L’ex corridore
professionista ricorda il campione bergamasco: “La morte è la porta che introduce
alla vita vera e io sono certo che Felice fosse preparato bene, come quando
correva”
Gianbattista Baronchelli con don Agostino Frasson a Lecco nel febbraio 2016. |
di Claudio Bottagisi
“E’
un duro colpo per il ciclismo italiano. Gimondi era della generazione
precedente alla mia e la sua “era” ciclistica è stata in assoluto la più ricca
di campioni. Ha avuto grandi avversari: Gianni Motta, il principale antagonista
italiano, Bitossi, Adorni, Dancelli e Zilioli, oltre ovviamente agli stranieri,
i fratelli Petterson, De Vlaeminck e soprattutto il “cannibale” Eddy Merckx. Al
ciclismo ha dato tutto, ma credo che abbia ricevuto anche tanto”.
Così
Gianbattista Baronchelli ricorda Felice Gimondi il giorno dopo l’improvvisa
scomparsa del grande campione di ciclismo.
Lui,
il “Tista”, ha corso con Gimondi e con lui ha disputato in particolare il Giro d‘Italia
del ’76, il terzo vinto dal corridore bergamasco dopo quelli del ’67 e del ’69.
“Una
tappa arrivava a Bergamo - ricorda Baronchelli - e a 500 metri dall’arrivo sul Sentierone,
uno tra i più importanti vialoni di Bergamo, io ero a ruota di Merckx. Felice prese
la ruota migliore per poi andare a vincere. Voglio anche ricordare come nel ’77
il suo intervento da paciere fece rientrare una discussione molto accesa tra me
e Moser, un episodio per cui gli sarò sempre riconoscente”.
Sul murales dei campioni a Casa don Guanella la firma del "Tista". |
Ha
altri ricordi personali, “Gibì”, tra cui una discussione su una regola interna nello
svolgimento di un Circuito degli assi. “Per la gioia di tutti i partecipanti -
dice - vinsi io quella disputa”.
Poi
una serie di riflessioni: “Quando scompare una persona importante la risonanza
è tanta, ma rischiamo di dimenticare che la morte è un evento attraverso cui
tutti dovremo passare. Le circostanze così drammatiche della morte di Felice
dovrebbero piuttosto richiamarci a non farci trovare impreparati. La morte
fisica, per chi ha fede, è la porta che introduce nella vita vera, l’importante
è farsi trovare pronti. La morte è come un ladro che ti vuole rubare in casa,
ma se siamo preparati bene non ci deve spaventare. Io sono convinto che Felice
fosse preparato bene, come per le gare che ha corso in vita. E io pregherò per
la sua anima, per la moglie e le due figlie, che siano confortate dal fatto che
il loro caro ora riposa veramente in pace”.
E
ancora: “Nonostante abbia avuto il grande Eddy come avversario dall’inizio alla
fine della carriera, la sua convinzione, caparbietà, spirito di sacrificio e
dedizione hanno fatto sì che riuscisse comunque a realizzare i suoi sogni e i
sogni dei suoi tifosi, regalandosi e regalando la grande emozione di vincere
tutte le gare più importanti. Il Mondiale del ‘73 a Barcellona è stato un
capolavoro di forza e di astuzia, ma ha vinto anche tre Giri d’Italia, un Tour
de France, una Vuelta a España, nonché tutte le classiche più importanti: la Milano-Sanremo,
la Parigi-Roubaix, il Giro di Lombardia e il campionato italiano”.
Baronchelli con Gimondi all'inizio della salita delle Tre Cime di Lavaredo. |
C’è anche un legame… lecchese ad accomunare Gimondi e Baronchelli, entrambi grandi
amici di Casa don Guanella, di don Agostino Frasson e dei “suoi” ragazzi.
Gimondi
a visitare la comunità educativa di via Amendola c'era stato in due occasioni:
la prima volta nel 2012 poi ancora lo scorso anno, Baronchelli (professionista dal 1974
al 1989, un albo d’oro con più di 90 vittorie e un
indimenticabile secondo posto ai Mondiali su strada del 1980 alle spalle di
Bernard Hinault) era stato l’ospite d’onore di una cena solidale nel
febbraio 2016.
In
quell’occasione parlando della sua “conversione” aveva detto: “Auguro a
ciascuno di voi di provare quello che io ho vissuto, perché quando hai il
Signore hai tutto”. Per poi aggiungere: “Lui tante volte ci dà dei segni, ma
non sempre noi sappiamo coglierli”. E rivolto a chi lo ascoltava aveva detto ancora:
“La vera felicità è fare qualcosa per gli altri, perché ti eleva”.
Accanto
a lui c’era naturalmente don Agostino Frasson. “Il ciclismo si lega a quanto c’è
di spirituale in noi stessi - aveva sottolineato il sacerdote - e Dio non ci abbandona
mai. E non abbandona neppure chi non crede”.
Quindi altri ricordi di una carriera prestiogiosa. Fino a quella
che Gianbattista Baronchelli non aveva esitato a definire la sua più grande vittoria, la “conversione”.
“Quando si trova la strada giusta - aveva detto a Lecco il campione, nativo di
Ceresara in provincia di Mantova - non bisogna più perderla”.
“Io
credo che Felice la strada giusta l’aveva trovata”, ribadisce oggi parlando di
Gimondi. E sicuramente non l’ha mai smarrita.
Nessun commento:
Posta un commento