La mandellese Adriana Lafranconi spiega le novità introdotte in campo scolastico già a partire dalla fine di questo primo quadrimestre
Adriana Lafranconi |
Da qualche settimana si parla dei cambiamenti che riguarderanno la valutazione degli alunni della scuola primaria già a partire dalla fine di questo primo quadrimestre. Nello specifico, il genitore di un alunno appunto della primaria che a giugno era andato a “ritirare la pagella”, si era trovato a leggere i voti per italiano, matematica, storia e via di seguito, oltre a un giudizio sul livello generale di sviluppo degli apprendimenti del bambino e a uno sul suo comportamento, nonché la valutazione relativa alla religione cattolica o alle attività alternative.
A febbraio, appunto al termine del primo quadrimestre dell’anno scolastico in corso, al posto dei voti troverà invece giudizi descrittivi, articolati su quattro livelli, così definiti dalla normativa: In via di prima acquisizione - Base - Intermedio - Avanzato. Il resto rimarrà invariato.
La storia degli ultimi decenni, del resto, ci ha abituati alle modifiche: dai voti ai giudizi analitici nel 1977, tante variazioni negli anni successivi, il ritorno al voto nel 2009 e ora appunto la sostituzione del voto stesso.
Ma quali le ragioni di questo cambiamento? A rispondere è Adriana Lafranconi, mandellese, cultrice di pedagogia all’Università di Bergamo e da questo anno accademico tutor senior presso il corso di laurea di Scienze della formazione primaria, sempre a Bergamo.
“Partiamo da un dato - afferma - ossia quello secondo cui la normativa emanata a dicembre dà risalto alla funzione formativa della valutazione: rispetto alla valutazione dell’apprendimento, attenta in particolare ai risultati raggiunti dall’alunno, si privilegia quella per l’apprendimento. Per capirci, si valuta come aiutare l’alunno a potenziare sempre meglio le capacità personali, per migliorare continuamente”.
Perché, però, il voto non viene ritenuto adatto a questo tipo di valutazione formativa?
“La valutazione formativa richiede di specificare come il bambino impara e di descrivere in modo analitico i risultati che ha raggiunto, per capire come intervenire al meglio. Tocca alla scuola spiegare ai genitori i motivi della sostituzione del voto e il complesso di questa normativa, ma gli stessi docenti, complici i tempi ristrettissimi per realizzare quanto richiesto, potranno non riuscire a indagare adeguatamente il nuovo scenario. Così c’è il rischio che questo cambiamento possa essere solo… di superficie. Va anche detto che in queste settimane, incontrando molti insegnanti in attività di formazione sulla valutazione, mi ritrovo a confrontarmi con i tanti, tra loro, che già auspicavano di poter andare oltre il voto, perché impegnati in una scuola attenta non soltanto ai risultati ma anche a come il bambino procede per imparare, o perché rispettosi dello stile originale di ogni alunno che il voto non consente di rendere trasparente”.
Ma tutti i docenti hanno colto il senso del cambiamento?
“Premetto che purtroppo trovo anche insegnanti che pensano di risolvere il nuovo dettato normativo attribuendo il livello più alto, ossia quello Avanzato, agli allievi che con le regole precedenti in vigore avrebbero preso 9 o 10, e il più basso - In via di prima acquisizione - a chi sarebbe stato tra il 5 e il 6, o giù di lì. Sono i docenti che non hanno capito che è cambiato lo scopo della valutazione, o che tacitamente lo rifiutano perché hanno ben compreso il carico di lavoro che il nuovo scopo comporta. Una resistenza ricorrente, a ogni richiesta di un impegno maggiore. Chi è invecchiato nella scuola conosce bene queste dinamiche”.
Come chiarire questo cambio, allora, a un genitore, o comunque a chi non è addetto ai lavori e vuol capire cosa succede a proposito della valutazione scolastica?
