Il missionario liernese scrive: “Il mio desiderio e il mio augurio sono che non vi sentiate mai soli, soprattutto nelle avversità”
Padre Alberto Pensa festeggiato lo scorso novembre al suo rientro in Thailandia. |
(C.Bott.) “Sarà un Natale insolito, come tutto l’anno che sta per concludersi. Un anno in cui purtroppo abbiamo dovuto affrontare e conoscere le nostre fragilità, le difficoltà causate dalla pandemia, la perdita di familiari o conoscenti. Auguro che questo Natale sia per ciascuno di voi e per i vostri cari una luce che entri dentro di noi, sostenga la nostra speranza, ci renda forti nella fede e aumenti il nostro amore”.
Così padre Alberto Pensa, missionario liernese da quasi cinque decenni in Thailandia, dove ha potuto fare ritorno soltanto di recente dopo aver trascorso in Italia otto lunghi mesi di quello che lui non aveva esitato a definire “un esilio forzato”, introduce il suo messaggio augurale in vista del Natale e del 2021. Un messaggio - quello di padre Alberto, sacerdote dal 1965 - indirizzato agli amici tramite la significativa “lettera aperta” che di seguito pubblichiamo:
Ripensando all’anno che sta per concludersi, per la prima volta mi sono ritrovato a trascorrere più tempo in Italia che qui in Thailandia. Ho trascorso otto mesi riempiti da un grande vuoto. Come molti di voi sanno, infatti, anche per me il 2020 è stato “particolare”: ho fatto rientro a metà febbraio per stare accanto a mio fratello Lino, gravemente malato, accompagnandolo fino all’ultimo dei suoi giorni, il 24 febbraio.
Per me Lino è stato un punto di riferimento. Tante volte è venuto a trovarmi in missione, mettendo a frutto la sua abilità nel sistemare tante cose (soprattutto per quanto riguarda l’installazione elettrica del Centro). Quella missione che lui portava sempre nel cuore e nei pensieri anche negli ultimi mesi trascorsi tra l’ospedale e la casa.
Nonostante la malattia che inesorabilmente avanzava, fin quando le forze lo hanno sostenuto ripeteva spesso il suo desiderio di ripartire, una volta guarito. Purtroppo a causa delle restrizioni dovuti all’emergenza sanitaria non sono state celebrate le esequie, se non una piccola ma intensa cerimonia nel giardino di casa. Contemporaneamente qui, a distanza di oltre 8.000 chilometri, tutti lo hanno voluto ricordare, in particolare i più grandi che lo hanno conosciuto come “nonno Lino”.
Poche settimane dopo anche il mio fratello maggiore, Pietro, ci ha lasciato. Avrei dovuto far ritorno in Thailandia alla fine del mese di aprile, ma la pandemia ha fatto saltare tutti i programmi e il lockdown ha portato anche me a trascorrere diversi mesi chiuso in casa.
Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti.
Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono “Siamo perduti”, così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto proprio, ma soltanto insieme.
Avrei voluto incontrare tutti coloro che, nel corso di questi anni, hanno fatto visita alla missione, ma anche questo mio desiderio si è scontrato con la realtà che tutti abbiamo vissuto. Ho sentito comunque l’affetto di tutte queste persone.
Il rientro non è stato facile, ma dopo circa due mesi dall’apertura della pratica, dal Consolato thailandese ho ricevuto il nullaosta per poter partire. La situazione generale del Paese è di gran lunga migliore rispetto all’Italia. Mentre vi scrivo i dati ufficiali, dall’inizio della pandemia, parlano di 4.261 casi accertati, con 3.977 ricoveri, di cui 211 hanno avuto bisogno di cure intensive, e di 60 morti.
I numeri non elevati della pandemia che ha colpito il Paese sono da ricondurre a tutte le precauzioni che il governo centrale, fin dai primissimi giorni dell’emergenza, ha adottato: frontiere chiuse, ingresso in Thailandia solo in una seconda fase con un permesso e quarantena obbligatoria (attuata seriamente), oltre all’obbligo di utilizzo delle protezioni come la mascherina e il distanziamento sociale.
Appena arrivato ho trascorso due settimane di quarantena obbligatoria in un hotel a Bangkok. Durante la quarantena mi ha fatto compagnia il libro Come foglie di tè di una scrittrice cinese, Lisa See, residente in America: parla di una donna Akha e delle sue peripezie. Il libro inizia con queste parole dette da una mamma Akha che è tutto nel villaggio, levatrice e custode delle tradizioni: “Non esiste storia senza coincidenze”. E possiamo capire questa frase guardando i passi compiuti nella nostra vita.
