Di quella storica spedizione guidata da Riccardo Cassin
facevano parte anche Luigino Airoldi, Gigi Alippi, “Jack” Canali, Romano Perego
e il mandellese Annibale Zucchi
I sei componenti della spedizione del 1961 al McKinley. |
(C.Bott.) Era il 1961 e quell’impresa - perché tale fu a tutti gli
effetti la conquista del McKinley, la montagna più alta dell’Alaska - rese
merito a un nuovo exploit dell’alpinismo lecchese, attivo da sempre, verrebbe
da dire, sulle catene montuose di tutto il mondo.
Il primo attacco, fallito, alla cima
più difficile dell’America del Nord risale al 1903 da parte di James Wickersham.
Tre anni più tardi un altro tentativo, quella volta di Frederick Cook.
Si è detto del ‘61. E’ l’anno in cui
sei alpinisti, impegnati nella prima spedizione extraeuropea tutta lecchese, si
rendono protagonisti sul versante sud del McKinley di una grande conquista, scalando
quel gigantesco sperone che rappresentava il problema alpinistico del momento in
quella regione.
La via aperta era una magnifica
classica scalata su misto, con difficoltà sostenute su ghiaccio fino a 70 gradi,
affrontata con temperature anche fra i 30 e i 40 gradi sotto zero e a ragione
ritenuta una tra le più grandi imprese alpinistiche di tutti i tempi.
Capospedizione era Riccardo Cassin.
Con lui vi erano Luigino Airoldi, Gigi Alippi (nativo di Abbadia Lariana, il più giovane del gruppo),
“Jack” Canali, Romano Perego e il mandellese Annibale Zucchi. Da allora sono passati
59 anni e Airoldi è l’unico superstite.
Cassin e il mandellese Annibale Zucchi verso il primo campo. |
Concepita
da Carlo Mauri, l’indimenticato “Bigio” che poi dovette rinunciare a
parteciparvi in seguito a un banale incidente sciistico che lo costrinse a una
lunga convalescenza, l’impresa si concretizzò anche grazie all’impegno
dell’allora presidente del Cai Lecco, Ferruccio Grassi, e all’entusiasmo e alla
solerzia di altri due soci del sodalizio alpinistico: Dino Frigerio e Andrea
Castelli.
Tra
i primi a complimentarsi con gli alpinisti per la conquista dell’inviolata
parete Sud del McKinley fu l’allora presidente degli Stati Uniti John
Fitzgerald Kennedy, che inviò a Cassin e agli altri componenti della spedizione
un telegramma di felicitazioni in cui affermava tra l’altro che l’impresa delle
quale si erano resi protagonisti i lecchesi avrebbe consolidato i già forti
legami di amicizia esistenti tra gli Stati Uniti e l’Italia.
I
vincitori del McKinley avrebbero anche dovuto essere ricevuti da Kennedy alla
Casa Bianca, ma l’“udienza” saltò per il verificarsi di importanti eventi
internazionali che portarono all’annullamento appunto di tutti i ricevimenti.
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Così
Renato Frigerio, lecchese, grande appassionato di montagna e di alpinismo, tratteggia
la vittoriosa spedizione al McKinley:
“Il Mount
McKinley, con i suoi 6.194 metri, è la vetta più alta del Nord America. Situato
in posizione centrale nella catena dell’Alaska, la cosiddetta Alaska Range,
lunga circa 650 chilometri, fu chiamato McKinley nel 1896 in onore del presidente
americano, ma attualmente è più diffuso l’originale nome indigeno Denali, “il
grande”.
Riccardo Cassin,
caposcuola dell’alpinismo lecchese, all’età di 52 anni guida una spedizione
lecchese alla conquista di questa tremenda parete di 3.200 metri di dislivello.
Il telegramma inviato da Kennedy agli alpinisti lecchesi dopo la conquista dell'inviolata parete. |
Le difficoltà di
IV e V grado superate a quota 6.000 metri e nelle condizioni climatiche estreme
dell’Alaska danno la misura di quell’impresa.
Raggiunta la
zona del ramo Sud-est del Kahiltna Glacier con un piccolo aereo munito di
pattini, in 15 giorni si risolvono i problemi relativi all’allestimento del
campo base e ai primi di luglio si attacca la parete, a 20 chilometri dalla
pista d’atterraggio.
I sei alpinisti
arrampicando a turno, divisi in due cordate, e portano un terzo campo fino a
quota 5.200 metri. Da lì, la mattina del 19 luglio, attaccano gli ultimi 1.000
metri di dislivello che ancora li separano dalla cima.
Alle 23 sono
tutti sulla vetta: Annibale Zucchi, Romano Perego e Luigino Airoldi, Gigi
Alippi, Jack Canali e Riccardo Cassin. Non stupisca l’ora notturna, perché il
McKinley si trova vicino al Circo polare Artico e lì in quel periodo dell’anno non
è mai buio.
Più drammatica
la discesa lungo la stessa via attrezzata nella salita, per le difficoltà di
ritrovare il percorso, di molto mutato sotto forti nevicate e per il freddo
intenso. Si deve tener conto che la latitudine (63° Nord) fa del McKinley la
montagna più fredda del pianeta, esclusa l’Antartide”.
Riccardo Cassin al campo base del McKinley. |
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