Emanuela Lonardi con i suoi tre figli Corinna, Marco e Nicolò. |
Era
partita per l’Olanda vent’anni fa dopo aver studiato Biologia all’Università di
Padova e avere ottenuto una borsa di studio. Nei Paesi Bassi sarebbe dovuta
rimanere per un periodo di sei mesi, ma in realtà da quella terra nel
Nord-ovest dell’Europa Emanuela Lonardi non si è più staccata.
Inizialmente
ha fatto ricerca in campo biochimico e microbiologico presso l’Università di
Leiden, la città che ha dato i natali a Rembrandt, dove lei risiede
attualmente.
Da
lì e restando comunque a Leiden la giovane biologa, classe 1975, madre di tre
figli (Corinna, quattordicenne, Marco e Nicolò, gemelli di 8 anni) si è spostata
al Centro medico universitario, dove ha lavorato presso il Centro di proteomica
e metabolomica a una serie di progetti di ricerca per lo sviluppo della
diagnostica oncologica. Sempre al LUMC si è poi occupata del coordinamento di
progetti di ricerca finanziati dalla Comunità europea e da un anno e mezzo lavora
all’Oncode Institute di Utrecht in qualità di “programme coordinator”.
La
famiglia di Emanuela è originaria del Veronese e nel 1965 si è trasferita ad
Abbadia Lariana, dove tuttora abitano mamma Gabriella e papà Enzo, mentre un
fratello vive in Alto Adige.
E’
stato un giornale proprio del Veronese, il settimanale cattolico d’informazione
Verona fedele, a contattare nei
giorni scorsi Emanuela Lonardi e a riportare sul numero in edicola domenica 26
aprile una sua dettagliata intervista a firma di Adriana Vallisari in cui parla
dell’emergenza coronavirus, dei test sierologici di cui tanto si discute in
questi giorni, di come andrebbero effettuati, della loro reale efficacia e
anche dei loro limiti. E poi degli studi epidemiologici in corso e della cosiddetta
“fase 2”, oltre che di una non improbabile nuova ondata di contagi.
“Un
secondo picco, un terzo e un quarto sembrano quasi inevitabili - dice la
biologa - ma è la portata delle ondate a dover essere tenuta sotto controllo.
Se stiamo attenti e ci impegniamo tutti insieme il secondo picco non sarà mai
drammatico come quello attuale”. “La strada che consiglio di seguire - aggiunge
- è quella del “far senza”, se si può. Sono in Olanda da 20 anni e so far senza
l’aiuto pratico dei miei, anche se non so stare senza di loro. Ringrazio
infatti la tecnologia che consente buffe videochiamate tra me, mio fratello in
Trentino, mio papà dal divano e mia mamma in cucina ad Abbadia Lariana, 4 metri
più in là. Mai come ora i miei mi mancano, così come mi mancano il caffè
insieme, le tavolate piene di cose buone da mangiare e le cose belle da
ricordare, mentre si ride in compagnia…”.
“Ma
posso aspettare - si legge sempre nell’intervista - Posso ancora far senza,
perché li so sani e al sicuro. E se, facendo senza, aiuto altra gente a tenere
i propri cari al sicuro, allora va bene così”.
A una finestra della casa di Emanuela il disegno di un arcobaleno e la scritta "Andrà tutto bene". |
E
la “fase 2” che in Italia tanto sta facendo discutere? “Oltre alla salute -
spiega Emanuela Lonardi - sono in gioco risvolti socio-economici importanti. Si
tratta del benessere della popolazione, nel senso dello “stare bene”. Star bene
fisicamente, star bene mentalmente, star bene su questo pianeta, tutti insieme.
Non mi sento di dare consigli a chi deve prendere le decisioni, ma non li
invidio. Faccio il tifo per loro, che abbiano la fortuna di trovare un gruppo
di esperti fidati, il coraggio di prendere le decisioni giuste (magari scomode
ma necessarie), la forza di spiegarle chiaramente e l’umiltà di chiedere
consigli a chi è davvero esperto, aggiustando eventualmente la rotta, se
serve”.
Sui
test sierologici, i tamponi e i limiti di entrambi l’opinione della biologa è
altrettanto esplicita: “Così come il tampone, anche il test sierologico
fotografa l’istante - osserva - Se il livello degli anticorpi è ancora basso, non passa la soglia di
rilevazione e si risulta negativi. Se il test sierologico è positivo significa
solo che il soggetto ha anticorpi contro il virus ma ciò non esclude
l’infettività. Si può essere contagiosi perché il virus è in circolo e aver
comunque prodotto gli anticorpi. Quindi per un “patentino di immunità”
servirebbero entrambi i test, ripetuti e confermati. Se il test sierologico è
positivo e il tampone negativo, allora non si è più contagiosi. Per il vaccino,
invece, credo occorrano tempi più lunghi”.
Fin
qui l’intervista. “Non so se il mio lavoro sia particolarmente prezioso in
questo tempo di emergenza - dice Emanuela dalla sua casa di Leiden - anche
perché non sono un medico e non faccio più ricerca. Mi sembra però giusto
provare a spiegare determinati concetti di biologia in modo semplice, senza
banalizzarli”.
“Proprio
qualche giorno fa - aggiunge - i miei due gemelli all’alba delle 6 mi hanno svegliato
e mi hanno fatto una serie di domande su come si diventa immuni al coronavirus.
E pochi giorni prima una mia carissima amica mi aveva posto un quesito analogo,
chiedendomi in particolare come sia possibile, una volta guariti dal Covid-19,
essere ancora contagiosi. Su quattro foglietti ho fatto altrettanti schemini, che
mi pare siano stati effettivamente di aiuto”.
Ieri
in Olanda era il Koningsdag, il “Giorno del re”, in tempi non segnati
dall’emergenza sanitaria la festa più bella dei Paesi Bassi, che appunto il 27
aprile celebrano il compleanno del re Guglielmo Alessandro con musica,
festeggiamenti in strada, mercatini e fiere. E con ogni città che si colora rigorosamente
di arancione. Ma quest’anno Emanuela Lonardi e i suoi tre figli sono rimasti a
casa, come tutti. “Non c’era in giro nessuno - dice la biologa - e del resto per
questo 2020 la ricorrenza era stata significativamente denominata “Woningsdag”.
Come dire, il giorno della casa”.
Già,
perché anche l’Olanda, un po’ come tutto il mondo, aspetta di ripartire.
Paesi Bassi, sic
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