Tre domande su cui riflettere, precedute come detto dalla descrizione di quella che fu, più di un secolo fa, l’influenza spagnola, una pandemia influenzale che risale agli anni tra il 1918 e il 1920, la prima delle pandemie del XX secolo che coinvolgono il virus dell’influenza H1N1.
Arrivò a infettare circa 500 milioni di persone in
tutto il mondo, inclusi alcuni abitanti di remote isole dell’Oceano Pacifico e
del Mar Glaciale Artico, causando il decesso di 50-100 milioni di persone su
una popolazione mondiale di circa 2 miliardi.
La letalità le valse la definizione di più grave forma
di pandemia della storia dell’umanità: causò infatti più vittime della
terribile peste nera del XIV secolo.
La malattia ridusse notevolmente l’aspettativa di vita
dell’inizio del XX secolo che, nel primo anno dal diffondersi della pandemia,
risultava diminuita di circa 12 anni. La maggior parte delle epidemie
influenzali uccide quasi esclusivamente pazienti anziani o già indeboliti. Al
contrario, la pandemia del 1918 uccise prevalentemente giovani adulti
precedentemente sani.
Sono state formulate diverse possibili spiegazioni per
l’alto tasso di mortalità di questa pandemia. Un gruppo di ricercatori,
recuperando il virus dai corpi delle vittime congelate, ha scoperto che la
trasfezione negli animali causava una rapida insufficienza respiratoria
progressiva e la morte attraverso una tempesta di citochine (una reazione
eccessiva del sistema immunitario dell’organismo).
Si è quindi ritenuto che nei giovani adulti l’elevata
mortalità fosse legata alle forti reazioni immunitarie, mentre la probabilità
di sopravvivenza, in alcune aree, paradossalmente sarebbe stata più elevata in
soggetti con sistema immunitario più debole, come bambini e anziani.
Studi più recenti, basati principalmente su referti
medici originali del periodo della pandemia, hanno rivelato che l’infezione virale
stessa non era molto più aggressiva di altre influenze precedenti, ma che le
circostanze speciali (guerra, malnutrizione, campi medici e ospedali
sovraffollati, scarsa igiene) contribuirono a una superinfezione batterica che
uccise la maggior parte degli ammalati, in genere dopo un periodo prolungato di
degenza.
Inoltre in Europa, nel 1918, il conflitto durava ormai
da quattro anni e era diventato una guerra di posizione: milioni di militari
vivevano quindi ammassati in trincee sui vari fronti, favorendo così la
diffusione del virus. I dati storici ed epidemiologici sono inadeguati per
identificare l’origine geografica della pandemia. Alcuni studi ritengono che l’influenza
spagnola abbia avuto un’implicazione nella comparsa, negli anni Venti, dell’encefalite
letargica.
All’influenza fu dato il nome di “spagnola” poiché la
sua esistenza fu riportata dapprima soltanto dai giornali spagnoli: la Spagna
non era coinvolta nella prima guerra mondiale e la sua stampa non era soggetta
alla censura di guerra, mentre nei Paesi belligeranti la rapida diffusione
della malattia fu nascosta dai mezzi d’informazione, che tendevano a parlarne
come di un’epidemia circoscritta alla Spagna.
Poi, come detto, gli interrogativi legati all’attualità
e al dopo-coronavirus. Già, la storia sia maestra di vita.
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