Cesare Locatelli nel 2017 a Lecco con il sindaco di Mandello, Riccardo Fasoli. |
Ultimo di 14 fratelli, Locatelli era originario di Selino, in provincia di Bergamo, e proveniva da una famiglia della Valle Imagna che ha sempre vissuto in estrema povertà e tuttavia con grande dignità.
Da
bambino era solito aiutare i contadini nei lavori dei campi in cambio di un po’
di cibo, che quasi sempre scarseggiava.
A
14 anni il primo lavoro di manovalanza in un’impresa. “Ma il cibo era ancora
comunque scarsissimo - era solito ricordare Cesare, che a Mandello ha sempre
vissuto in frazione Somana - Si lavorava senza sosta per 16 se non per 18 ore
al giorno e in condizioni igieniche pressoché proibitive”.
Con
quella stessa impresa Locatelli lavorò per un anno a Genova a una serie di
fortificazioni, tuttora esistenti, realizzate sul mare fino ad arrivare a Cogoleto e a Varazze, perché in quella zona si pensava dovesse
avvenire lo sbarco degli americani.
Fu
poi trasferito per un periodo di sei mesi a Darfo, nel Bresciano, e da lì a
Edolo e quindi a Spondigna per continuare a lavorare sempre sotto i nazisti. In Val
Venosta avrebbe dovuto rimanervi, Cesare Locatelli, ma una notte fu svegliato e
deportato - senza conoscerne il motivo - con altri suoi compagni al campo di
concentramento di Landeck.
Lì rimase per nove lunghi mesi, trascorrendo tutto
l’inverno in condizioni disumane sia per il freddo da sopportare, sia per la
mancanza di cibo, sia per lo sfruttamento a cui lui e tutti gli internati erano
sottoposti.
In
occasione di un bombardamento Locatelli riuscì a fuggire e a raggiungere il
Passo Resia, valico alpino non lontano dal confine austriaco, dove peraltro ad attenderlo trovò i nazisti, che lo trasportarono
a Ronchi di Ala, nei pressi di Rovereto, e lo inviarono in montagna a costruire
fortificazioni, sempre in condizioni oltremodo disagiate. Lì rimase fino alla
fine della guerra.
Una
vita e una testimonianza, le sue, di cui fare tesoro. E da non dimenticare.
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