I loro nomi, i loro volti e le loro
storie insieme a quelli dei “testimoni della fede” presentati nella mostra “Sui
loro passi” voluta dal Sinodo diocesano
Franco Gianola e Adele Croci di Abbadia Lariana. |
Una
mostra denominata “Sui loro passi” e dedicata ai “testimoni della fede”. A
proporla è stato il Sinodo diocesano, che l’ha allestita a Como presso il
Centro pastorale “Cardinal Ferrari”, in viale Cesare Battisti.
L’idea
della rassegna espositiva, che si compone di 26 pannelli, era scaturita nel
momento in cui il vescovo Oscar Cantoni aveva manifestato il desiderio che il
cammino sinodale fosse accompagnato dalla testimonianza di tanti fratelli e
sorelle della Chiesa lariana. Donne e uomini “umili testimoni di Cristo per
mezzo di una vita di fede e di carità nei più diversi luoghi della diocesi”.
Due
anni fa papa Francesco, nella Gaudete et
exsultate, parlando di “santi della porta accanto” invitava del resto a
scorgere segni di santità all’interno di tutto il popolo di Dio, non
limitandosi a quelli già beatificati o canonizzati per imparare a
contemplare lo spirito che “riversa ovunque santità”.
Ecco
allora il progetto “Sui loro passi” scaturito anche dalla consapevolezza che la
diocesi di Como, anche soltanto guardando al secolo scorso, può gioire
nello scorgere numerosi segni di questa santità, tanto da poter parlare di una
vera “moltitudine di testimoni”: missionari, laici, sposi, giovani e
gruppi giovanili, sacerdoti, consacrate e consacrati che, nella
testimonianza di una vita di fede, speranza e carità, sono stati segni di
santità e modelli destinati a incoraggiare tutti nel cammino della vita.
All’interno
di questa “moltitudine” si rendeva tuttavia indispensabile una scelta, tenendo
conto della rappresentatività dell’intero territorio diocesano e soprattutto
della ricchezza e varietà delle diverse vocazioni.
Tra
i nomi scelti alcuni sono già conosciuti, altri sono invece più nascosti nelle
pieghe delle piccole storie delle nostre comunità. “Troviamo alcune figure -
spiegavano i promotori della mostra - la cui santità è già riconosciuta
ufficialmente dalla Chiesa o il cui cammino è in corso, mentre altre sono
figure più nascoste e corrispondono davvero a un’autentica santità della porta
accanto”.
“Interessante
- aggiungevano - è trovare anche esperienze comunitarie e di gruppo. Sono stati
scelti senza la pretesa di canonizzare nessuno, ma piuttosto con il desiderio
di indicare alcuni buoni esempi, come si fa in ogni famiglia”.
E ancora: “Un elenco di nomi, volti e storie che non vuole essere esaustivo ma certamente
rappresentativo. Incrociando e leggendo quelle storie, a molti verranno
in mente altri volti e altri nomi e forse ne lamenteranno l’assenza. Il lavoro
non è però né chiuso né riservato a specialisti. Anzi, quello che si vorrebbe
suscitare è proprio questo: che ogni comunità si metta alla ricerca di quelle
testimonianze che sono segno dell’opera di Dio in mezzo ad essa. Sarà questo
anche un modo per parlare oggi di Dio a tutti, soprattutto ai giovani”.
Tra i nomi e i volti della mostra, guardando al
Vicariato di Mandello, vi sono quelli dei coniugi Adele e Franco Gianola e di Bruno
Volpi.
Adele e Franco, coppia innamorata della vita
Adele
Croci era originaria di Uggiate, dov’era nata nel 1946 in una famiglia
contadina, mentre Franco Gianola, classe 1943, era nativo di Premana ed era cresciuto
a Como, dove aveva frequentato l’oratorio di San Bartolomeo e dove, sul campo
di pallone, incontrò Gigi Meroni, futuro campione di calcio morto giovanissimo
in un tragico incidente stradale, che fu per lui un carissimo amico e un
compagno di giochi.
La
vita di Adele e Franco si intreccia sui banchi di scuola e il 27 marzo 1967 i
due si sposano a Uggiate, nel santuario di Somazzo. L’armonia della comunione coniugale
richiede di coordinare costantemente le note dell’esistenza mentre si
attraversano insieme le varie stagioni e le impreviste situazioni di ogni
storia coniugale.
