20 gennaio 2021

Giorgio Redaelli racconta Maestri: “Così convinsi Cesare a fare lo Sperone della Brenva”

Con il “ragno delle Dolomiti”, morto ieri all’età di 91 anni, il mandellese “re del Civetta”, classe 1935, fu protagonista di quella salita sul Bianco

Giorgio Redaelli, a sinistra, con Cesare Maestri.


(C.Bott.) Tra i più forti alpinisti (non soltanto italiani) degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, l’epoca d’oro del sesto grado superiore, si distingueva per la sua capacità di esprimersi ai più alti livelli sia sulla roccia dolomitica sia sul terreno d’alta quota delle Alpi occidentali.

Si sta parlando di Giorgio Redaelli, classe 1935, originario di Mandello e da anni residente in Valsassina, protagonista di grandi imprese alpinistiche. Tra le altre quella del 1963, quando Redaelli scalò in prima invernale la via Solleder-Lettenbauer, sulla parete nord-est del Civetta. Quella salita entrò nella storia dell’alpinismo. Con lui vi erano Ignazio Piussi, (suo coetaneo, scomparso nel 2008) e Toni Hiebeler, classe 1924, morto nell’84 in un incidente in elicottero mentre stava sorvolando le Alpi Giulie.

Guida alpina, accademico del Cai, membro dell’Ecole militaire de haute montagne di Chamonix e istruttore nazionale di alpinismo, ma anche maestro di sci, è soprannominato non a caso il “re del Civetta” proprio per le innumerevoli ascensioni da lui effettuate in quel gruppo montuoso. E con lui, in più occasioni, vi era Cesare Maestri, il “ragno delle Dolomiti” - così era soprannominato - scomparso ieri all’età di 91 anni, capace di collezionare una lunga serie di salite estreme, molte delle quali in solitaria.

Redaelli conobbe Maestri negli anni Cinquanta e con lui scalò sul Monte Bianco lo Sperone della Brenva, salito per la prima volta nel 1865, dopo che entrambi erano stati respinti nei loro tentativi in solitaria rispettivamente sulla via Major e sulla “Poire”, aperte entrambe da Thomas Graham Brown, inglese di origini scozzesi, con altri alpinisti.

Di quell’ascensione Giorgio Redaelli parla nel suo libro Momenti di vita. Vi si legge: “La ferma militare era agli sgoccioli ed ero allenatissimo. Un giorno il colonnello mi manda a chiamare e mi dice: “So che sei allenato. Domani arriva Cesare Maestri e vuole andare a fare una delle vie del Bianco, versante della Brenva. Cerca un compagno, vuoi andarci?”. “Signor sì”, è la mia risposta. Che felicità, anche perché Maestri lo conoscevo soltanto di fama!”.

Il giorno successivo Redaelli e Maestri prendono la funivia che porta al rifugio Torino, poi via verso il bivacco della Fourche, raggiunto prima di mezzogiorno di una giornata fantastica.

"Passiamo il pomeriggio a scrutare le vie - scriveva il “re del Civetta” - fa molto caldo e Cesare mi svela le sue intenzioni, che non sono di fare una salita in cordata con me ma di salire la “Poire” in solitaria. Allora gli dico: “Se tu fai la “Poire”, vorrà dire che io farò la “Major” così, visto che non conosci la discesa, ci vediamo in cima e scendiamo insieme”. Quello è stato un pomeriggio per me unico. Abbiamo parlato di tutti i nostri colleghi alpinisti più o meno famosi e più o meno reclamizzati e di tanto in tanto tenevamo d’occhio due cordate impegnate sullo Sperone della Brenva”.

Nei passaggi successivi del racconto di Redaelli vi è la decisione di rinunciare a quel progetto. Troppo pericoloso per il rischio delle scariche che, complice il caldo, avrebbero potuto colpire i due alpinisti.

“Cesare è demoralizzato e arrabbiato - si legge sempre nel racconto dell’alpinista mandellese - e mi dice in modo secco: “Torniamo”. Al che io gli dico: “Come torniamo? Siamo qui all’attacco dello sperone, non hai mai fatto il Monte Bianco, quale occasione migliore di questa?”. Così lo convinco a fare lo Sperone della Brenva e alle 3.15 attacchiamo… Arriviamo in vetta tutto di corsa, un attimo in cima e poi giù verso la Vallot, breve sosta e via di nuovo per la Cresta di Bionnassey, che io conosco molto bene. Una fermata al rifugio Gonella e alle 13.30 siamo seduti in Val Veny. Una macchina di un escursionista ci porta da lì a Courmayeur… In dodici ore avevamo fatto Bianco e ritorno e per quei tempi credo fosse stato un ottimo exploit”.

Quindi una considerazione: “Riflettendo, mi rendo conto che arrampico solo da tre anni e che in quel breve periodo mi sono già legato in cordata con quasi tutti i mostri sacri dell’alpinismo”. Già, anche con Cesare Maestri, il “ragno delle Dolomiti”.

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