Padre Alberto Pensa, liernese, sacerdote da 55 anni. |
La Parrocchia Sant’Ambrogio di Lierna si appresta a
celebrare domani la festa liturgica del Corpus Domini. Si è iniziato giovedì
con le “Quarantore”, momenti di riflessione, preghiera e adorazione del
Santissimo Sacramento proposti allo scopo di aiutare a mettere l’Eucaristia al
centro della propria vita.
A questa celebrazione,
fortemente voluta nonostante il momento difficile dal parroco don Marco
Malugani, si aggiunge un ulteriore motivo di ringraziamento: il 55.mo anniversario
di sacerdozio di padre Alberto Pensa, ordinato sacerdote del “Sacro Cuore di
Gesù di Betharram” nel giugno 1965, missionario in Thailandia dal 1972.
Rientrato a Lierna
lo scorso mese di gennaio, ha assistito il fratello Paolino, gravemente malato,
fino al suo decesso avvenuto il 24 febbraio, seguito dalla perdita del fratello
maggiore Pietro.
A causa dello stop imposto dall’emergenza Covid-19,
padre Alberto ha dovuto rinviare il suo rientro in Thailandia inizialmente
previsto a fine aprile e così domani sarà proprio il missionario a presiedere la messa delle
10.30.
Pur nel rispetto delle norme dettate da questa fase dell’emergenza,
l’intera comunità liernese sarà accanto al “suo” missionario con la preghiera e
con un abbraccio virtuale, ringraziando Dio per questi 55 anni di ministero.
A padre Alberto abbiamo chiesto qualche pensiero che
riassuma questo suo lungo cammino e un’indicazione da indirizzare ai giovani chiamati
a decidere la direzione della loro vita.
*********
1° dicembre 1972, la data del mio arrivo in Thailandia
Il 12 giugno
1965 nel duomo di Milano, per l’imposizione delle mani di monsignor Luigi
Oldani, vescovo ausiliare del capoluogo lombardo, sono stato ordinato sacerdote per la
Congregazione del “Sacro Cuore di Gesù di Betharram”. In quel
momento non era neppure nella parte più remota dei miei pensieri che un giorno
mi sarei trovato dall’altra parte del mondo.
Dopo i primi
cinque anni passati all’allora seminario minore di Albavilla, ho accettato
l’invito di una comunità dell’Inghilterra e sono partito, essendo quella una
buona occasione per imparare l’inglese, senza sapere dove mi avrebbe portato.
Infatti padre Arialdo Urbani, mio compagno di studi e di ordinazione, rientrato
dalla Thailandia, sua terra di missione, per un periodo di riposo, mi raggiunse
in Inghilterra per un mese e mi raccontò di una minoranza etnica che stava
emigrando dalla Cina attraverso la Birmania (oggi Myanmar) verso la Thailandia
e di come sarebbe stato bello avere qualcuno che potesse dargli una mano. Così
il 1° dicembre 1972 mi sono trovato anch’io in Thailandia.
Chi può comprendere le vie del Signore?
Dopo aver studiato la lingua thailandese vengo destinato a una nuova
fondazione: Ban Pong, nella provincia di Chiang Rai. Il vescovo aveva assegnato
una cifra per impiantare qualcosa di “provvisorio” perché non sapeva se il
novello missionario, essendo giovane, si sarebbe adattato. In quella casa di
legno ho trascorso 35 anni.
Dal 1970 al 1985 la migrazione assume dimensioni sempre più ampie, interessando
fra le 30 e le 60mila persone.
Gli Akha
emigravano dallo Yunnan (Cina) in fuga dalla dittatura di Mao Tse Tung verso i
pascoli più verdi e tranquilli della Thailandia.
Ho camminato per una decina d’anni nella foresta per seguire gli Akha che si insediavano in nuovi villaggi. Oggi i villaggi sono collegati da strade cementate (quasi tutte), ma la foresta è quasi un ricordo.
Ho camminato per una decina d’anni nella foresta per seguire gli Akha che si insediavano in nuovi villaggi. Oggi i villaggi sono collegati da strade cementate (quasi tutte), ma la foresta è quasi un ricordo.
L’educazione
dei bambini è sempre stata la priorità: come poteva esserci una scuola in tutti
i piccoli villaggi spersi nella foresta? Ecco dunque l’urgenza. Ho iniziato a
ricevere i bambini di quei villaggi per dar loro l’occasione di frequentare la
scuola statale, poi man mano la missione si è ingrandita, mai con un progetto
ben definito ma cercando di rispondere alle esigenze del momento: nel 1987 il
Centro viene ribattezzato Holy family catholic center, cioè "Centro Sacra
Famiglia".