Dopo
qualche anno vissuto a Torino per esigenze di lavoro, nel 1975 la coppia si
trasferisce ad Abbadia Lariana. Genitori di tre figli, Adele e Franco partecipano
alle attività della parrocchia, dell’Azione Cattolica e dell’Equipe Notre-Dame,
in cui affinano la loro vita spirituale di coppia, fatta di dialogo e approfondimento
della parola di Dio.
Vivono
la loro fede soprattutto nel lavoro, campo di applicazione degli insegnamenti
provenienti dai vari ambiti. Franco ha dedicato tutta la sua vita professionale
al commercio, apprendendo il mestiere a Como e portandolo poi in giro per
l’Italia con passione, dedizione e amore, sempre insegnando ai ragazzi che “non
basta lavorare, bisogna lavorare bene!”.
Adele
lo ha accompagnato, dedicandosi ai figli e ai ragazzi che affiancavano Franco,
con dolcezza e capacità di ascolto. Erano innamorati della vita, “perché - come
dicevano - non c’è nulla di più bello”.
Era
il 9 giugno 2014 quando in Valvarrone accadde l’incidente aereo in cui perse la
vita anche il pilota Pietro Brenna, trentatreenne comasco, oltre alla coppia di
Abbadia Lariana. I tre erano a bordo di un idrovolante che, partito da Como,
stava sorvolando la Valle dei Forni.
I coniugi Gianola (al centro) con don Vittorio Bianchi nel 2011 in occasione del pellegrinaggio diocesano a Roma. |
A
ricordare i coniugi Gianola fu, nei giorni successivi, don Tullio Salvetti, per tredici
anni (dal 1982 al 1995) parroco proprio ad Abbadia, dove il sacerdote aveva
conosciuto Adele e Franco. “Un gruppo di ragazze e di ragazzi cresceva con me -
aveva detto il sacerdote - con una frequentazione assidua dell’oratorio, della
chiesa, della mia casa e della casa ai Piani Resinelli. Il contatto con le loro
famiglie era costante e costruttivo e tra queste vi era la famiglia Gianola”.
“La
loro casa - aggiungeva l’ex parroco di Abbadia - era un po’ come quella di
Betania: accogliente, ospitale, luogo di incontro, di dialogo e di scambio di
opinioni. La visione positiva delle cose dava modo di creare sempre un clima di
allegria e di ottimismo. Contagiavano anche noi con la loro passione per
Premana, dove ci invitavano nella stagione estiva per qualche escursione sugli
alpeggi”.
“Abbadia
ci sembrava troppo piccola - osservava sempre don Tullio - e il nostro sguardo
andava lontano, al mondo che ci circondava e che volevamo conoscere. Il primo
grande viaggio lo facemmo con nove parrocchiani, tra i quali Adele e il figlio
Giovanni, in Brasile, terra di missione di don Battista Cossali. Fu
un’esperienza indimenticabile, che ci mise in contatto con i problemi del Sud
America”.
Il
prevosto di Monte Olimpino ricordava poi la visita alle maggiori capitali
europee alla ricerca e alla scoperta di cattedrali, monumenti, musei e culture
diverse dalla nostra. Fino ad un viaggio indimenticabile con Franco Gianola in
Patagonia, per godere di panorami unici.
Quindi
una riflessione conclusiva: “Il dolore per la perdita è grande, ma la speranza
dell’altra vita e di rivederci non viene meno. Non so perché il Signore li ha
chiamati a sé in maniera così improvvisa e traumatica, ma so che sono morti
insieme, come sono vissuti insieme. E sono morti mentre andavano a Premana, il
loro rifugio sognato, attraverso la via del cielo. Ora la loro casa è ancora
più grande e accogliente perché ormai sono nel banchetto del cielo”.
