Le sue riflessioni alla comunità pastorale: “Si dovrà ripartire valorizzando
le famiglie che hanno capito quanto sia essenziale la cura delle relazioni: il
tempo “obbligato” passato insieme è difficile ma prezioso”
A Mandello non è prevista per domani e neppure per il
prossimo fine settimana la ripartenza delle celebrazioni liturgiche aperte alla
partecipazione dei fedeli. Ad annunciarlo è don Giuliano Zanotta, dall’autunno 2018
alla guida della comunità pastorale che comprende le parrocchie di San Lorenzo,
del “Sacro Cuore”, di Somana e di Olcio.
“Il primo bene da mantenere, insieme con la fede, è quello
della vita e della salute, nel rispetto di sé e degli altri - afferma - Per
questo stiamo provvedendo anche per la celebrazione della messa, ma con
prudenza e con calma, non nascondendo una serie di problemi non da poco che
affronteremo appena possibile. Non aspettiamoci quindi le celebrazioni prima di
fine maggio”.
In queste ore, intanto, don Giuliano ha indirizzato ai
fedeli della comunità pastorale mandellese queste riflessioni:
“Molti di noi sono rimasti colpiti dalla serata di
preghiera del Santo Padre in piazza San Pietro il 27 marzo. Le parole della
riflessione sul Vangelo di Marco sono come una bussola nel cammino. “E’ il tempo di scegliere che cosa conta e che
cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è; di
reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri... La
preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti. Il Signore ci
interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare
la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a
queste ore in cui tutto sembra naufragare. Occorre abbandonare per un momento
il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività
che solo lo Spirito e capace di suscitare”.
Don Giuliano Zanotta |
L’emergenza sanitaria ci ha stimolati a individuare
nuove modalità di incontro e confronto.
Abbiamo esplorato nuove forme di missionarietà che ci hanno portato a
vivere intensi momenti di preghiera durante la Quaresima, affidati soprattutto
alle famiglie, che hanno riscoperto la loro identità di Chiese domestiche. La
famiglia è un po’ il rifugio da cui partire: questi mesi di “clausura familiare”
hanno portato molte famiglie a vivere insieme tempi prolungati. Può essere che
questo abbia condotto alcuni sull’orlo di una... crisi di nervi, ma molti hanno
vissuto questa circostanza come una grande opportunità. Si dovrà ripartire da
qui, valorizzando le famiglie che hanno capito quanto sia essenziale la cura
delle relazioni: il tempo “obbligato” passato insieme è difficile ma prezioso. E’
naturale trasferire questo ragionamento alla comunità: senza cura delle relazioni
non c’è comunità. La comunità resta viva se si capisce che c’è bisogno l’uno
dell’altro, che il comportamento di ognuno è fondamentale per il rispetto della
salute degli altri.
Quanto alla ripresa, poiché il ritorno alla normalità sarà
molto lungo, non dobbiamo pensare tanto a come riprendere un discorso interrotto,
quanto piuttosto imparare a operare rivedendo e purificando l’idea e l’esperienza
di una Chiesa “delle iniziative”, a vantaggio di una nuova presenza evangelizzante
tessuta di relazioni, di testimonianza personale, di solidarietà: è la strada
che a maggior ragione, e con più convinzione, siamo chiamati a percorrere ora,
a partire dalla situazione di emergenza e di povertà generalizzata che si è venuta
a creare. Non dobbiamo temere di abbandonare vecchie vie, vecchi schemi e
pratiche rassicuranti: ci vuole un comune sentire, una comune volontà di non
cedere alla fretta della programmazione. Il tempo che stiamo vivendo è kairos, tempo di grazia, è il “tempo di
Dio” e come tale già lo stiamo vivendo.
Ci stiamo educando all’essenziale, nei diversi ambiti
della vita (economico, religioso, pastorale). Non cediamo alla tentazione di “riempire
i vuoti” che si sono venuti a creare, nella nostra vita personale e collettiva,
senza far tesoro di quanto riscoperto: la liturgia della vita, celebrata nella
precarietà della condizione presente, con le giuste apprensioni per il futuro
(le nuove povertà interesseranno molte famiglie italiane e porranno serie
domande ai nostri stili di vita); la preghiera in famiglia; il valore del
sacerdozio battesimale; il valore del silenzio e della solitudine con se
stessi; la compassione per i sofferenti e la riconoscenza per i “samaritani” dei
nostri giorni, che nelle corsie degli ospedali e nei luoghi di cura si chinano sulle
infermità dei fratelli.
L’Eucaristia è “fonte e culmine” della vita della
Chiesa e si è avvertita in questi tempi la sete e la nostalgia del Pane di vita,
condiviso comunitariamente. Scrive un parroco: “Questa familiarità con il Signore è sempre comunitaria. Sì, è intima e
personale, ma in comunità. Proprio per questo oggi ci manca l’eucaristia,
perché è a tavola (con i fratelli e con Lui) che noi siamo in contatto con il Signore
e Lui ci costituisce come fraternità nello Spirito. I sacramenti sono sempre “sacramenti
del contatto”. Ma proprio per questo chiedono anche di imparare a viverne la
giusta distanza”.
Voglio ricordare anche le parole di un vescovo, che ha
richiamato al senso del digiuno eucaristico contro il rischio di enfatizzare e
materializzare la consumazione, il rischio della prossimità sacramentale come
saturazione di un bisogno infantile di contatto con il Signore. D’altra parte
il Risorto stesso invita insieme a “toccare” e a “non trattenere”, chiede a
Tommaso di “mettere il dito nella piaga” e alla Maddalena di “non trattenere”:
il contatto con il Signore non è pensabile se non nella distanza che non
possiede e nel contatto con i fratelli a cui rimanda.
E mettendo in luce uno sguardo di fede che ritrova la
presenza di Gesù nella Parola, nel fratello, nella volontà di Dio cercata nella
situazione presente, nel povero, nell’obbedienza alla storia. Tutto questo
ci aiuterà domani a celebrare con più consapevolezza
e a riscoprire il valore vero dell’Eucaristia”.
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