Mandellese, da
sempre nel mondo della scuola, l’autrice sottolinea l’importanza del
coinvolgimento fattivo dei protagonisti, ossia i bambini
Adriana Lafranconi |
(C.Bott.) Si intitola Apprendere a leggere e scrivere - Come e perché. Edito da
“Studium”, riporta in copertina il messaggio scritto da un bimbo di 6 anni che
reinterpreta figurativamente l’alfabeto. Ne è autrice Adriana Lafranconi,
mandellese, e il titolo stesso pare suggerire un nuovo metodo per portare i
bambini delle classi prime a imparare la lingua scritta.
“Se,
con qualsiasi motore di ricerca, si prova a costruire una bibliografia
relativamente a “metodi per insegnare a leggere e a scrivere” - premette al
riguardo l’autrice - si apre un ventaglio di pagine che dà immediatamente
l’idea di quanto su questo argomento sia già stato scritto. Di un nuovo metodo,
insomma, non c’era bisogno, perché si sarebbe corso il rischio di riproporre qualcosa
di già noto”.
Perché,
allora, questo libro? “Se si iniziano ad approfondire le varie proposte
metodologico-didattiche e le ragioni a loro sostegno - spiega sempre Adriana
Lafranconi - ci si accorge di quanto aspra continui a essere la diatriba tra i
differenti metodi e di come, dal fronte di ogni schieramento, si addossino alla
parte opposta le responsabilità degli insuccessi nell’apprendimento della
lingua scritta”.
“In
questi anni - aggiunge - in netto vantaggio sono le proposte che indicano come
partenza necessaria la conoscenza delle singole lettere o sillabe, da comporre
via via in parole, frasi e testi. Un approccio che, considerato risorsa per i
bambini con dislessia, ha trovato accoglienza generalizzata, anche perché poco
costoso nella sua applicazione. Esattamente il contrario dell’indicazione di
cominciare con frasi o parole globalmente conosciute dai bambini, per scoprire
in esse le lettere dell’alfabeto da reimpiegare per la comprensione e produzione
di significati, vero cuore della lettura e della scrittura”.
All’autrice
è sembrato innanzitutto importante approfondire le regioni di tale diatriba,
per indagare poi la possibilità di comporre in un quadro armonico gli esiti di
tante ricerche che nel tempo hanno affrontato questo problema.
“Una
prima conclusione a cui sono pervenuta - osserva - è che, mentre la conquista
della lingua scritta è un processo complesso e sfaccettato, spesso gli studi su
questo tema si sono focalizzati su una parte degli elementi in gioco,
lasciandone in ombra altri, pure importanti, e le loro interconnessioni. Da qui
la parzialità di molte conclusioni e la necessità di una loro integrazione in
una visione articolata, per non disperderne il contributo positivo che in tal
modo possono offrire”.
E
ancora: “Un altro fondamento della mia tesi è che non si dà l’apprendimento del
leggere e dello scrivere senza il coinvolgimento fattivo dei protagonisti,
ossia i bambini, che non aspettano di avere di fronte un insegnante per iniziare
a chiedersi come funziona la lingua scritta e darsi spontaneamente delle
risposte, già a partire dalla scuola dell’infanzia. Da ciò la mia convinzione
che non si possa scegliere preventivamente un metodo ma che, nel rispetto delle
modalità di conoscere proprie dei bambini con cui si lavora, sia necessario
scegliere e intrecciare, appunto tra i vari metodi, ciò che si ritiene “cosa
buona” per lo specifico contesto. La domanda “Qual è il metodo migliore per
insegnare a leggere e a scrivere?” non può insomma avere una risposta univoca:
occorre una soluzione costruita in modo consapevole per le esigenze dei bambini,
di una sezione, di una classe, di un gruppo”.