Don Vittorio
Bianchi, parroco ad Abbadia dal 2010 al 2019, ricordava invece così i coniugi
Gianola: “Adele ha curato per molti anni la formazione dei fidanzati nel loro
cammino di preparazione al sacramento del matrimonio e ha pure speso non poche
energie nell’ambito dei gruppi familiari. Ultimamente mi organizzava la festa
degli anniversari di matrimonio ed era presidente dell’Azione Cattolica di
Abbadia. Suo marito Franco, invece, avevo ritenuto opportuno proporlo a
ministro straordinario dell’Eucarestia. Si dedicava infatti con impegno e
gioiosamente alla cura degli anziani e degli ammalati e proprio con Adele era
stato chiamato a far parte del nuovo consiglio pastorale parrocchiale”.
Don Vittorio
aveva evidenziato altresì l’impegno di Gianola in qualità di presidente
dell’associazione “San Vincenzo” nel Vicariato di Mandello.
“Due persone
religiosissime - affermava - e buone, attente alle attese e alle esigenze delle
persone, assidui nella frequentazione delle attività della parrocchia”.
Nei
giorni successivi a quel tragico volo nella basilica di San Nicolò a Lecco si
era tenuto il rito funebre dei coniugi Gianola, dopodiché le salme di Adele e
Franco erano state tumulate nel cimitero di Abbadia.
Bruno Volpi in una foto che lo ritrae con la moglie, Enrica Corti. |
Bruno Volpi e la
vocazione alla famiglia solidale
Bruno
Volpi nasce a Mandello nel 1937. Conseguito il diploma di geometra, lavora alla
Moto Guzzi. Con la moglie Enrica Corti, lecchese, nel 1963 parte per il Rwanda,
dove la coppia resta in missione per otto anni.
A
partire dal 1978 Bruno e Enrica, insieme a Massimo e Danila Nicolai e a una
comunità di padri gesuiti, danno vita alla Comunità di Villapizzone a Milano.
Una comunità fondata sul vangelo e sulla prossimità familiare come risorsa per
una vita sobria, accogliente e solidale. La vocazione alla famiglia è una
vocazione piena. Bisogna stare lì, starci dentro.
Nel
corso della sua vita Bruno vede crescere e diffondersi questa esperienza con la
nascita di una quarantina di comunità familiari sparse in tutta Italia, insieme
a cooperative di lavoro, gruppi di sostegno e mutuo aiuto.
Insieme
ad altre realtà costituisce la Fondazione “I Care ancora”, l’associazione di promozione
sociale “Mondo di comunità e famiglia”, che tiene in rete diverse esperienze.
Bruno durante tutta la sua vita si spende generosamente anche condividendo
l’esperienza di Villapizzone e partecipando a incontri, seminari, attività
culturali e ecclesiali.
Muore
nel 2017 e il suo nome è nel Famedio di Milano tra gli uomini illustri.
Dell’esperienza dei coniugi Volpi padre
Silvano Fausti, gesuita, ha scritto: “Vivere con famiglie solidali in una casa tanto malmessa
fuori quanto viva dentro è per noi gesuiti un grande dono. Rende credibile ciò
che diciamo. Chiunque viene, vede che una vita semplice e sensata è possibile
anche a Milano. Il Vangelo che si annuncia non è cosa da preti. Lo vivono
famiglie normali, anche senza etichetta religiosa e gli stessi preti sembrano
persone normali. Il principio del nostro stare insieme non è il dovere di “fare
del bene” ma anzitutto il piacere di “star bene” e si sta bene quando la
priorità è data alle relazioni. Chi sta bene è accogliente e così può far stare
bene gli altri”.
Queste
sono invece le parole di Enrica: “Con Bruno,
mio compagno di tutta la vita, abbiamo imparato a fidarci di Dio. Abbiamo
capito che da soli non andavamo lontani, ma con Lui ci sentivamo protetti, ci
sentivamo come strumento nelle sue mani e nonostante gli errori e le fatiche
eravamo sereni e certi che la provvidenza non ci avrebbe mai abbandonato”.
E ancora: “Bruno mi ha
aiutato a capire il valore della povertà, dei “beati i poveri”. E’ beato chi ha
bisogno, diceva. Bisogno degli altri e di Dio. Riconoscere questa povertà ci ha
aiutato a cercare di vivere uno stile di vita che include questi bisogni,
perché abbiamo sempre bisogno gli uni degli altri e di Dio per vivere bene.
Bruno mi ha sempre aiutato a capire il senso di tutto e non riesco nemmeno a
immaginare cosa sarebbe stata la mia vita senza di lui”.
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