Don Marco Malugani, parroco di Lierna. |
Un messaggio che
è, insieme, un augurio e una riflessione. A indirizzarlo alla sua comunità, nei
giorni immediatamente precedenti la Pasqua, è don Marco Malugani, parroco di
Lierna. Questo il testo del suo intervento:
La
Quaresima anticamente è nata in riferimento all’itinerario dei Catecumeni
adulti, per ricevere il santo battesimo nella notte di Pasqua. Durava diversi
anni e si intensificava poi, nell’ultimo, per un tempo di circa quaranta giorni. La
Chiesa ripropone a noi, che abbiamo ricevuto il primo sacramento da bambini, il
cammino quaresimale per riscoprire, accogliere, custodire, far crescere il battesimo.
In
linea con il Vangelo, si articola: nella preghiera e nel digiuno che sfocia nella
carità; ciò che risparmio rinunciando al cibo o ad altro non lo tengo nel
cassetto, non lo porto in banca, non lo uso per le vacanze ma è per i fratelli
bisognosi: così cresce la vita di Dio in noi.
Il
primo passo, però, è molto delicato e decisivo. Si tratta di capire bene che il
battesimo è il dono di Dio per noi: un dono gratuito, completo, definitivo. E’
come se Dio ci firmasse l’assegno in bianco e ci dicesse: “Ora tu sei mio
figlio! E lo sarai per sempre, qualunque cosa tu faccia nella vita, io non mi
pentirò mai!”.
Allora
la nostra convinzione non è: mi devo
moralmente impegnare per meritare questo dono sorprendente, preziosissimo,
indispensabile, divino... ma è di credere che in esso siamo uniti a Gesù il figlio
eterno, santo, buono, che condivide con noi la sua figliolanza, cioè l’amore
del Padre e per il Padre e la sua fratellanza, cioè l’amore per i fratelli.
Il
secondo passo, dopo questa prioritaria consapevolezza della differenza tra ciò
che compro e pago e ciò che invece ricevo in dono, è la presa di coscienza che
si tratta di un incontro tra chi dona e chi riceve il dono e che si forma una
specie di ponte su cui transita l’amore.
A
questo punto subentra la nostra libertà, il cui rispetto è stato da qualcuno
definito la “debolezza di Dio”. Possiamo, purtroppo, non accettare il dono,
tenere chiuse le mani, invece di aprirle per prenderlo e lasciarlo cadere.
Il
peccato, che più o meno affascina anche noi, consiste in questa fatica nel
fidarsi di Dio, come se attraverso il suo dono gratuito ci volesse ricattare.
Abbiamo paura di perdere le nostre zone di compensazioni, le piccole e grandi
schiavitù che ci gratificano. Ci sembra un Dio esigente che ci fa entrare nella
sua logica di preoccuparci un po’ meno
di noi e di occuparci un po’ più degli altri.
La
preghiera è il respiro della vita nuova, la vita battesimale; è l’arte di accogliere l’amore di Dio e fa la
differenza tra un cuore e un altro cuore, come l’acqua fa la differenza tra il
deserto e la Pianura padana; è un’alternanza di parole e di silenzio; è la
risposta all’ascolto di Dio e ci fa scoprire una rete d’amore in cui siamo
dentro tutti e nessuno è escluso. La sua parola ha a che fare con la nostra
salvezza, parla in un modo così puro da mettere a nudo le nostre debolezze, ma
non ci umilia.
San
Francesco, nella sua esperienza di preghiera, ha intuito un Dio così buono e
sapiente che ci vuole più bene di quanto ne vogliamo a noi stessi, capisce la
nostra vita meglio di noi, sa bene che cosa dobbiamo fare per realizzarci.
Compie così un importante passo avanti nella adesione al suo battesimo e con
totale abbandono, prega: “Signore cosa vuoi che io faccia?”, rovesciando un
altro modo di pregare, più familiare a noi, ma meno maturo, perché implicitamente chiediamo a Dio di fare la
nostra volontà.
Papa
Francesco in un suo libro cita un santo russo che definisce la vita battesimale
come acquisizione dello Spirito Santo, rimandandoci alla lettera di San Paolo (Rom.
5,5) in cui si afferma che l’amore di Dio è riversato nei nostri cuori per mezzo
dello Spirito Santo.