E’ stato chiamato in questo modo perché all’inizio eravamo un piccolo gruppo e siamo cresciuti poco a poco con uno spirito di famiglia: siamo arrivati a oltre 200. Oggi siamo 150.
Il centro è
un piccolo villaggio, con le case per i piccoli ospiti, la chiesa, un salone
polivalente e aule di Bankonthip, la scuola di taglio e cucito per le ragazze.E’ stato chiamato in questo modo perché all’inizio eravamo un piccolo gruppo e siamo cresciuti poco a poco con uno spirito di famiglia: siamo arrivati a oltre 200. Oggi siamo 150.
Più passano gli anni più le spese aumentano, ma cerchiamo di mantenere lo
stesso stile di vita che ci ha contraddistinti. Non abbiamo mai avuto grandi
fondi, però il necessario non è mai mancato.
Due storie, quella di Chujai e di Paolo Nathi
Il Centro è
nato come naturale conseguenza del lavoro pastorale nei villaggi, un impegno
che è cresciuto con l’aumentare del numero di villaggi. I primi tempi potevo
raggiungere i villaggi tre quattro volte all’anno. Neanche nell’immaginazione
poteva esistere l’idea della messa domenicale, neppure con un elicottero a
disposizione sarebbe stato possibile. Nei villaggi, comunque, la gente si
riuniva e si riunisce la domenica per la preghiera guidata da un catechista.
La sporadicità delle visite creava un’atmosfera di attesa, di gioia e la visita del padre era una festa. Una festa come, in alcuni casi, succede anche ora.
Ripercorrendo questi anni, mi tornano in mente numerosi episodi e vorrei condividerne due: il primo riguarda Chujai, una ragazzina giovanissima, arrivata tempo fa all’Holy family catholic centre desiderosa di imparare l’arte di taglio e cucito. Dopo un tempo di riflessione ha chiesto il battesimo.
La sporadicità delle visite creava un’atmosfera di attesa, di gioia e la visita del padre era una festa. Una festa come, in alcuni casi, succede anche ora.
Ripercorrendo questi anni, mi tornano in mente numerosi episodi e vorrei condividerne due: il primo riguarda Chujai, una ragazzina giovanissima, arrivata tempo fa all’Holy family catholic centre desiderosa di imparare l’arte di taglio e cucito. Dopo un tempo di riflessione ha chiesto il battesimo.
Ritornata al suo
villaggio, situato in un altro distretto seguito dai Padri del Pime, ha fatto
le sue scelte. L’ho ritrovata a
distanza di vent’anni alla benedizione della nuova chiesa del suo villaggio,
sposata, madre di due bambini, catechista, responsabile e punto di riferimento
per la vita religiosa.
Mi è venuta
incontro con lacrime di gioia e commozione. Ricordando gli anni vissuti alla
missione mi ha confidato: “Ho imparato uno stile di vita nuovo che ho
cercato di mantenere e che oggi provo a trasmettere ai miei figli.
Grazie!”.
Il secondo
episodio riguarda un bambino di 4 anni che 35 anni fa ho battezzato con il nome
di Paolo insieme a sua mamma, a un fratello maggiore, a una sorella minore e ad altri
nel villaggio di Phanaseri. Tra pochi giorni, precisamente lunedì 15 giugno, presso il
Seminario del Pime a Monza quel bambino, Paolo Nathi, nel frattempo diventato uomo, verrà
ordinato sacerdote e mi ha voluto al suo fianco, chiedendomi che fossi io, al
momento dell’ordinazione, a fargli indossare la casula.
Piccoli frutti e segni di questi 55 anni da quell’eccomi. Chi può comprendere le vie del Signore? Mi tornano in mente le parole di San Michele Garicoits, fondatore della Congregazione, che ancora oggi per me rappresentano quel faro che indica la rotta: “Eccomi, senza ritardo, senza condizioni, senza rimpianto, per amore della volontà del mio Dio”.
Piccoli frutti e segni di questi 55 anni da quell’eccomi. Chi può comprendere le vie del Signore? Mi tornano in mente le parole di San Michele Garicoits, fondatore della Congregazione, che ancora oggi per me rappresentano quel faro che indica la rotta: “Eccomi, senza ritardo, senza condizioni, senza rimpianto, per amore della volontà del mio Dio”.
Padre Alberto Pensa
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