Una
proposta indubbiamente impegnativa, quella presentata nel libro. Ma l’autrice si
aspetta di trovare ascolto negli insegnanti? “Confermo che si è in presenza di
una proposta impegnativa - risponde Adriana Lafranconi - perché richiede, oltre
a conoscenze approfondite, la disponibilità a mettere in campo soluzioni inedite,
contrariamente a quanto molta parte dell’editoria scolastica sta proponendo in
questi ultimi anni”.
“Sarei
comunque contenta - conclude l’autrice - se questo mio lavoro contribuisse a
far nascere qualche dubbio laddove si dovesse registrare il rischio di
procedere per slogan. Il profilo dell’insegnante è troppo prezioso per
accettare derive di questo tipo”.
Uno scenario dominato dall’interesse per l’azione
dell’insegnante
Nella
prefazione, Giuliana Sandrone scrive che partendo dalle fondamenta del processo
di apprendimento l’autrice “va oltre la pluralità di posizioni che la ricerca
pedagogica, psicologica e neurologica ha prodotto e continua a produrre sui
diversi metodi per l’insegnamento della letto-scrittura” e “indaga la
prospettiva della loro possibile integrazione”.
“La
prima parte del volume - osserva la docente universitaria - è l’espressione
della forte convinzione che, a scanso di qualsivoglia eclettismo,
l’integrazione intenzionale tra i diversi metodi non può non avere come
strumento una loro solida conoscenza, che permetta di andare oltre la diatriba
che da sempre ha caratterizzato il loro
confronto”.
“Si
tratta di una conoscenza - aggiunge - la cui solidità si arricchisce delle
riflessioni elaborate in tempi recenti nell’ambito delle neuroscienze, della
psicologia e della psicologia genetica, ma è conoscenza che, soprattutto, può
trasformarsi in azione educativa professionale, “buona” solo attraverso una sua
declinazione attenta, guidata da una intenzionale antropologia pedagogica di
riferimento, da quelle intuizioni e comprensioni immediate e contestuali che
animano una relazione educativa autentica”.
Scrive
sempre Giuliana Sandrone, ordinario di
Pedagogia generale e sociale e prorettrice all’orientamento e al placement
dell’Università di Bergamo: “La seconda parte del volume si colloca
nella prospettiva dell’insegnante di scuola primaria e indaga con sistematicità
i guadagni che possono venirgli dalla conoscenza dei princìpi dei diversi metodi di insegnamento della
letto-scrittura, il tipo di azione
didattica ne può scaturire e, non ultimo, quale analisi critica deve
accompagnare la scelta di ciascuno dei modelli via via presentati e raccolti
nelle tradizionali categorie di analitici o globali, sintetici o
fono-sillabici, misti”.
In
conclusione, “l’analisi puntuale di ciascun modello si colloca all’interno di
uno scenario dominato dall’interesse per l’azione dell’insegnante e dalla cifra
del suo agire”.
Insegnante, dirigente scolastica e consulente
pedagogico-didattica
Adriana
Lafranconi è stata insegnante elementare dal 1969 al 2002 e dal 2007 al 2009
dirigente scolastica. Ha anche ricoperto, tra il 2002 e il 2007, incarichi ai
vertici dapprima dell’Ufficio scolastico regionale e quindi dell’Ufficio scolastico
provinciale di Lecco.
Laureata
in Scienza della formazione all’Università degli studi di Milano Bicocca, ha assunto
ruoli significativi nel campo della formazione, oltre che negli ambiti
culturale, pedagogico, amministrativo e gestionale.
Relatrice
a partire dal 1980 in molteplici attività e iniziative riguardanti la
didattica, la valutazione, la metodologia e l’organizzazione scolastica, ha
svolto consulenze per la formazione e-learning
ed è autrice e coautrice di varie pubblicazioni.
Ha
collaborato a lungo con la rivista Scuola
italiana moderna e attualmente è cultrice di pedagogia presso l’Università degli
studi di Bergamo e consulente pedagogico-didattica dell’Istituto “Santa
Giovanna Antida” di Mandello.
Nessun commento:
Posta un commento