Il maltempo dell’altra
settimana ha letteralmente messo in ginocchio l’Alto Lario lecchese, l’Alta
Valsassina e la Val Chiavenna, mettendo
duramente alla prova per l’ennesima volta la viabilità in particolare proprio nella zona dell’Alto lago, dove i vigili
del fuoco sono dovuti
intervenire in seguito a
ripetuti allagamenti.
Sulla
Statale 36, all’altezza di Dervio, i canali di scolo si sono otturati
determinando pericolose pozze d’acqua sulla strada e anche a Colico le piogge
hanno creato allagamenti lungo via Nazionale.
La
situazione più critica ha riguardato come noto il corso del torrente Varrone e
i comuni di Premana, Pagnona, Casargo, Valvarrone, Vendrogno, Dervio e
Primaluna, oltre a Morterone, rimasto isolato per una frana sulla Provinciale
63.
Si
era poi resa necessaria l’evacuazione di numerosi residenti a Dervio (circa 600
persone ricoverate presso palestre e un villaggio turistico nei comuni di
Colico e Bellano) e a Primaluna, con oltre 200 persone ospitate presso la
locale scuola materna per l’esondazione dei torrenti Molina, Fuss e Noci
Valsassina.
Ecco
allora tornare prepotentemente d’attualità quanto scritto e pubblicato soltanto
poche settimane fa.
Oltre trent’anni dopo i Mondiali di sci dell’85
di Claudio
Redaelli
Erano
i primi anni Ottanta e la Valtellina si mobilitava per accogliere i campionati
del mondo di sci alpino che si sarebbero disputati nell’85 a Bormio e Santa
Caterina. A realizzare i manifesti simbolo di quell’evento sportivo di portata
internazionale fu l’artista Elvio Mainardi, che per l’occasione allestì anche
una grande mostra sul tema dello sci e fu onorato della visita di numerose alte
personalità dello sport, della politica e della cultura, oltre che dell’allora
arcivescovo di Milano cardinale Carlo Maria Martini.
Già
in quegli anni in quel vasto territorio che sul turismo poggiava le proprie
aspettative di riscatto socio-economico il collegamento ferroviario che unisce
la Valle al polo di Milano pareva essere rimasto indietro nel tempo di decenni.
A
far parlare del problema della linea ferroviaria Milano-Lecco-Sondrio fu,
all’epoca, una serie di deragliamenti di treni avvenuta a catena e riportata in
un dettagliato servizio apparso sul quotidiano L’Unità, specie nel tratto tra Dervio e Piona dove i binari
correvano (e corrono tuttora) a mezza costa sulla montagna che si affaccia
sulla parte più a nord del lago.
“Ogni
volta che un treno svia dai binari - scriveva il sottoscritto già in quegli
anni - non si corre soltanto il pericolo di disgrazie ma nascono pesantissimi
disagi per i viaggiatori, soprattutto per i pendolari, i lavoratori e gli
studenti, coloro che dalla Valtellina e dalla Valchiavenna scendono verso il
Lecchese o Milano utilizzando appunto i collegamenti ferroviari”.
C’era
poi il danno che la martoriata situazione della linea ferroviaria rischiava (e
la coniugazione del verbo al presente è purtroppo sempre attuale) di creare
all’andamento del turismo, già condizionato da un collegamento stradale
inefficiente e insufficiente qual è la strada statale 36.
In
quegli stessi anni i politici locali - e tra questi Contini, Gilardi e i
deputati dell’allora Pci - avevano sottoposto alla Regione Lombardia e al
Parlamento la necessità di provvedere a una programmazione futura della linea
ferroviaria per quanto riguardava le esigenze dei lavoratori e degli
imprenditori valtellinesi, alle quali si aggiungevano le aspettative della
città di Lecco e del suo territorio.
“E’
urgente che le Ferrovie dispongano il raddoppio tra Carnate e Calolzio -
scrivevo ancora in quegli anni - completando quindi il doppio binario tra
Milano e Lecco. E tra Lecco e Sondrio il problema dovrà essere risolto non
perdendo di vista l’esigenza di ristrutturare la linea attuale, soprattutto per
fornire maggiori garanzie di sicurezza e dare la possibilità ai treni di
percorrere le distanze a maggior velocità”.
E
ancora: “E’ giusto che le Ferrovie, il Governo e la Regione si impegnino per
affrontare e risolvere in tempi corretti questo problema che investe tutta la
Valle, tutta la provincia di Sondrio”.
Da
allora sono passati oltre trent’anni e, spiace dirlo, pressoché nulla è
cambiato, anzi qualcosa è addirittura peggiorato. Nessun raddoppio della linea
ferroviaria, stazioni e case cantoniere chiuse e cosa dire della situazione
della Statale 36 e della Provinciale 72? Meglio sarebbe stendere un velo
pietoso, anche alla luce di quanto accaduto di recente proprio sulla Ss 36, con
i disagi che si sono accompagnati alla caduta di alcuni massi nei pressi della
galleria di Lierna.
Eppure
ora la Valtellina torna a guardare alla possibilità che a questa stessa terra e
in particolare all’asse Milano-Cortina possano essere assegnati, dopo i
Mondiali dell’85, anche i Giochi olimpici invernali del 2026. In molti addetti
ai lavori - su tutti il sindaco di Bormio Roberto Volpato, l’amministratore
delegato di “Bormio Ski” Valeriano Giacomelli e Mario Cotelli, valtellinese, già
commissario tecnico della Nazionale italiana di sci alpino dal ’69 al ’78
(durante la sua gestione nacque l’epopea della “valanga azzurra”) - c’è
giustificato scetticismo e comprensibile prudenza di fronte a questa
prospettiva, proprio per i problemi legati allo stato di salute delle
infrastrutture e per la previsione di andare a realizzare nuovi impianti senza
un piano dettagliato della situazione viaria e ferroviaria del territorio.
La
Valtellina e l’Alto Lario lecchese non necessitano di imponenti strutture ma
piuttosto di un lungimirante progetto di investimenti proprio sulle strade e
sulla linea ferroviaria.
La
Statale 36 inaugurata a pochi giorni dall’apertura dei Mondiali dell’85 tra
l’entusiasmo generale di sportivi e giornalisti è oggi, come già detto e come
dimostrato da eventi franosi verificatisi nel corso degli anni, perennemente a rischio. Eppure tutti, o quasi, stanno a
guardare. Aspettando i Giochi del 2026, o forse più semplicemente la prossima
calamità.
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