I suoi “ragazzi” del Cai Grigne: “Ne abbiamo fatta di strada, con te al nostro fianco”. La nipote Francesca: “Sei sempre stato uno spirito libero e uno sportivo e hai lasciato il segno in tutto quello che hai fatto. Fai il bravo, lassù!”
di Claudio Bottagisi
Alla Comunione una voce femminile intona il Signore delle cime, il canto più appropriato per l’ultimo saluto a Oreste Lafranconi. La bara dell’ex presidente del Cai Grigne, anima non soltanto del sodalizio alpinistico ma anche di quella Secim che a partire dagli anni Sessanta ha avvicinato alla montagna generazioni di mandellesi, è appena sotto i gradini del presbiterio. C’è la sua foto, sopra. C’è un cuscino di fiori e c’è la sciarpa del Torino a ricordare il suo “vecchio cuore granata”.
Poi una maglietta da basket, la disciplina sportiva praticata prima da suo figlio Alberto e ora dal nipote Samuele. E un’altra sciarpa, quella della “Curva Stornelli”. Già, perché anche Oreste aveva finito con l’appassionarsi (e quanta grinta metteva, in quel suo tifo da stadio!) alla pallacanestro. Una passione, la sua, che lo portava a seguire non soltanto le partite casalinghe di quella che era diventata l’altra sua squadra del cuore, appunto la formazione della Polisportiva Mandello che milita in serie D, ma pure le trasferte.
Appoggiato alla bara il labaro del Cai, la sua seconda casa. E la sua seconda famiglia. Proprio i suoi “ragazzi” della sezione Grigne, quelli che - per dirla con le loro stesse parole - lo costringevano ad alzarsi a orari per lui improponibili, gli hanno tributato l’estremo saluto al termine del rito funebre celebrato oggi pomeriggio nella chiesa arcipretale di San Lorenzo.
“Ne abbiamo fatta di strada, con te al nostro fianco - ha detto uno di loro - Ci hai tirato grandi perché mangiavamo sempre “fuori dal tuo zaino” e puntualmente dimenticavamo di prepararti un thermos di caffè… Tu c’eri sempre quando serviva proporre un’idea, c’eri quando serviva il lavoro duro, quando occorreva prendere una decisione, quando servivano i tuoi consigli per organizzare le uscite”.
E ancora: “C’eri quando occorreva essere seri o quando era il momento di rilassarsi e divertirsi, eccome se c’eri! Fatichiamo a ricordare un battibecco con te. Eri capace di stemperare la tensione con una semplice battuta che coglieva sempre nel segno”.
Poi l’ultimo saluto: “Non sarà facile camminare senza di te, ma l’amore per la montagna che ci hai trasmesso ci aiuterà. Ciao, papi”.
All’omelia, don Ambrogio Balatti aveva innanzitutto ricordato l’odierna ricorrenza della presentazione di Gesù al tempio. “In questa festa - aveva premesso - ci viene ricordato che ognuno di noi è lampada accesa che cammina incontro al Signore. Ecco, Oreste è stato una lampada splendente che irradiava calore. Era un generoso e aveva un carattere forte, tipico di chi è tenace. Nella sua lunga vita ha svolto molteplici attività e ha saputo esprimersi al meglio in vari campi, a partire da quello della montagna e dell’alpinismo, senza trascurare il volontariato e in particolare la disabilità”.
Poi un accostamento alla figura del discepolo di Cristo descritto da San Paolo nella prima lettura e la consapevolezza che “Oreste, uomo di fede battezzato in questa stessa chiesa, ha saputo maturare un’identità cristiana che si traduceva in opere di carità”.
Infine una sollecitazione. “Il suo ricordo - aveva detto il celebrante - ci faccia assumere un impegno, ossia quello di continuare a camminare seguendo i buoni esempi che lui ci ha lasciato”.
Tenero e commovente, alla fine delle esequie, il saluto della nipote Francesca. “Nessuno di noi si aspettava di essere qui oggi - ha esordito - Hai messo in subbuglio mezza Mandello, anzi, probabilmente tutta. Io e te siamo sempre stati un po’ come cani e gatti, anche se non sono mancati i momenti di complicità, ma d’altronde da te non ho preso soltanto gli occhi chiari ma soprattutto la testa dura… Fin da piccola hai cercato in tutti i modi di trasmettermi la tua passione per la montagna, obbligandomi ad andare alla Secim per anni! Beh, sappi che alla fine una parte di quella passione è arrivata, anche se con qualche anno di ritardo”.
Quindi un riferimento al carattere forte del nonno: “Se io e i miei cugini avessimo avuto un euro per tutte le volte che ci hai detto “vedi di studiare” o “che crapa che te ghe”, oggi saremmo ricchi, ma sappiamo che quello era uno dei tanti modi di dimostrarci il tuo affetto”.
Poi ancora: “Sei sempre stato uno spirito libero e uno sportivo e di sicuro hai lasciato il segno in tutto quello che hai fatto e nelle tante persone che hai incontrato. Ora mi piace pensare che ovunque tu sia ti sia già inventato qualcosa da sistemare e abbia già convinto qualcuno ad aiutarti, perché sappiamo che non sai stare fermo”.
“Sono stati giorni difficili - ha ammesso Francesca avviandosi a concludere il suo commiato - ma vedere l’affetto e la stima che tutti avevano per te ci ha sicuramente aiutati. Ci mancherai e ci manchi già e non preoccuparti per la tua “Bebi”, a lei penseremo noi”.
Infine una bonaria raccomandazione a nonno Oreste: “Fai il bravo, lassù!”.
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