Un gruppo di partigiani a Era in una foto del 1944. |
Lei, quella lotta, l’aveva combattuta in prima linea e
negli anni successivi dedicò tempo ed energie alla diffusione degli ideali
dell’azione partigiana e dei valori che
la ispirarono.
Quante battaglie si ritrovano ripercorrendo la sua
vita! Un percorso con tanti ostacoli, sempre superati con la determinazione e
la volontà di chi non vuole accettare la sopraffazione. E l’ingiustizia.
“Quando arrivò il 25 aprile del ’45 - scriveva “la
Giulia” - non ci sembrava vero di poter circolare per Mandello liberi. Ma dopo
qualche giorno arrivarono notizie allarmanti. A Mandello giunse infatti
l’Armata Liguria comandata dal generale Pemsel. Presero il posto dei loro
colleghi tedeschi e si installarono per qualche giorno alle ex scuole di
Molina. Il generale tedesco era disposto ad arrendersi soltanto davanti a un pari
grado”.
“Interpellato telefonicamente il Comitato di
liberazione nazionale Alta Italia - aggiungeva - mandammo a prendere a Milano
un ufficiale e in una sala dell’attuale asilo di Molina, sotto dettatura di un
interprete, la resa fu scritta da me a macchina. Il 30 aprile, finalmente, i
tedeschi presero la via del ritorno, passando per il Brennero. Prima di partire
gettarono molte armi nel lago nella zona delle gallerie di Lierna, dove l’acqua
era molto profonda...”.
Giulia Zucchi al Quirinale con il presidente Sandro Pertini. E' il 1983. |
“Essere stato partigiano - si legge sempre nel
libro-diario della mandellese, classe 1922 - per qualcuno non era considerato
un titolo di merito, in particolare se si aggiungeva garibaldino”. E ancora:
“Ciascuno di noi si è dato da fare, singolarmente oppure inserito nelle
associazioni e nei comitati preposti a compiti di assistenza o con iniziative
politico-culturali che ritenevamo positive per un ritorno a una normalità
vivibile. Abbiamo cercato di fare tutto con lo stesso impegno profuso nella
lotta di liberazione. E oggi la mia disponibilità e il mio entusiasmo li dedico
all’Anpi e, legata ai miei compagni più cari, resisto perché so quanto è
importante l’impegno che ci siamo assunti di non lasciar dimenticare”.
Il libro riporta
vari episodi della lotta di Resistenza. Tra gli altri, questo: “Un giorno,
mentre tornavo da Lecco con la borsa carica di munizioni, sulla strada davanti
all’ex caserma dei carabinieri mi fermò un fascista di Mandello. Cosa vuoi da
me?, gli chiesi. Lui rispose: “Guardare nella tua borsa”. Allora gli dissi:
“Guardaci pure, sono andata a Lecco a fare un po’ di spesa”. Convinto dal mio
atteggiamento sicuro, lui non guardò. Quel giorno presi un grande spavento e,
arrivata vicino alla Moto Guzzi, scesi dalla bicicletta e per qualche minuto
rimasi appoggiata al muro. Poi proseguii, arrivando fino a Somana”.
Poi
un altro episodio: “Nel marzo del ’44 fui mandata a Milano per ritirare delle
armi che ci avevano procurato i Gruppi di azione patriottica, che ebbero
grandissimo merito nella lotta partigiana. Dovevo recarmi a San Siro in via
Pellizza da Volpedo… Caricai le armi in una valigia di medie dimensioni.
Arrivata in piazza Castello un repubblichino in borghese fece scendere tutti
perché il tram non proseguiva oltre. Si viveva nel terrore e nessuno protestò.
Presi la mia valigia e mi incamminai verso piazza della Scala per riprendere il
tram… All’imbocco di via Dante c’erano le macerie di un grande palazzo
bombardato. E dalle macerie partirono raffiche di mitraglia. Erano i gappisti che attaccavano un corteo
fascista… Io proseguii con la mia valigia. Avevo 22 anni e tanta voglia di
liberare l’Italia. Ormai erano diventati 100 i compagni che mi aspettavano
lassù a Era.”.
E ancora: “I cittadini mandellesi ci aiutarono molto,
altrimenti non avremmo potuto resistere venti mesi in montagna. La nostra
Brigata ha avuto il privilegio di ospitare uno dei partigiani più giovani
d’Italia. Sua madre Fulvia Poletti, sorella del nostro comandante Lino Poletti,
e suo padre Isidoro Mauri, antifascista di vecchia data, avevano portato con
loro il figlio Franco, di soli 5 anni, per sfuggire alle rappresaglie fasciste.
Quando di sera i partigiani scendevano da Era per fare delle azioni, al ritorno
si fermavano a casa mia e io preparavo gnocchi di patate. Finito di mangiare, i
partigiani si incamminavano nuovamente verso Era… A Somana non si è mai visto,
durante il periodo della resistenza, un tedesco o un fascista. Appena in paese
si vedeva un volto nuovo, tutti erano in allarme. Quasi tutti avevano in
montagna fratelli o parenti, così si stava molto attenti. E fortunatamente è
andata sempre bene”.
Nel libro di Giulia Zucchi c’era quindi spazio per il capitolo
dedicato a Giovanni e Giuseppe Poletti, arrestati mentre percorrevano la strada
che portava a Molina. Giuseppe tentò la fuga che lo portò alla morte, Giovanni
fu portato al comando tedesco a Molina, torturato e fucilato all’esterno del
cimitero.
“Ci chiamavano banditi - scriveva la Giulia - ma in
realtà i banditi erano loro”. Poi il racconto dell’attentato della Maiola
dell’ottobre 1944 costato la vita a Battista Morganti (il Brachèt), Davide Gaddi e Adamo Gaddi, quest’ultimo morto
nell’ambulatorio del dottor Stea dove era stato portato a causa delle
gravissime ferite riportate nello scoppio.
Infine lo scioglimento della Brigata e i giorni della
Liberazione. E una considerazione: “Purtroppo la vita ha il suo corso
inevitabile e tutti gli anni qualcuno manca all’appello, ma la storia dobbiamo
tenerla viva. Il ricordo deve restare anche per le giovani generazioni, per far
sì che l’Italia rimanga sempre uno stato democratico”.
Buonasera. Ho conosciuto la signora Giulia: dove posso trovare il libro di cui si parla? Grazie
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