Noi
cristiani, se vogliamo essere coerenti con il battesimo, dobbiamo lasciarci
inzuppare nell’amore di Dio, un po’ come i savoiardi nel tiramisù. Il cuore di
cui si parla non è l’organo cardiaco, è solo una metafora per indicare che
tutta la nostra persona è inondata d’amore, nei suoi aspetti amabili e
detestabili. Questa è la vera medicina per noi, perché quando facciamo il male,
oltre a far male al prossimo all’esterno, ci facciamo male anche dentro;
esempio: se rubo, divento ladro.
Sant’Agostino
ci insegna che la penitenza assomiglia alla ginnastica; non è per punirci, ma
per farci stare meglio; a volte ci pesa perché trascuriamo l’allenamento; i
bisogni veri vanno soddisfatti, ma gli eccessi seminano i vizi. Se alla sera
mangi come un lupo e il mattino dormi fino alle dieci, se cedi ad abitudini
sedentarie, il corpo si appesantisce e nelle salite ti viene il fiatone.
La
sobrietà ci distoglie da un esagerato attaccamento alle cose e ci orienta verso
le relazioni a volte faticose, esercizi per far fiorire la nostra esistenza e
renderci contenti. E’ simile alla fisioterapia che aiuta a ricuperare la tonicità muscolare quando si
toglie il gesso.
San
Giovanni Crisostomo, in una sua omelìa, invita i fedeli a custodire il dono di
Cristo che nel battesimo ci inserisce nel suo mistero pasquale, attraverso la
vigilanza: “Smettetela di fare confusione!”, dice: “Datevi un po’ di ordine!
Non è più possibile essere indifferenti. Guardate gli atleti: dimostrate una
bella attenzione! La mancanza di
equilibrio umilia il nostro corpo e lo riduce a uno stato di schiavitù. Cosa
vediamo, cosa suscita la vista nel tuo cuore? Non su tutto vada con leggerezza
il tuo sguardo! I denti e le labbra, sono a protezione della lingua, perché non parli a vanvera, non
ferisca, ma pronunci parole che edificano, che comunicano gioia”.
Ho
voluto abbondare in queste mie riflessioni, che in parte ho attinto da fra’ Giulio,
responsabile editoriale della libreria Vaticana, per supplire un poco alle
omelìe e alle catechesi che in questa strana e penosa Quaresima sono mancate.
Mentre
immagino la vostra tristezza e il vostro disagio per le Eucaristie e le altre
funzioni a porte chiuse, e per tutte le altre difficoltà familiari, sono certo
che la vostra buona volontà le saprà valorizzare.
La
Pasqua è all’orizzonte e presto arriverà. Sappiamo che non si potrà celebrare
in forma solenne. Facciamo in modo di non diminuirne l’importanza e di viverla,
almeno nel desiderio, con rispetto e affetto.
Dopo
queste disposizioni, che tutti vogliamo osservare, non perdiamo l’anelito alla comunità.
Ognuno di noi si senta come un filo, non impazzito, la cui bellezza risalta
nell’unità del tessuto.
“A
Pasqua non preoccupiamoci di vincere, perché ha già vinto il Signore, ma di
godere nella vittoria. Tutto quello che Lui ha fatto ci raggiunge nel battesimo.
Dio ha combattuto ma la corona è nostra. Dio non è geloso ma generoso (Gregorio di Nissa).
La
Pasqua è seria, non possiamo accoglierla in modo banale e distratto. Noi siamo
molto selettivi: abbiamo gli amici, gli indifferenti, i nemici. Non restiamo
sordi all’imperativo biblico. “Abbiate gli stessi sentimenti di Cristo!”. Anche
la nostra vita battesimale crescerà in noi se ci lasceremo abbracciare da Dio
con la sincera voglia di abbracciare i nostri fratelli.
Sulla
croce, Gesù ha emanato il profumo più intenso del suo amore per l’umanità,
raggiungendo il massimo trionfo, perché non ha schiacciato miracolosamente ma
amato ostinatamente anche chi lo rifiutava.
Le
icone sono sempre dipinte su uno sfondo d’oro per ricordarci che il contesto in
cui si realizza la nostra storia personale e comunitaria è l’amore fedele di
Dio. Le ferite, inflitte in noi dal peccato, dopo la morte di Gesù diventano
feritoie della grazia e, se ci crediamo, si apre per noi un cammino di speranza
e di Risurrezione. Buona Pasqua!
Il vostro parroco, don Marco
Nessun commento:
Posta un commento