Graziano Trincavelli |
La Moto Guzzi, i personaggi che hanno scritto pagine indimenticabili nel cammino centenario della Casa dell’Aquila e qualche retroscena curioso legato sempre alla storia dell’azienda di Mandello Lario. Di questo e di altro ancora parla il triestino Matteo Lenarduzzi nella testimonianza che di seguito pubblichiamo:
Da appassionato del mondo Guzzi sono stato più volte a Mandello Lario alla ricerca di curiosità e informazioni raccolte in prima persona direttamente da chi gli anni d’oro dell’Aquila li ha vissuti sulla propria pelle, lavorando nella fabbrica italiana dell’ala dorata.
Così nel tempo ho potuto incontrare, conoscere e fare amicizia con persone meravigliose, speciali, persone che hanno iniziato il loro cammino in Guzzi in giovane età e hanno percorso insieme al marchio lariano tutta la strada lavorativa fino al pensionamento, accumulando un bagaglio di esperienza enorme e unico.
Io ho avuto il privilegio di conoscere queste persone, di fare un piccolo pezzo di strada insieme a loro e di ascoltare tutto ciò che avevano da dire sulla loro esperienza in Guzzi, rivelando una saggezza forse sconosciuta al mondo di oggi nel campo lavorativo.
Luigi Forni era famoso nel mondo dei guzzisti perché era lui che generalmente ti accoglieva presso il museo storico in via Emanuele Vittorio Parodi. Aveva lavorato una vita nel reparto ricerca e sviluppo della Guzzi. Lì si facevano i collaudi di resistenza delle parti progettate e si studiavano nuovi materiali per costruire le moto.
Luigi Forni |
Era un mondo affascinante, con tanto di laboratori dove si stressava un componente che ti arrivava dall’ufficio progetti per verificarne la resistenza e la possibilità di montarlo poi su una moto.
Era fiero del suo lavoro, che spesso lo portava a contatto con i tecnici e i piloti che poi testavano i pezzi da lui approvati in pista.
Una volta in pensione, Forni è rimasto a stretto contatto con la Guzzi ed è diventato, attraverso il Moto club “Carlo Guzzi”, il curatore del museo presso lo stabilimento di Mandello. Conosceva la storia di ogni singola motocicletta esposta.
Federico Mapelli era entrato in Guzzi giovanissimo e aveva fatto la scuola interna di arti grafiche che lo aveva portato a lavorare nel reparto verniciature. Ai suoi tempi non c’erano adesivi o etichette e tutte le scritte venivano fatte a mano libera.
Lui era un “filettatore” e con i suoi pennelli realizzati a mano in crine di cavallo ha dipinto i filetti dei serbatoi delle V7, le scritte dei 60.000 “Cardellini” venduti e il celebre gallo dipinto sullo scudo del “Galletto” e, non meno importante, ha dipinto gran parte delle scritte Moto Guzzi con sotto l’aquila.
Una volta in pensione ha continuato la sua attività restaurando i filetti dei serbatoi per molti collezionisti e restauratori sino alla fine dei suoi giorni.
Federico Mapelli |
Era un piacere sentirlo parlare di come ai suoi tempi tutto si facesse a mano e di quanto i dipendenti fossero felici e orgogliosi del loro lavoro. Realizzò anche molti allestimenti per le fiere internazionali dove la Guzzi esponeva le sue moto. In gioventù fu un abile calciatore e fece parte della squadra di calcio del “Gruppo sportivo Moto Guzzi”.
Andrea Graziano Trincavelli, per tutti Graziano, era una persona speciale. Aveva lavorato presso il reparto attrezzeria della Guzzi, dove arrivavano tutti i pezzi finiti per assemblare una nuova motocicletta da mettere in produzione e con particolari macchine si controllava la bontà dei materiali, anche sottoponendoli a carichi di rottura.
Spesso era a contatto con il “Taj” Carlo Guzzi in persona, che girava continuamente per i reparti. “Il Guzzi - era solito dire Graziano - amava la sincerità e la premiava, così se eri bravo facevi carriera”.
Quando aveva il berretto pressato in testa bisognava stare in campana, perché se ti beccava a non far nulla ti riprendeva verbalmente parlando in dialetto mandellese.
Ma Graziano era custode anche di un tesoro per i guzzisti di tutto il mondo. Lui era il nipote del fabbro di Mandello detto “ferée”, il Giorgio Ripamonti, e abitava sopra quella stessa officina dove nel 1919 un giovanissimo Carlo Guzzi assieme proprio a Ripamonti realizzò il prototipo della “G.P. 500” oggi esposta al museo della fabbrica, che diede poi vita nel 1921 alla Moto Guzzi.
Quell'officina e gli stessi attrezzi usati per realizzare la prima Guzzi sono ancora lì, oggi custoditi dal pronipote Giovanni Trincavelli, per tutti il “Gechi”.
La strada non è soltanto un pezzo d’asfalto ma la vita stessa per un motociclista o un appassionato. E la passione ti porta a muoverti e a fare nuove conoscenze. Quando ho acquistato la mia prima Guzzi sapevo di non aver comprato semplicemente una motocicletta ma ho avuto la possibilità di entrare nella storia del motociclismo che si cela dietro al grande marchio italiano con l’aquila dorata sul serbatoio e ho potuto conoscere le persone che hanno lavorato e contribuito a rendere la Guzzi famosa nel mondo. Sì, Mandello e la Guzzi sono una cosa sola!
Forni, Mapelli e Trincavelli parlavano della Guzzi con gli occhi umidi e pieni di amore, raccontando come per i loro tempi la Guzzi, come la Olivetti di Ivrea, fosse un’azienda all’avanguardia. La Guzzi non era soltanto una fabbrica di motociclette ma un mondo che muoveva un’economia e un indotto che dava lavoro a oltre 2.000 famiglie tra operai e fornitori.
All’interno della fabbrica c’erano le scuole di avviamento al lavoro, il medico, il dentista, un supermercato per i dipendenti a prezzi agevolati, c’erano numerose associazioni sportive e bande musicali che portavano il nome Guzzi. C’erano le colonie estive, il villaggio Guzzi con le case per i lavoratori che venivano da lontano.
Per comprare casa non serviva il mutuo come oggi, bastava chiedere in azienda e ti facevano un prestito che veniva rateizzato sulla busta paga. C’erano i premi per i dipendenti modello e per chi apportava migliorie con nuove idee era previsto un premio economico.
Ciò che mi ha colpito maggiormente è che nelle mie “interviste” tutti e tre i protagonisti che furono testimoni diretti di quei giorni lieti dell’industria lariana terminavano il loro colloquio con questa frase: “Deve sapere che, per noi, lavorare in Guzzi era motivo di vanto di orgoglio. Un vero e proprio onore”.
E se penso ai giorni d’oggi e a come siamo messi con il mercato del lavoro mi assale la tristezza e penso a quanto siamo andati indietro e a quanto invece erano grandi le imprese italiane nel secolo scorso.
Per me è stato un onore aver potuto incontrare e conoscere Luigi Forni, Federico Mapelli e Graziano Trincavelli, persone d’altri tempi, maestri di vita.
Porterò con me per sempre il loro ricordo con la consapevolezza che, pur avendo perso con la loro scomparsa una memoria storica collettiva importante, almeno una piccola parte del loro sapere mi è stata donata da loro e io ne sarò custode nel tempo.
Matteo Lenarduzzi - Trieste
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