Queste pagine mi hanno fatto rivivere i primi anni trascorsi in Thailandia a contatto con gli Akha della vecchia tradizione quando, giovane, percorrevo la foresta per ore a piedi per raggiungere quelle poche famiglie cattoliche che attendevano un prete per la celebrazione dell’Eucarestia.
Conclusa quarantena il 2 novembre, mi sono recato per alcuni giorni al Seminario di Sampran, alle porte della capitale. Durante l’emergenza i giovani hanno studiato a casa essendo stato chiuso il seminario-università “Lux mundi”, che ha riaperto i corsi nel mese di luglio. Per occupare il tempo in quella che possiamo chiamare “reclusione forzata”, non avendo potuto fare ritorno in famiglia, i giovani si sono attivati per realizzare loro stessi la rete di protezione del campo sportivo.
Un tecnico amico è stato una guida indispensabile: infatti in seminario studiano filosofia e teologia, non la tecnica di saldatura del ferro!
La “vita” nei villaggi sulle montagne ha visto un drastico cambiamento: per quattro mesi non è stato possibile entrare e uscire e occorreva rispettare le indicazioni delle autorità locali.
Il 5 novembre ho fatto finalmente ritorno all’Holy family catholic centre. Appena arrivato alla missione sono stato accolto dalla spontanea gioia dae bambini e in quel momento qualsiasi “distanziamento sociale” è venuto meno. Proprio in quell’istante il mio primo pensiero è stato: “Sono davvero tornato a casa”.
Anche al Centro la vita è stata segnata dall’emergenza sanitaria. Diverse attività annuali sono state annullate, così come i campi estivi per i bambini e i giovani solitamente programmati durante le vacanze.
Proprio con l’inizio della pandemia alcune ragazze non hanno potuto fare ritorno nelle loro famiglie, altre - incentivate da tante richieste di aiuto - hanno deciso di restare al Centro durante le vacanze per produrre materiali di protezione e dare così il loro contribuito alla nazione in piena emergenza.
In poche settimane le macchine da cucire di Bankonthip hanno realizzato oltre 25mila mascherine destinate sia al distretto di Maesai, al confine con la Birmania, sia per alcuni centri di Chiang Rai e Bangkok.
La ripresa delle attività scolastiche, normalmente prevista per metà maggio, è avvenuta il 1° luglio. Non essendo stato possibile organizzare in quei giorni, come tradizione, la festa dell’accoglienza ai nuovi arrivati si è pensato quindi di proporla in occasione della festa della mamma (festa nazionale) a metà agosto. Per la missione avrebbe comportato l’accoglienza di tutti i genitori dei bambini ospiti: spostamento da villaggi delle montagne, preparazione dei posti letto, molteplici attività: tutto ciò che era impossibile da realizzare.
Il Centro oggi accoglie un’ottantina di bambini e una quarantina di ragazze che frequentano “Bankonthip”, la scuola di taglio e cucito sorta all’interno della missione.
Il 5 dicembre ricorreva la festa del papà, che nel Paese del Sud-est asiatico è molto speciale perché coincide con il compleanno dell’antico re Bhumibol Adulyadej, nato proprio in questa data nel 1927. I bambini si sono stretti intorno a noi, “padri adottivi”, organizzando giochi, momenti di festa e di ringraziamento.
In questi giorni, insieme a padre Martin e a padre Stephen saremo impegnati nelle celebrazioni della messa di Natale nei villaggi a noi affidati, oltre che per la tradizione festa che si svolgerà qui al Centro, tanto attesa dai più piccoli.
Il mio desiderio e il mio augurio sono che non vi sentiate mai soli, perché soprattutto nelle avversità siamo guidati da una Luce che squarcia le tenebre , anche quelle più oscure: il bene lo facciamo bene, se lo facciamo insieme!
Il mio grazie va a tutti coloro che durante il mio “esilio forzato” si sono stretti accanto a me e ai miei cari, a tutti quelle persone che mi hanno cercato anche soltanto per un saluto: ognuno di questi gesti, soprattutto i più semplici, mi hanno scaldato il cuore.
Desidero condividere con tutti voi i nostri più cari e sentiti auguri, in modo particolare quelli festosi dei bambini per questo Natale.
La speranza non delude. Ne abbiamo tanto bisogno in questi tempi che appaiono oscuri, in cui a volte ci sentiamo smarriti davanti al male che ci circonda, davanti al dolore di tanti nostri fratelli.
Ci vuole, la speranza! Ci sentiamo smarriti e anche un po’scoraggiati, perché ci troviamo impotenti e ci sembra che questo buio non debba mai finire. Buon Natale!
Padre Alberto Pensa
Nessun commento:
Posta un commento