane, ossia suffragate da incontrovertibili prove documentarie.
Il libro di Perretta dà voce, sostanza e cornice alla testimonianza di prima mano di Moretti. Siamo e restiamo sul piano dei fatti - drammatici e cruciali - e sulla viva voce dei testimoni che erano in primo piano, anzi in prima linea, e che presero le armi a nome del popolo italiano vessato da vent’anni di dittatura.
Gli ultimi giorni della vita di Mussolini sono stati oggetto di infinite versioni spesso narrate da pseudo protagonisti o testimoni, con resoconti distorti o addirittura frutto della fantasia, tali da distorcere la verità.
Il libro di Perretta riferisce fedelmente la testimonianza di Michele Moretti, uno dei tre protagonisti di quel drammatico fatto storico, e ha il pregio della semplicità del racconto e della veridicità degli avvenimenti così come realmente si svolsero. Il tutto, nell’edizione volta a volta aggiornata, con decine di documenti d’epoca riprodotti (fondamentale la testimonianza di Luigi Carissimi Priori, che per la Questura di Como svolse una scrupolosa indagine sulla morte di Mussolini e della Petacci) e in appendice la testimonianza di Aldo Lampredi dagli archivi del Pci.
Da parte sua Luigi Longo, che rappresentava le Formazioni garibaldine nel Comitato di Liberazione nazionale Alta Italia, ebbe a esprimersi a proposito del libro: “Delle oltre venti pubblicazioni l’unica che si avvicina alla realtà è stata scritta da Giusto Perretta”. Un libro, insomma, che andrebbe letto, riletto e meditato e conservato nelle biblioteche delle scuole di tutta Italia a futura memoria.
Scrive Perretta: “Moretti entrava nella lotta partigiana assumendo il nuovo cognome di “Gatti” il 25 aprile del 1944”. Coincidenza profetica e infatti Giusto Perretta prosegue: “Nessuno avrebbe potuto prevedere, tanto meno lui, che giusto un anno dopo egli si sarebbe trovato a essere tra i principali protagonisti della cattura di Mussolini e di parte dei suoi gerarchi. Il caso, ma non soltanto il caso, volle che fosse proprio lui a determinarne l’arresto e ad agevolare l’esecuzione di una sentenza con la quale veniva fatta giustizia al popolo italiano. Il mitra più famoso della Resistenza italiana è sicuramente quello finito nelle mani di Michele Moretti. Ed è proprio alla vita di questo partigiano comunista che è dedicato il libro di Perretta che si chiude con la giornata del 28 Aprile 1945”.
Così scrisse Ibio Paolucci su L’Unità del 16 novembre 1990. I fatti raccontati anche grazie a molti particolari inediti hanno ricevuto in questo volume l’avallo ufficiale di un protagonista come Moretti, protagonista del drammatico scenario di Giulino di Mezzegra. Certo, oggi va di moda il revisionismo. Andò come dice Moretti? Fu suo il mitra da cui partirono i colpi, fu la sua la pistola da cui partì il colpo di grazia che finì il dittatore, ancora rantolante mentre Claretta Petacci, la sua amante, era già morta con la raffica sparata dal partigiano Valerio? Perizie balistiche, memoriali, interviste, illazioni nel corso del tempo hanno cercato di confutare se non minare alle fondamenta questa testimonianza, che però nel libro di Perretta rimane, lo ribadiamo, nel suo valore primario di voce in presa diretta, di capsula del tempo”.
“Davanti a quella scena - dice Moretti e Perretta riferisce nel libro - nessuno avrebbe potuto rimanere insensibile e neppure io. Ma al pensiero dei nostri giovani partigiani uccisi sulle montagne dell’Alto Lario che giacevano ancora insepolti dopo tre giorni e per i quali i fascisti avevano negato persino la possiblità della sepoltura, il ricordo della inumana e feroce tortura inflitta a Enrico Caronti e a centinaia e centinaia di partigiani, giovani, donne, vecchi; le stragi commesse dai “camerati” tedeschi e fascisti, il pensare che quella donna che giaceva accanto al cadavere del dittatore mai aveva dimostrato un atto di pietà verso le altre donne, madri, spose e figlie di partigiani (...), il pensiero delle loro immense responsabilità prevalse alla fine su ogni sentimento di umana pietà”.
“…L’importantissima testimonianza di Michele Moretti, uno dei maggiori protagonisti dell’intera vicenda, ha l’ambizione di fornire una ricostruzione definitiva degli ultimi due giorni della vita del duce”, ha scritto Chiara Valentini sull’Espresso dell’11 novembre 1990.
Pagine imprescindibili, dunque, per un ritratto di uno dei momenti al tempo stesso più oscuri e cruciali della storia contemporanea dell’Italia e dell’Europa raccontato da un protagonista, Michele Moretti, la cui esperienza prima e dopo la guerra meriterebbe una biografia a parte, e - perché no? - anche un film.
C’è anche un anniversario a rendere questo libro edito da Lariologo se si vuole ancor più attuale. Nel 1921, dunque esattamente cento anni fa, l’autore Giusto Perretta, segretario e presidente dell’Anpi di Como dal 1948 al 1981 e fondatore dell’Istituto comasco per la storia del movimento di Liberazione, giunse a Como dove il padre, magistrato, era stato trasferito dopo la prima guerra mondiale.
Pier Amato Perretta, questo il nome del padre, da scolpire imperituro nella memoria dei comaschi, il 13 novembre 1944, già confinato politico e ammonito dal fascismo sin dal 1925, venne ucciso dai nazifascisti a Milano, dove agiva nelle file della Resistenza.
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