“Correndo il rischio dell’eccessiva semplificazione, potrei dire che nel primo caso - valutazione dell’apprendimento - il genitore si aspetta di sentirsi illustrare dagli insegnanti il livello degli esiti raggiunti dal proprio figlio. E’ contento se sono positivi e sente gravare in particolare su di sé la responsabilità se non lo sono. Nel secondo - valutazione per l’apprendimento - la scuola, mentre spiega al genitore quali sono i livelli conseguiti dal bambino, si impegna anche a mettere in atto tutte le soluzioni per potenziare ulteriormente il percorso di apprendimento dell’allievo. Non si tratta dunque di fare un’equivalenza tra un livello che si potrà leggere a febbraio e un voto letto a giugno. Nelle Linee guida leggiamo che la valutazione formativa è strumento per “sollecitare il dispiego delle potenzialità di ciascuno partendo dagli effettivi livelli di apprendimento raggiunti, per sostenere e potenziare la motivazione al continuo miglioramento a garanzia del successo formativo e scolastico […] per adattare l’insegnamento ai bisogni educativi concreti degli alunni e ai loro stili di apprendimento, modificando le attività in funzione di ciò che è stato osservato e a partire da ciò che può essere valorizzato”. In sintesi, mentre si conferma l’impegno dell’allievo a migliorarsi, alla scuola si attribuisce una responsabilità maggiore nel permettere a ciascuno di andare oltre i livelli già raggiunti e si rimarca che il momento della valutazione deve strettamente intrecciarsi con quello della progettazione delle attività per gli allievi. Del resto, la normativa già prevedeva che, per gli obiettivi non ancora raggiunti o per gli apprendimenti in via di prima acquisizione “l’istituzione scolastica, nell’ambito dell'autonomia didattica e organizzativa, attiva specifiche strategie per il miglioramento dei livelli di apprendimento” (articolo 2 comma 2 del decreto legislativo numero 62/2017)”.
Sulla base di quali elementi viene attribuito a un alunno un determinato livello?
“Le
voci date dal ministero sono quattro: l’autonomia dell’alunno, il tipo di
situazione in cui un apprendimento viene espresso, le risorse di cui l’allievo
si avvale, il livello di continuità nel manifestare un dato
apprendimento. Incrociando i vari gradi di manifestazione di queste dimensioni,
la normativa propone, come già detto, quattro livelli. Per esemplificare,
mettiamo a confronto il primo e l’ultimo: In
via di prima acquisizione - L’alunno porta a termine compiti soltanto in
situazioni note e unicamente con il supporto del docente e di risorse fornite
appositamente; Avanzato - L’alunno
porta a termine compiti in situazioni note e non note, mobilitando una varietà
di risorse sia fornite dal docente sia reperite altrove, in modo autonomo e con
continuità”.
Qual è il suo parere sul quadro normativo considerato?
Preferisco sintetizzare il parere emerso grazie al contributo di docenti particolarmente competenti in materia in incontri di riflessione e seminari svolti presso l’Università di Bergamo. Certamente positiva l’insistenza sulla valutazione formativa, così come la sottolineatura dell’impegnare i bambini in un compito, termine usato nella letteratura pedagogico-didattica per riferirsi a situazioni problematizzanti, molto più ricche dell’esercizio scolastico. Però si parla di autonomia, risorse, situazione, livello di continuità, ma non si descrive cosa il bambino apprende e a quale livello. Inoltre, avendo a disposizione solo quattro livelli, rispetto ad esempio alla gamma dal 5 al 10 dei voti, si riesce a differenziare meno tra i percorsi degli alunni e si comprimono le differenze. Di fatto, si badi bene, non è più prevista la possibilità, già remota, dell’insufficienza. La descrizione dei quattro livelli può essere paragonata ad altrettante maschere che si pretende di far calzare a pennello ai diversi volti di tutti i 20/25 alunni di una classe. Operazione chiaramente impossibile”.
Come si stanno attrezzando le scuole a questo nuovo impellente compito?
“Per ora mi pare di aver messo in campo già troppe informazioni. Quanto invece alle valutazioni “in itinere”, le loro modalità pratiche restano affidate agli insegnanti perché esse, e le relative prove, sono per così dire una parte del processo quotidiano di raccolta degli elementi che conducono alle valutazioni periodiche e finali. Sono “appunti di viaggio” per gli insegnanti, gli alunni e i genitori, che danno conto innanzitutto del progresso negli apprendimenti, ma che consentono altresì agli stessi insegnanti di rimodulare la propria attività e di progettare i momenti di individualizzazione e personalizzazione che sono strumenti preposti al successo formativo delle classi loro affidate”.
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