Anna Savini, autrice di "Buone ragioni per restare in vita". |
(C.Bott.) Nel 2017 aveva pubblicato Buone ragioni per restare in vita.
Significativo il titolo del libro e altrettanto efficace il sottotitolo: Il tumore viene agli altri, mica a me. L’autrice?
Anna Savini, giornalista lecchese, che nei mesi successivi, parlando della sua
malattia e appunto del libro, aveva detto: “Quando è uscito sono stata inondata
dall’affetto. Ho anche ritrovato vecchi amici ai quali non avevo detto niente
perché non volevo essere trattata come malata. Era la mia unica difesa, cercare
di essere considerata normale il più possibile perché quando ti ammali la gente
inizia a vederti in maniera strana, con gli occhi del terrore. Io volevo andare
avanti a lavorare e ce l’ho fatta”.
E
ancora: “Ad altri magari fa bene stare a casa in malattia, non so. Io non ho
ricette magiche, però dico sempre che se ce l’ho fatta io a curarmi ce la fanno
tutti. Una psicologa ha detto che noi siamo capolavori evolutivi. Il nostro
cervello è in grado di farci adattare a qualunque situazione… Così alla
fine mi sono abituata anch’io. L’autostima che non avevo prima è arrivata
dopo”.
In
queste settimane, in questi giorni di emergenza coronavirus e di distanziamento
sociale (come quelli che parlano bene chiamano il restare chiusi in casa 24 ore
su 24, sette giorni su sette!) il suo messaggio torna più che mai d’attualità e
così Anna l’ha affidato al sito Internet www.cosebellemagazine.it
per ammettere innanzitutto, in risposta a una domanda dell’intervistatrice, che
“il valore delle cose lo scopri sempre quando te le portano via”.
Ecco
allora l’aggancio immediato all’attualità: “Adesso che per colpa del
coronavirus ci hanno portato via tutto, è facilissimo trovare buone ragioni per
restare in vita - dice la giornalista - Il mio elenco è molto semplice: tornare
presto a nuotare, andare al mare, al cinema, nei negozi, dal parrucchiere, a
Milano, a Roma, a Firenze, a Parigi, in America o in qualunque altro posto mi
passi per la testa. Ma mi basterebbe già tornare a lavorare in redazione (e non
a casa), tornare a guidare e a camminare, anche soltanto per andare in garage a
prendere l’auto…”.
Già,
anche Anna vorrebbe essere di nuovo libera di andare dove vuole, quando vuole e
senza sentirsi minacciata dal Covid-19. E senza neppure essere terrorizzata
dalle persone che la circondano.
“Ma
prima ancora di tutte queste cose - spiega - vorrei che le persone malate
guarissero e che non si ammalasse più nessuno, anche se i morti non possiamo
certo riportarli indietro. Queste sono adesso le mie buone ragioni per restare
in vita: vedere la fine dell’incubo. E in attesa che quel giorno arrivi
davvero, mi basta svegliarmi felice perché riesco ancora a respirare. Vuol dire
che almeno non ho preso il virus e non mi aspetta un ospedale da campo, o peggio”.
Quindi altre riflessioni: “Quando ti ammali ti viene una paura di morire tremenda e anche una gran rabbia. Io le ho prese e le ho messe nel libro. Ho dato un po’ la colpa a mia mamma, un po’ al “defunto amore” che mi aveva lasciato un sacco di volte, ma soprattutto ho dato la colpa a me, che avevo perso del gran tempo a dare la colpa a qualcun altro per quello che non ero riuscita a fare io”.
Quindi altre riflessioni: “Quando ti ammali ti viene una paura di morire tremenda e anche una gran rabbia. Io le ho prese e le ho messe nel libro. Ho dato un po’ la colpa a mia mamma, un po’ al “defunto amore” che mi aveva lasciato un sacco di volte, ma soprattutto ho dato la colpa a me, che avevo perso del gran tempo a dare la colpa a qualcun altro per quello che non ero riuscita a fare io”.
“Buone ragioni per restare in vita sembra
scritto apposta per questo momento - si legge nell’intervista - E’ diviso tra a.C.
e d.C., che significano ante chemio e post chemio e che adesso vanno a pennello
per ante-Covid e dopo-Covid.
“Quando finisci sotto attacco - osserva sempre Anna Savini - la vita non è più la stessa. Perché non perdi più tempo a dire che farai le cose, le fai. Magari impieghi lo stesso un secolo a prendere una decisione, ma le fai. Io l’anno scorso sono andata a New York da sola e quest’anno, poco prima che scoppiasse la pandemia, sono andata a Hollywood per la notte degli Oscar. Era da quando avevo 14 anni che sognavo di andarci perché pensavo che fosse come nei film. Invece è tutto il contrario. Adesso lo so. Se no, mi sarebbe rimasto il pensiero di poter andare là e incontrare Brad Pitt. In realtà a Los Angeles non ho visto neanche un attore, ma ho scritto due reportage e soprattutto ho stornato la voce Hollywood dalla lista dei sogni… Bisogna fare le cose belle, sempre e subito. Intanto perché aiutano a star bene e tengono alla larga le malattie, poi perché può sempre capitare un intoppo, qualcosa che ci costringe a stare fermi senza poter più fare niente. Esattamente come sta succedendo ora con il coronavirus”.
“Quando finisci sotto attacco - osserva sempre Anna Savini - la vita non è più la stessa. Perché non perdi più tempo a dire che farai le cose, le fai. Magari impieghi lo stesso un secolo a prendere una decisione, ma le fai. Io l’anno scorso sono andata a New York da sola e quest’anno, poco prima che scoppiasse la pandemia, sono andata a Hollywood per la notte degli Oscar. Era da quando avevo 14 anni che sognavo di andarci perché pensavo che fosse come nei film. Invece è tutto il contrario. Adesso lo so. Se no, mi sarebbe rimasto il pensiero di poter andare là e incontrare Brad Pitt. In realtà a Los Angeles non ho visto neanche un attore, ma ho scritto due reportage e soprattutto ho stornato la voce Hollywood dalla lista dei sogni… Bisogna fare le cose belle, sempre e subito. Intanto perché aiutano a star bene e tengono alla larga le malattie, poi perché può sempre capitare un intoppo, qualcosa che ci costringe a stare fermi senza poter più fare niente. Esattamente come sta succedendo ora con il coronavirus”.
Infine
altre riflessioni: “Certo, a volte la realizzazione dei sogni non dipende
da noi, ma l’importante è non trovare scuse, come facevo io, quando i progetti
sono alla propria portata. Se il mondo dipendesse da me, io cancellerei la
malattia e il Covid-19 dalla faccia della terra. Così sarei sicura che il
prossimo maggio, quando il libro compirà tre anni esatti, saremo tutti liberi
di festeggiare. L’unica cosa che posso fare, invece, è augurarci che, come io
ho dimenticato quel periodo, così un giorno tutti noi non ci ricorderemo più il
dolore e l’angoscia che ci sta provocando il coronavirus. Come se non fosse mai
esistito. Come se ci fosse passato qualcun altro. E noi non saremo più
imprigionati a casa, ma sapremo anche cosa fare di bello anziché perdere tempo,
come succedeva nella fase a.C.”.
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