Il racconto del varennese Carlo Molteni, per lunghi anni pubblico amministratore della “perla del Centrolago”
Carlo Molteni |
Non nuovo a… tuffi nel campo della scrittura e della letteratura, il varennese Carlo Molteni, il cui nome si lega a lunghi anni di attività in qualità di pubblico amministratore della “perla del Centrolago”, si cimenta ora in un racconto di Natale, che di seguito pubblichiamo integralmente.
Le stelle brillano a intermittenza diffondendo sulla via stralci di luce giallognola. Un solitario Babbo Natale oscilla pericolosamente appeso alla ringhiera di un terrazzino.
La luna a falcetto, circondata da un’aura grigia, campeggia sulla punta del campanile e, a seconda del punto di osservazione, sembra la mezzaluna dorata sulla cima delle moschee. Tutto intorno è silenzioso, un silenzio di vigilia. Non si sa se l’inizio di una feroce offensiva o l’attesa di qualcosa di buono.
Si è così, insicuri e fragili che ogni angolo può apparire rifugio di sorprese.
I passi leggeri, appena percettibili mi raggiungono alle spalle. Non ho paura, ma un brivido mi percorre non appena mi guardo alle spalle. Un uomo distinto all’apparenza molto in là con gli anni, mi sorride. Buonasera, dice, con un caldo sorriso. Buonasera, rispondo un po' intimidito.
Personaggi strani ne girano, per il paese, anche se per lo più non pericolosi, ma la situazione mi mette a disagio. Mi guardo intono alla ricerca di qualcuno che, come me, ha deciso di passare la notte della vigilia in giro per la strada, ma non scorgo nessuno. Il volto illuminato un po’ sì e un po’ no dalle luci intermittenti mi sta guardando.
Non tema, mi sorprende come se avesse letto il mio pensiero, anch’io come lei normalmente gironzolo la notte della vigilia. Sembra che siamo i soli, però. E’ un vero peccato che questa pandemia ci abbia costretti a casa in una notte come questa, le pare?
Sono sorpreso. Effettivamente, rispondo, sembra proprio che siamo soli.
Non siamo soli, risponde con voce ferma, venga con me, non abbia paura, venga, insiste e mi fa cenno di seguirlo. Mi precede giù per la contrada che conduce alla “Riva grande”. Seduti su una panchina, guardiamo il lago scuro, quasi minaccioso, le luci di Menaggio, le barche alla boa che dondolano come campane mute. Il vapore che esce dai nostri respiri crea una leggera nuvola che ci avvolge per un attimo per poi scomparire.
La notte di Natale, esordisce, è una notte speciale, non solo per i bambini. Certo, chi di noi non ha provato l’emozione di svegliarsi la mattina del 25 dicembre e trovarsi un tavolo colmo di regali? Non tutti, credo, ma buona parte di noi ha avuto questa fortuna. Altri, meno fortunati, si sono risvegliati senza trovare nulla, senza provare quell’emozione che ti fa rimaner bambino il più a lungo possibile.
Lo sciacquio delle onde sulla riva faceva da leggero sottofondo alle sue parole e le luci al di là del lago sembravano salire verso la montagna come fosse una gigantesca fiaccolata.
Ecco, proseguì, noi questa sera siamo come due bambini. Ci illudiamo alla ricerca di quello che ormai non riconosciamo più. Complice anche questa situazione, ci sentiamo come privati di un’emozione che vorremmo provare ma che non riusciamo a liberare dal nostro cuore. Eppure i presupposti ci sarebbero tutti. Le luci, il Babbo Natale, le decorazioni fuori dalle case, ma un conto è l’atmosfera e un conto è quanto tutto questo ti entra dentro.
Ascoltavo in silenzio e pensavo solo all’anno scorso, sembra un secolo, quando le strade brulicavano di persone alla ricerca spasmodica dell’ultimo regalo, la slitta di Babbo Natale circondata da bambini festanti, il panettone, il vin brulé il trovarsi insieme che faceva tanto assembramento ma ci faceva sentire, almeno per una volta, tutti più vicini, tutti più comunità.
Ha ragione, risposi, mentre sulla sponda opposta le luci continuavano a salire verso la cima della montagna, forse ci facciamo suggestionare dalle apparenze, perdendo il senso vero delle circostanze. Forse… oppure viviamo questa festa con superficialità e distrazione. Ne siamo talmente abituati che alla fine si risolve in regali e cenoni.
Abbiamo perso la gioia dello stare insieme così, semplicemente perché lo desideriamo e ci fa stare bene. Questa brutta situazione ci ha obbligato ad aprire gli occhi e a guardarci dentro. Cosa c’è di più bello del sorriso di un bambino, del calore della tua famiglia che oggi rischi di non vedere di non sentire? Obbligati a stare soli, ci fa riscoprire il desiderio di comunicare di essere parte di qualcosa che va al di là della semplice festa, ma è qualcosa di necessario per la tua stessa esistenza. Sì, perché tu esisti in funzione di chi ti sta intorno e così loro con te.
Le luci avevano ormai raggiunto la cima della montagna. Percorsi luminosi che creano figure in movimento che appaiono e scompaiono creando la netta sensazione di essere in mezzo ad una folla. Dalla contrada sento grida soffuse e il suono di una campanella.
Guardo il mio interlocutore. Ha sempre lo sguardo fisso sul lago illuminato dal riflesso delle luci. E’ un’onda luminosa che ci raggiunge per poi ritornare. Lo guardo e vedo un sorriso spuntare dalla barba bianca. Gli occhi che riflettono i colori mi guardano.
Hai sentito? Mi chiede. Sì, mi sembrano delle voci di bambini e il tintinnio di una campanella. Vero, risponde, abbiamo fatto il prodigio. Che prodigio?, dico io un po' in affanno. Abbiamo riportato il Natale tra noi. Andiamo, vedrai coi tuoi occhi.
Ci affacciamo alla piazza gremita di gente attorno alla slitta di Babbo Natale. Sono sorpreso, ma da dove arrivano tutti? Non farti domande, mi tranquillizza l’uomo, questo è il Natale. La gioia dei bambini e la serenità degli uomini di stare insieme. Non è un bel regalo?
Mi voltai per ringraziarlo, si è proprio un bel regalo ma lui non c’era più. Era là, seduto sulla slitta che mi guardava, il suo sorriso furbo tra la barba, la campanella in mano e la certezza che la gioia e l’atmosfera del Natale è in noi sempre, ogni giorno. Bastano una campanella e una buona parola per farla uscire.
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