Don Tommaso Frigerio, cresciuto a Somana di Mandello, sacerdote dal 2012. |
(C.Bott.) Lui è don Tommaso Frigerio, classe 1976,
cresciuto a Somana di Mandello Lario e dopo la sua ordinazione sacerdotale,
datata 2012, chiamato a svolgere il suo ministero nella diocesi di Bergamo.
Fino al 2018 è stato vicario parrocchiale, incaricato della pastorale giovanile
presso la parrocchia di Chiuduno, alle porte della Valcalepio. Due anni fa il
vescovo gli ha chiesto di occuparsi della formazione dei seminaristi in qualità
di vicerettore per il biennio teologico del seminario del capoluogo orobico.
“Per me, “somanello” - dice don Tommaso - è stato motivo di orgoglio poter
abitare e operare nella struttura che il vescovo Clemente Gaddi, nativo proprio
di Somana, ha tanto desiderato e portato a compimento”.
Queste,
si sa, sono le settimane in cui l’Italia intera e Bergamo in modo ancora più
violento stanno vivendo la drammatica pandemia. E convivendo con il coronavirus.
E’ vero, sono stati spesi fiumi di parole per spiegare ciò che ciascuno sta provando
in questo periodo di quarantena e di distanziamento sociale. Sa però bene, il
sacerdote mandellese, che le narrazioni e le testimonianze personali aiutano a
rielaborare il vissuto e a dare la possibilità di rileggere ciò che ha fin qui attraversato
le nostre vite.
Premesso
che il seminario è rimasto sempre attivo, pur se con una comunità più piccola (i
seminaristi provenienti da zone a rischio come la Val Seriana e quelli che
erano entrati in contatto con situazioni dubbie sono infatti rimasti a casa),
don Tommaso spiega che momenti facili e piacevoli si sono alternati ad altri di
legittima preoccupazione. “Quando qualcuno aveva qualche linea di febbre - dice
- comprensibilmente ci si preoccupava, senza peraltro mai cedere all’allarmismo”.
“Più
difficile - aggiunge - è stata la situazione dei sacerdoti nei comuni della
Bergamasca. Abbiamo affidato all’abbraccio di Cristo buon pastore tanti nostri confratelli,
tra i quali autentici maestri della carità come don Fausto Resmini e
personalità importanti come il caro don Tarcisio Ferrari, per lunghi anni segretario
del “nostro” vescovo Clemente Gaddi. E’ difficile esprimere quello che si prova
davanti al vuoto che si manifesta quando vengono a mancare persone alle quali
si era legati. I bergamaschi, e non solo loro, per reagire al vuoto spesso
devono trovare un’occupazione, un’attività, qualcosa che saturi il tempo e le
energie. Non è un caso che proprio qui sia stato realizzato un ospedale da
campo in tempo record”.
“Ma
se il dato della generosità è encomiabile - aggiunge don Tommaso, alle spalle
anche una bellissima esperienza con l’Operazione Mato Grosso che l’ha portato nel
2002 a vivere per sei mesi a San Salvador in Brasile e tra il 2005 e il 2007 a
San Luis, in Perù - è altrettanto vero che la sospensione delle attività
ordinarie ha scoperchiato la grande fatica di darsi un senso nel momento in cui
non c’è niente da fare. Per noi preti è stata una Quaresima senza celebrazioni,
senza attività per i ragazzi, senza vie Crucis, senza il tempo per le
confessioni. E’ stata una Pasqua in solitudine e tutto ciò ha significato il
bisogno di una rilettura sapienziale che non sempre riusciva ad affiorare”.
A
guidare in quella fase don Tommaso è stato, per sua stessa ammissione, un pensiero
di papa Giovanni XXIII scritto nel 1927 nel suo Giornale dell’anima: “Debbo, voglio essere sempre più uomo di
intensa preghiera. Conservo Gesù Eucarestia con me ed è la mia gioia. Ancora
più calma, ancora più calma e soavità e pace nelle cose mie. Se non posso fare
tutto il bene che credo necessario al profitto delle anime nella missione
affidatami, non mi debbo per nulla turbare né inquietare. Il mio dovere, secondo gli impulsi della
carità, e basta. Tutto il Signore sa volgere al trionfo del suo regno, anche il
mio non poter fare di più, anche la violenza che mi debbo imporre a restare
inoperoso”.
“Credo
che quel pensiero - spiega il sacerdote - ben rappresenti il concetto di come a
volte l’inoperosità debba essere vista come possibilità per una rilettura del
tipo di servizio che, da pastori, occorre offrire. Io sono un pessimo esempio
da questo punto di vista. Da alcune settimane ho chiesto di poter offrire la
mia disponibilità presso una struttura sanitaria della città in cui mancava il
conforto dei sacramenti. Così da alcune settimane mi trovo presso una Rsa.
Faccio la vita del cappellano, tra semplici funzioni, benedizioni e, purtroppo,
le inevitabili unzioni degli infermi. Ho trovato un ambiente dove, a dispetto
delle cronache, si continua a prendersi cura degli anziani e dei malati, con un
personale che in molteplici occasioni ha mostrato un’umanità commovente,
dichiarando di esserci, oltre che da un punto di vista sanitario, anche da
quello spirituale”.
Quindi
altre significative riflessioni di don Tommaso: “E’ un mondo particolare, che
non conoscevo essendo sempre stato preso più dalla cura dei più giovani che non
degli anziani. Mi accorgo però di quanto bene possano fare due parole dette da
un sacerdote. Ci si riscopre infinitamente piccoli nel momento in cui si ha
l’occasione di donare ciò che non ci appartiene. E’ questo il piccolo miracolo
quotidiano che, forse presi da tante o troppe cose da fare, recepiamo come
appendice alle nostre attività pastorali ed ecclesiali. Insomma, ero venuto qui
per portare un po’ di conforto rispetto a quelle morti in solitudine che
intravedevo sui giornali e che scuotevano il mio animo. Mi ritrovo oggi… a
bottega, a imparare nuovamente la bellezza di poter servire quelli che oggi sono
i nostri ultimi e, al tempo stesso, sentendomi servito dall’esercizio della
loro fede, umile e semplice”.
“Sento
ancora - conclude il sacerdote mandellese - che la mia vocazione è legata al
mondo della gioventù più che a quello della terza età, ma oggi realizzo che non
esiste età, o situazione, che non possa godere di una rilettura tesa alla mia
personale conversione. Il mondo che verrà sarà buono e giusto se sapremo capire
in che direzione ognuno di noi, a partire da quanto ha vissuto, è chiamato a crescere”.
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