La storia dei giardini pubblici di Mandello atto secondo. A soffermarvisi è ancora Luciano Maria Rossi, che attraverso la pagina “Pace e bene, cara Mandello” propone lo scritto che di seguito pubblichiamo:
Torniamo dove eravamo rimasti, con la storia lontana dei giardini pubblici prima che diventassero giardini, sulla scorta dei documenti fornitici dall’Archivio comunale della memoria locale.
Ricordate? Era il 1645 e la famiglia dei Conti Airoldi ottiene il diritto perpetuis temporibus, cioè per sempre, di piantare, tagliare e usare gli alberi nell’area comunale della Gera. Ricorderete anche che abitano proprio lì davanti (dove oggi sono i Falck) e che stanno costruendo un nuovo palazzo al posto di quello vecchio.
Cosa succede dopo? Succede che tale diritto non sarà affatto perpetuo, ma che saranno gli Airoldi stessi, ormai in decadenza, a venderlo all’inizio dell’Ottocento a un privato, e da questo poi ad altri, in una serie di passaggi sino alla fine del secolo.
Prima però c’è un episodio un po’ enigmatico, che ha a che fare con il nuovo palazzo e che avrebbe potuto dare una piega diversa a tutta la vicenda.
Siamo nel 1715, a 70 anni dall’inizio della nostra storia. Sono cambiati i dominatori: dopo gli spagnoli ora abbiamo gli austriaci. Il Conte Marcellino non c’è più e al suo posto c’è un discendente che porta lo stesso nome. E il nuovo Marcellino ha un’idea nuova: comprare la Gera.
Lo sappiamo dal verbale del Consiglio della comunità di Mandello appositamente convocato, in cui viene riferito che “l’illustrissimo signor Conte Marcellino Airoldi vole far spianare in Gera e fare altre cose d’abellimento e necessarie all’ornamento del suo Palazzo”, perciò chiede “se esso Consiglio ha cosa in contrasto a fargli vendita di detto sito”, una volta stimatone il valore.
Il Consiglio si affretta a dirgli di sì e quasi per giustificarsi, dimenticando tutto il lungo contenzioso sulle piante, afferma che si tratta di “un sito sterile, infecondo, ed in niun modo fruttifero”. Aggiunge però che bisognerà avere l’assenso di chi passa sotto il palazzo per andare ai Molini (grosso modo il percorso dell’attuale viale Medaglie olimpiche, tra i giardini e il muro Falck) e poi “dell’illustrissimo signor Conte feudatario”, senza il quale il Consiglio non delibera. Di questo feudo sappiamo che andava da Abbadia a Colico e che fu tenuto per secoli dalla potente famiglia degli Sfondrati.
Come sia andata la questione e se tali assensi siano stati ottenuti oppure no, non è chiaro, ma che qualcosa non filasse giusto per gli Airoldi lo vediamo già l’anno dopo, quando lo stesso Marcellino presenta al Consiglio una “protesta” non meglio precisata in merito alla precedente delibera, e di nuovo il Consiglio si fa premura di confermarla “in tutto e per tutto”.
Sta di fatto che con l’atto notarile del 1807, quasi un secolo dopo, un discendente degli Airoldi, ormai abitante a Rancio, venderà espressamente a un certo Giacomo Spandri di Milano il diritto di piantagione e “tutte le piante di gelso, olive e noci poste sul vigano”, cioè terreno comunale, della “Ghiaia”, ma di certo non l’area stessa.
Siamo in piena bufera napoleonica e anche a Mandello ora comandano i francesi. Gli Airoldi con questo atto escono di scena, ma ci lasciano un ultimo mistero: il loro palazzo secentesco, che si dice essere stato splendido e imponente, viene completamente distrutto proprio in quegli anni da un evento che non conosciamo, al punto da non lasciare sul terreno che misere tracce. Resta solo la vigna, che però passerà più tardi, seguendo anch’essa i diritti di piantagione in Gera, ad altro proprietario.
Luciano Maria Rossi
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