Alessandro
Manzoni e il Lago di Como, il “Gran lombardo” e i Promessi sposi nei giorni dell’emergenza coronavirus.
Alessandro
Manzoni e l’invito di un preside ai propri alunni, rivolto già a fine febbraio e in queste settimane
forzatamente a casa, a rileggere il capitolo 31 del celebre romanzo storico. Il
motivo lo spiega lui stesso: “Perché in quel capitolo c’è purtroppo tutto
quello che sta accadendo oggi con il coronavirus”.
Il
preside in questione è il professor Domenico Squillace, dirigente scolastico
del Liceo “Alessandro Volta” di Milano.
Rivolgendosi
agli studenti, il preside scrive: “La
peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le
bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto
parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia....
Le parole appena citate sono quelle che aprono il capitolo 31 dei Promessi sposi, capitolo che insieme al successivo
è interamente dedicato all’epidemia di peste che si abbatté su Milano nel 1630.
Si tratta di un testo illuminante e di straordinaria modernità che vi consiglio
di leggere con attenzione, specie in questi giorni così confusi”.
Il
messaggio del preside così prosegue: “Dentro quelle pagine c’è già tutto, la
certezza della pericolosità degli stranieri, lo scontro violento tra le
autorità, la ricerca spasmodica del cosiddetto paziente zero, il disprezzo per
gli esperti, la caccia agli untori, le voci incontrollate, i rimedi più
assurdi, la razzia dei beni di prima necessità, l’emergenza sanitaria... In quelle
pagine vi imbatterete tra l’altro in nomi che sicuramente conoscete
frequentando le strade intorno al nostro Liceo che, non dimentichiamolo, sorge
al centro di quello che era il lazzaretto di Milano: Ludovico Settala,
Alessandro Tadino, Felice Casati per citarne alcuni. Insomma, più che dal
romanzo del Manzoni quelle parole sembrano sbucate fuori dalle pagine di un
giornale di oggi”.
E
ancora: “Cari ragazzi, niente di nuovo sotto il sole mi verrebbe da dire,
eppure la scuola chiusa mi impone di parlare. La nostra è una di quelle istituzioni
che con i suoi ritmi e i suoi riti segna lo scorrere del tempo e l’ordinato
svolgersi del vivere civile. Non a caso la chiusura forzata delle scuole è
qualcosa cui le autorità ricorrono in casi rari e veramente eccezionali. Non
sta a me valutare l’opportunità del provvedimento, non sono un esperto né fingo
di esserlo, rispetto e mi fido delle autorità e ne osservo scrupolosamente le
indicazioni. Quello che voglio però dirvi è di mantenere il sangue freddo, di
non lasciarvi trascinare dal delirio collettivo, di continuare, con le dovute
precauzioni, a fare una vita normale”.
“Non
c’è alcun motivo - aggiunge il preside del “Volta” - per prendere d’assalto i
supermercati e le farmacie, le mascherine lasciatele a chi è malato, servono
solo a loro. La velocità con cui una malattia può spostarsi da un capo all’altro
del mondo è figlia del nostro tempo, non esistono muri che le possano fermare,
secoli fa si spostavano ugualmente, solo un po’ più lentamente. Uno dei rischi
più grandi in vicende del genere, ce lo insegnano Manzoni e forse ancor più
Boccaccio, è l’avvelenamento della vita sociale, dei rapporti umani, l’imbarbarimento
del vivere civile. L’istinto atavico quando ci si sente minacciati da un nemico
invisibile è quello di vederlo ovunque, il pericolo è quello di guardare a ogni
nostro simile come a una minaccia, come a un potenziale aggressore”.
E
le ultime considerazioni: “Rispetto alle epidemie del XIV e del XVII secolo noi
abbiamo dalla nostra parte la medicina moderna, non è poco credetemi, i suoi
progressi, le sue certezze. Usiamo il pensiero razionale di cui è figlia per
preservare il bene più prezioso che possediamo, il nostro tessuto sociale, la
nostra umanità. Se non riusciremo a farlo la peste avrà vinto davvero. Vi
aspetto presto a scuola”.
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