La storia dei giardini pubblici di Mandello Lario atto terzo. A soffermarvisi è ancora Luciano Maria Rossi e quello che segue è il suo scritto:
Ci eravamo lasciati che era il 1807, con le truppe napoleoniche subentrate a quelle austriache e gli Airoldi che vendono la loro concessione in Gera. Poi c’era la misteriosa fine del palazzo secentesco e la vigna ancora di loro proprietà. Ripartiamo da qui con la storia lontana dei nostri giardini.
Come dicevamo, è Giuseppe Airoldi, erede della nobile famiglia ma qui qualificato semplicemente come Signore, che tratta con Giacomo Spandri. Passano così di mano “le piante di gelso, olive e noci” della Gera, insieme con i diritti di piantagione.
Insieme però, a sorpresa, Airoldi, che non fa cenno del palazzo, vende una casa, anzi “un sedime di casa” (cosa intenderà esattamente?), che si presume lì in zona e di cui non lo sapevamo proprietario. Di quale casa si tratta? L’atto di vendita dice che è confinante col lago e con “beni comunali di Mandello” e che comprende una darsena detta “Darsena Airoldi col piccol porto detto molo verso tramontana”, cioè a nord.
Dalla posizione viene da pensare all’attuale casa Pini, di fianco al ristorante “Giardinetto”, del resto l’unica esistente in Gera, anche se di darsena e porticciolo non avevamo notizia. Però non ne siamo sicuri. Quel che è certo è che non hanno niente a che vedere con la darsena Falck e il porto di oggi, che saranno costruiti nel Novecento.
Il tutto, comunque, casa e concessione (che era stata ottenuta gratis), viene venduto per 3.200 lire milanesi, equivalenti a lire italiane 2.456 e 6 centesimi.
Più avanti nel documento ci sono due accenni alla vigna che si stendeva presso il palazzo, cioè in pratica la proprietà Falck di oggi delimitata dal muro. Il primo passo dice: “Non sarà facoltativo al suddetto signor aquirente fare niuna piantaggione verso la vigna di esso signor venditore, se non al di sotto dell’attual linea delle piante, cosicché debba essere libero, e rimanere nello stato attuale il gioco del Ballone, e tutta quanta la linea sino al Fiume”. Sono i confini dei nostri giardini, con l’area riservata al “gioco del ballone” corrispondente almeno in parte a quella coperta del mercato. Come poi si giocasse, con quali regole, possiamo solo provare a immaginarlo.
Un’altra clausola, per evitare eventuali contestazioni future, esclude espressamente dal contratto le piante di gelso (quante ce ne dovevano essere a Mandello!) “poste al di sopra del muro della vigna” del venditore, “cioè quelle del cosiddetto Seraglio, della B. Vergine del Fiume e della strada alla casa Bianchi”.
Il Serraglio era un’area sterrata per le fiere di bestiame che oggi girerebbe da viale Medaglie olimpiche in via Maestri Comacini e al depuratore, all’esterno del muro Falck. La famiglia Bianchi, invece, la troveremo nei prossimi documenti come ultimi detentori privati della concessione in Gera, ma non ho capito bene dove abitassero. Infine è significativo il ripetuto silenzio sul palazzo, che da altre fonti, come abbiamo già detto, sembra in demolizione, avvolta nel mistero, proprio in quegli anni.
La concessione Spandri, peraltro, non durerà a lungo. Già nel 1831 (intanto erano tornati gli austriaci) venderà “le piante di gelso e altre” per 2.605 lire milanesi a Giovan Battista Provasi, farmacista domicilliato a Mandello (a Lecco c’è tuttora una farmacia Provasi). Della casa con darsena e della vigna non si parla.
Giovan Battista, però, avrà difficoltà a pagare, chiederà una dilazione e salderà la somma a rate entro sei anni.
Ma non molto dopo, nel 1852, venderà anche lui, in questo caso al dottor Cesare Bianchi, le piante di “gelsi, noci, olive e rubine” della Gera per “il prezzo d’Austriache lire 1.000”, che risultano già pagate al momento dell’atto. Chi ci avrà guadagnato o perso, difficile dirlo.
Con la famiglia Bianchi di Mandello ci avviamo verso la fine parziale della nostra storia, perché dopo di loro ci sarà solo il Comune a gestire la Gera. Però resta da raccontare qualche altro particolare. Alla prossima, allora!
Luciano Maria Rossi
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