“Quando un medico, un’infermiera o un infermiere del reparto Malattie infettive del “Manzoni” di Lecco varcavano la soglia della mia stanza, con loro entrava un raggio di sole”
Da Mandello riceviamo e pubblichiamo:
Ho vissuto e sto tuttora vivendo in prima persona l’esperienza difficile e certamente traumatica del Covid. Era fine marzo quando ho iniziato ad avvertire i primi sintomi della malattia: dolori articolari, febbre a 39, spossatezza e valori di saturazione dell’ossigeno nel sangue molto bassi.
Dopo qualche giorno di attesa nella vana speranza che tutto potesse risolversi restando a casa, tra l’altro mentre mio marito Rosario iniziava a sua volta ad accusare alcuni tra i malesseri tipici del virus, la decisione di mia figlia Mariagrazia di allertare il Soccorso degli alpini di Mandello e i suoi meravigliosi volontari che, prontamente intervenuti, il 2 aprile hanno provveduto a trasportarci all’ospedale “Manzoni” di Lecco.
Le prime visite, il tampone positivo sia nel mio caso sia per mio marito, fortunatamente subito dimesso. Ad attendere me, invece, c’era il ricovero nel reparto Malattie infettive, stanza numero 9, dove sono rimasta fino a mercoledì 14, quando ho potuto fare ritorno nella mia casa di Mandello, ancora positiva al Covid (come del resto mio marito), molto provata e debilitata dalla malattia ma comunque in condizioni tali da autorizzare un certo ottimismo sul mio completo recupero, aspettando la data del nuovo tampone, fissato per il prossimo 21 aprile.
Ebbene, ciò che più mi preme in questo momento è dire un grande, grandissimo grazie a tutti quelli che mi sono stati vicini. Ai miei figli Manuel e Mariagrazia e a mio marito, per iniziare, alle mie sorelle e ai miei fratelli, agli affezionati nipoti, ai cugini, alle cognate, ai cognati e indistintamente a tutti i miei familiari e agli amici. Nessuno di loro mi ha lasciata sola in quei giorni difficili in cui naturalmente ero isolata da tutto e da tutti, come ogni paziente affetto dal coronavirus.
Avevo però, in quegli stessi giorni, la vicinanza e l’amore dello staff medico e del personale infermieristico del reparto in cui ero degente e questo non lo dimenticherò mai. Sono stati tutti semplicemente stupendi e mi hanno fatto sentire la loro vicinanza, il loro sostegno, il loro incoraggiamento, vuoi con una carezza vuoi semplicemente con uno sguardo amorevole e con un sorriso.
Nonostante lavorino instancabilmente, con professionalità e dedizione impagabili, senza limiti di orario e senza dispendio di energie, mi hanno fatto capire che non ero sola e che dovevo soltanto aspettare che la malattia facesse il suo corso e che anche per me arrivasse il momento di ripartire e di riabbracciare i miei affetti più cari.
Quando uno di loro - fosse appunto un medico, un’infermiera o un infermiere - varcava la soglia della mia stanza, con loro entrava un raggio di sole. Questa, più di ogni altra, è l’immagine che rimarrà a lungo impressa nella mia memoria. No, non dimenticherò mai l’affetto che ho ricevuto in questa circostanza, patrimonio prezioso di cui fare tesoro.
Rosaria Venturino
Chi svolge con amore il proprio ruolo moltiplica l amore di cui abbiamo tutti bisogno
RispondiEliminaNe sono profondamente commosso da questo racconto di mia sorella Rosaria. Che dire grazie a tutti coloro che ti sono stati vicino. In questo difficile periodo di sofferenza.
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