Manuel Lafranconi con la moglie Clarissa e il piccolo Alessandro. |
Vive a Londra,
dove lavora nel settore finanziario, da ormai diciassette anni, da quando cioè
ha deciso di trasferirsi da Mandello alla capitale britannica. Ha 40 anni, è
sposato con Clarissa e ha un bimbo, Alessandro, di quasi due anni e mezzo. Lui è Manuel
Lafranconi e quelle che seguono sono le sue considerazioni sull’emergenza
coronavirus e su come Londra e la nazione la stanno vivendo. E
affrontando.
Queste
mie considerazioni sorprenderanno forse molti, perché non riguardano l’aspetto
sanitario dell’attuale crisi da coronavirus, né tanto meno descrivono la mia
preoccupazione (che ovviamente c’è) su come il Regno Unito si prepara ad
affrontare lo tsunami di contagi e casi più o meno gravi che stanno per arrivare
anche qui.
Non
paragono nemmeno il servizio sanitario inglese (l’NHS), in cui gli inglesi
credono ciecamente (fidatevi), a quello italiano, di gran lunga migliore sotto
tutti gli aspetti e che troppo spesso gli italiani danno per scontato. No,
quello che state per leggere descrive una situazione a mio avviso molto più profonda,
che dovrebbe far riflettere molto proprio noi italiani, non tanto in
questo momento di piena crisi quanto dopo, quando l’emergenza finirà e ci
sarà da ricostruire sopra i cocci che la stessa avrà lasciato.
Ripeto,
vivo qui da 17 lunghi anni: dopo tutto il tempo in cui sto nel Regno Unito
pensavo proprio di averlo capito a fondo e che non mi avrebbe più riservato
alcuna sorpresa. E invece venerdì scorso il primo ministro inglese, Boris
Johnson, ha fatto un discorso alla nazione ammettendo praticamente che la linea
guida del governo era quella di non far nulla (o comunque poco) per contrastare
la diffusione dei contagi da coronavirus che sta attanagliando ormai l’intera
Europa e tutto il mondo e che quindi molte famiglie devono prepararsi a perdere
prematuramente i loro cari.
La
mia prima reazione è stata di stupore, seguita subito dopo da una sorta di
rassegnazione. Stupore e rassegnazione alle parole del primo ministro, direte
voi?
Ebbene
no: da Boris Johnson, da puro e duro conservatore qual è, potevo anche
aspettarmi un comportamento e un discorso del genere.
Il
mio stupore e la mia rassegnazione sono stati dettati dalla completa e totale
assenza di reazione da parte dell’opinione pubblica (e praticamente anche della
stampa): nessuna protesta, nessun (beh, diciamo pochi) titolone sui
giornali, nessuna petizione, niente di niente.
Già
oggi, a una settimana da quel discorso, l’atteggiamento del governo è completamente
cambiato e, se non a un completo dietrofront, stiamo assistendo per lo meno a un
netto cambio di direzione che porta il governo inglese più in linea con il
comportamento delle altre democrazie europee.
Ma
tale inversione di rotta è stata indotta da una reazione dell’alta comunità
scientifica inglese, soprattutto da studi pubblicati da alcune tra le università
più prestigiose del Paese, non certo da proteste più o meno violente di gente
scesa in piazza, o da una reazione della stampa, o tanto meno dell’opposizione.
E questo mi ha fatto riflettere, molto.
Perché
da noi, in Italia, si farebbe un finimondo per molto meno. Perché da noi, in
Italia, le prime e le seconde e forse anche le terze pagine di tutti i
quotidiani e i telegiornali non avrebbero parlato d’altro per giorni. Perché se
il primo ministro Conte avesse pronunciato le stesse parole, probabilmente non
sarebbe nemmeno riuscito a scendere dal palco.
Preferisco
la mentalità inglese a quella italiana? Assolutamente no, ritengo vergognoso
che un’intera nazione accetti parole così dure e un comportamento di quasi
totale disinteresse verso il bene più prezioso, cioè la vita!
Ma
vi prego, riflettete: prima di criticare le azioni del nostro governo pensate
che non troppo lontano da voi c’è un’intera nazione che è disposta a seguire le
direttive della propria classe dirigente, qualunque essa sia, senza discuterle
e fidandosi.
Ora,
in questo momento di profonda crisi, all’improvviso ci riscopriamo tutti italiani
e la coesione nazionale non è forse mai stata così forte dal dopoguerra a oggi.
Lungi
da me criticare questa cosa. Anzi, la condivido pienamente e non è passato
giorno - di questi 17 anni - in cui non ho tessuto le lodi del nostro Bel Paese
a colleghi e amici stranieri.
Ma
per favore, continuiamo a essere coesi e rispettosi anche quando questa emergenza
sarà alle spalle. In quello, forse, sarebbe meglio essere un po’ meno “italiani”
e un po’ più… “inglesi”.
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