Seguirà l’adeguamento dell’impianto elettrico, prima del collaudo finale previsto per la fine del mese di giugno
Ultimo atto per il restauro dell’organo della Madonna del fiume a Mandello. Domani inizieranno i lavori di montaggio, dopo che nelle ultime settimane si è provveduto alla bonifica e al consolidamento del solaio del Santuario per consentire appunto l’installazione dell’intero impianto, cui seguirà l’adeguamento dell’impianto elettrico, prima del collaudo previsto per fine giugno.
L’organo è uno strumento dalla storia millenaria e curiosissima. Nato in Asia Minore con lo scopo di comprovare l’efficacia dell’invenzione di un ingegnere di Alessandria d’Egitto, successivamente venne impiegato per gli usi più curiosi. Ad esempio sono pervenuti diversi documenti raffiguranti un organo utilizzato come colonna sonora durante gli spettacoli allestiti nei teatri romani. Molti secoli più tardi, in epoca medievale, lo si trova nelle grandi cattedrali a sostenere, con lunghe note, il canto liturgico nel corso dell’esecuzione dei primi brani polifonici.
Con il Rinascimento e, in seguito, nel corso della Controriforma, l’impiego dell’organo all’interno delle chiese divenne sistematico ed è in quel periodo che si gettarono le basi affinché lo strumento acquisisse quelle caratteristiche che lo contraddistinguono universalmente ai giorni nostri.
Ciascun organaro infondeva nel proprio strumento la sua stessa anima: costruiva le canne una ad una e, con il proprio fiato, le intonava infondendo in quell’involucro inerte il proprio respiro. Per questa ragione un organo storico è un vero e proprio documento sonoro riconducibile, con opportune conoscenze e osservazioni, a una scuola lombarda, ovvero a uno strumento di tradizione veneta o toscana.
Il Santuario della Beata Vergine del fiume di Mandello è sicuramente una tra le chiese più belle dell’intero patrimonio artistico presente sul territorio lariano. Questo gioiello del primo Barocco, edificato in soli tre anni nel periodo dell’immediata Controriforma, è da sempre al centro della pietà popolare mandellese. Ma i nostri avi non si accontentarono di portare a termine la sua costruzione in un tempo così breve.
Nei documenti relativi al Santuario si evince la volontà di dotare la chiesa di un organo fin dai primi momenti della sua apertura al culto. E’ del 1650, infatti, il primo documento che attesta la presenza di un strumento utilizzato per il servizio divino. Si tratta di un fatto piuttosto inusuale considerato che, per ragioni economiche, difficilmente una chiesa nuova veniva dotata di un organo negli anni immediatamente successivi alla sua costruzione.
Chiunque abbia avuto la fortuna di varcare la porta del Santuario prima del 2016 non avrà potuto fare a meno di notare, nell’alta balconata sopra il portale d’ingresso, una schiera di canne, incorniciate da una splendida cassa lignea dorata, perfettamente coerente con lo stile della chiesa. Si trattava di ciò che rimaneva dell’antico strumento di cui si è appena detto, attribuibile alla scuola dell’organaro Carlo Prati, il quale - dalla seconda metà del Seicento in poi - visse il suo momento di massima celebrità.
Di origini comasche, Carlo Prati fu uno tra i più importanti costruttori di organi del Seicento. Lavorò in Trentino, nel Comasco e in Valtellina. Di Prati rimangono pochissimi strumenti, molto pregiati, caratterizzati da un suono trasparente e particolarmente brillante.
Ascoltando un organo Prati si può apprezzare la competenza dell’organaro nel coniugare sapientemente elementi caratteristici degli organi d’Oltralpe con quelli degli strumenti italiani. Forse ciò è dovuto al territorio in cui operò, al confine tra le Alpi, a cavallo tra due grandi culture organarie.
Peraltro la capacità di fondere in modo armonico le migliori prassi costruttive del tempo è ascrivibile alla sua sensibilità artistica, che lo portò a far tesoro degli insegnamenti di altri importanti organari del tempo.
Prati infatti conobbe e proseguì l’opera di Guglielmo Hermans, con il quale collaborò alla realizzazione dell’organo di Santa Maria Maggiore in Trento. Negli anni, Prati decise di stabilirsi definitivamente a Trento. Qui assimilò la pratica e gli insegnamenti di Casparini. Prati fu anche incaricato di restaurare gli organi del Duomo di Milano e giudicò “essere cosa molto essenziale di aggiungere nuovi registri” tra cui il Cornetto. Come spesso accadeva in passato, lo strumento musicale, rappresentava non soltanto uno status, ma esprimeva in modo tangibile l’impegno spirituale e culturale di una comunità.
L’organo della Madonna del Fiume sembra ragionevolmente attribuibile a Giovanni Battista Reina, allievo di Carlo Prati. Reina operava nella sede comasca della ditta che fu già del suo maestro prima della sua definitiva partenza per Trento e la collaborazione tra i due organari era frutto, oltre che di una profonda stima reciproca, di opportune strategie di mercato che consentivano alle due ditte, pur nella loro reciproca autonomia, di abbracciare un territorio potenzialmente vastissimo.
Nell’individuare in Giovanni Battista Reina il costruttore dell’organo destinato ad accompagnare le liturgie nel Santuario, la comunità di Mandello volle scegliere il meglio in assoluto. Tra l’altro, nel caso specifico proprio di Mandello, la collaborazione con Prati si evince dai documenti del libro cassa.
Le ultime testimonianze sull’organo funzionante risalgono alla prima metà del XX secolo. Successivamente, dopo oltre trent’anni di inutilizzo, si perse ogni traccia di questo prezioso strumento ma nell’agosto 2016, grazie all’interessamento di esperti e appassionati, che avevano dato vita a un’associazione ad hoc intitolata ai musicisti mandellesi Anselmo Zucchi e Giuseppe Scanagatta, con un minuzioso lavoro di studio e di ricostruzione è stato tracciato e raccolto l’antico materiale sparso in diversi luoghi.
Fondamentale, va detto, è stato il contributo di un mandellese che ha voluto mantenere l’anonimato e che ha avuto la sensibilità, la lungimiranza e la cura di salvare dalla distruzione e preservare la maggior parte dei componenti. E oggi, grazie a lui, è stato possibile portare al termine quello che soltanto cinque anni fa appariva un sogno irrealizzabile.
Una volta entrati in possesso di tutto il materiale, il restauro di questo strumento preziosissimo è stato affidato alle maestranze della Bottega organaria valtellinese “Pradella organi”, specializzata nel restauro storico-filologico di strumenti antichi secondo le tecniche costruttive originali.
Il restauro vero e proprio è stato preceduto da un’accurata fase di studio e di schedatura preliminare che ha consentito di attribuire in modo inequivocabile la paternità al materiale ritrovato e la sua coerenza con lo strumento secentesco del Santuario.
Seppur maggiormente costosa e impegnativa, la scelta di una bottega che lavora secondo questa filosofia avrà un significativo ritorno in termini di validità di tutto il progetto, in quanto lo strumento corrisponderà perfettamente alle condizioni originali permettendo uno studio particolareggiato della prassi esecutiva della letteratura italiana antica.
La bottega “Pradella organi” è dotata di una propria fonderia (gettata su sabbia e su tela) per la realizzazione delle canne di metallo secondo le tecniche costruttive antiche. Realizza in proprio ogni pezzo, dalla più piccola squadretta di meccanica fino alle casse monumentali degli strumenti più complessi.
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