18 novembre 2020

Padre Alberto Pensa dalla Thailandia: “Finalmente sono ritornato a casa!”

Il missionario di origini liernesi scrive: “Qui la situazione generale del Paese è di gran lunga migliore rispetto all’Italia, dove ho trascorso otto mesi riempiti da un grande vuoto ma sentendo l’affetto di tutti”

Padre Alberto Pensa accolto nella "sua" Thailandia.


“Carissimi, finalmente sono tornato a “casa”. Vi scrivo infatti da Ban Pong, dall’Holy family catholic centre dove sono arrivato da qualche giorno, dopo 8 mesi di “esilio forzato” in Italia e dopo aver trascorso due settimane di quarantena obbligatoria in un hotel a Bangkok. Avevo fatto rientro in Italia a metà febbraio per stare accanto a mio fratello Lino, gravemente malato, accompagnandolo fino all’ultimo dei suoi giorni il 24 febbraio. Avrei poi dovuto fare ritorno in Thailandia alla fine di aprile, ma la pandemia causata dal Covid-19 ha fatto saltare tutti i programmi e il lockdown ha portato anche me a trascorrere diversi mesi chiuso in casa”.

Inizia così la lettera che padre Alberto Pensa, missionario liernese, scrive dalla “sua” Thailandia, dove - come lui stesso premette - ha potuto fare ritorno di recente.

“Il rientro non è stato facile - scrive - ma dopo circa due mesi dall’apertura della pratica dal Consolato thailandese in Italia ho ricevuto il nullaosta per partire e ritornare qui, che per me è casa da quasi 50 anni”.

Padre Alberto, ordinato sacerdote nel 1965, spiega che “la situazione generale del Paese è di gran lunga migliore rispetto all’Italia. I dati ufficiali, dall’inizio della pandemia, parlano di 3.787 casi accertati, con 3.259 ricoveri, di cui solamente 133 hanno necessitato di cure intensive, e di 59 morti. Le zone più colpite sono state le regioni del Sud e tutta la prefettura di Bangkok. I numeri non elevati della pandemia che ha colpito il Paese sono da ricondurre a tutte le precauzioni che il governo centrale, fin dai primissimi giorni dell’emergenza, ha adottato: frontiere chiuse, ingresso in Thailandia soltanto in una seconda fase con un permesso e quarantena obbligatoria, oltre all’obbligo di utilizzo di protezioni quali la mascherina e il distanziamento sociale”.

“Conclusa la quarantena obbligatoria - afferma sempre il missionario, classe 1940 - ho trascorso alcuni giorni al Seminario di Sampran, alle porte di Bangkok, dove sono stato accolto da padre Luke Kriansagk, responsabile della casa di formazione. Durante l’emergenza i giovani hanno studiato a casa essendo stato chiuso il seminario-università “Lux mundi” , che ha riaperto i corsi a vista in luglio. Durante le vacanze, non avendo potuto fare ritorno in famiglia per evitare qualsiasi contatto esterno, i giovani hanno approfittato per realizzare loro stessi la rete di protezione del campo sportive. Un tecnico amico è stato una guida indispensabile: in seminario studiano filosofia e teologia, non la tecnica di saldatura del ferro!”.



“La vita nei villaggi delle montagne - scrive ancora padre Pensa - ha visto un drastico cambiamento: per quattro mesi non era possibile entrare e uscire dai villaggi e ognuno rispettava le indicazioni delle autorità locali. Il 2 novembre ho fatto finalmente ritorno all’Holy family catholic centre, nel Nord del Paese. Appena arrivato alla missione sono stato accolto dalla spontanea gioia dai bambini e in quel momento qualsiasi “distanziamento sociale” è venuto meno. Proprio in quell’istante ho pensato: “Sono davvero tornato a casa”. Anche al Centro la vita è stata segnata dall’emergenza sanitaria. Diverse attività annuali sono state annullate, come i campi estivi per bambini e giovani  durante le vacanze. La ripresa delle attività scolastiche, normalmente prevista per metà maggio, è avvenuta il 1° luglio”.

E più avanti si legge: “Il Centro accoglie oggi poco meno di 80 bambini e una quarantina di ragazze che frequentano “Bankonthip”, la scuola di taglio e cucito sorta all’interno della missione. Proprio con l’inizio della pandemia, incentivate da tante richieste di aiuto, molte ragazze hanno deciso di restare al Centro anche durante le vacanze estive per produrre materiali di protezione e dare così il loro contribuito alla nazione in piena emergenza. In poche settimane le macchine da cucire di Bankonthip hanno realizzato oltre 25mila mascherine destinate sia al distretto di Maesai, al confine con la Birmania, sia ad alcuni centri di Chiang Rai e Bangkok”.



Quindi altre considerazioni: “Ho trascorso otto mesi in Italia riempiti da un grande vuoto. Avrei voluto incontrare tutti coloro che nel corso di questi anni hanno fatto visita alla missione, ma le restrizioni imposte hanno bloccato ogni iniziativa. Ho sentito comunque l’affetto di tutte queste persone. Desidero ringraziare in modo particolare la mia famiglia e tutti coloro che mi hanno contattato per chiedere della realtà del Centro: l’Associazione Mazzucconi e il Gruppo “Amici di Andrea” di Lecco, il Gruppo missionario di Morbegno, con cui ho condiviso una bella serata all’insegna della testimonianza missionaria proprio pochi giorni prima della mia partenza. Durante la quarantena mi ha fatto compagnia il libro Come foglie di tè: parla di una donna Akha e delle sue peripezie. Il libro inizia con queste parole dette da una mamma Akha che è tutto nel villaggio, levatrice e custode delle tradizioni: “Non esiste storia senza coincidenze”. E possiamo capire questa frase guardando i passi compiuti nella nostra vita”.



“Quelle pagine - osserva sempre il missionario - mi hanno fatto rivivere i primi anni trascorsi in Thailandia a contatto con gli Akha della vecchia tradizione quando, giovane, percorrevo la foresta per ore e ore a piedi per raggiungere quelle poche famiglie cattoliche che attendevano un prete per la celebrazione dell’Eucarestia. Concludo prendendo in “prestito” le parole di papa Francesco pronunciate durante il momento di preghiera straordinario sul sagrato di piazza San Pietro: Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca... ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono “Siamo perduti”, così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme”.

Poi un ultimo pensiero: “Quelle parole vogliono diventare il mio saluto a tutti voi, con il desiderio e l’augurio di non sentirsi mai soli perché soprattutto nelle avversità siamo guidati da una luce che squarcia le tenebre, anche quelle più oscure: il bene lo facciamo bene se lo facciamo insieme!”.




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