Il rito funebre
celebrato nella frazione mandellese di Somana, presenti tanti, tantissimi amici
Enea Zucchi, classe 1964. |
di Claudio Bottagisi
Sulla
bara il suo cappello alpino, la sua fotografia e un cuscino di fiori
multicolori. Ai lati dell’altare, le penne nere. Dentro e fuori la chiesa di
Sant’Abbondio tanta gente, tanti amici e conoscenti di Enea Zucchi. A celebrare
il rito don Ambrogio Balatti, affiancato da don Massimo Rossi, parroco a Somana
fino al 2015.
Prima
della messa la corale parrocchiale intona il Signore delle cime e il celebrante invita a recuperare in questa
circostanza “tutta la spiritualità di cui siamo capaci, anche per meglio
comprendere il mistero della vita”.
Nella
frazione è il giorno dell’ultimo saluto a Enea, morto all’età di 54 anni. I
primi, a salutarlo, erano stati i coetanei del 1964, che ne avevano affidato il
ricordo all’annuncio funebre affisso sui muri di Mandello. “I tuoi coscritti ti
vogliono ricordare per come eri, matto al punto giusto ma con un grande cuore”.
Poi un rimpianto: “Te ne sei andato troppo presto”.
Enea, al centro, con i suoi cugini argentini. |
E’
personale anche il primo ricordo di don Ambrogio. “Quando ero arciprete a
Chiavenna - dice - vedevo giovanotti lavorare appesi alle pareti della montagna
per posizionare le reti paramassi. Uno di quei giovanotti era lui, perché poi
venne a trovarmi e me lo confermò. Mi rimasero impresse la sua energia e la sua
forte struttura. Era anche esuberante, Enea, e non aveva paura di affrontare le
difficoltà”.
“Quando
uno nasce e cresce con questo entusiasmo - aggiunge il sacerdote - è difficile
contenerlo, anche se poi i traguardi terreni non sempre possono soddisfare.
Dobbiamo allora trovare una risposta diversa alle esigenze della vita e per
farlo siamo chiamati a recuperare quella dimensione trascendentale che oggi
purtroppo stiamo perdendo”.
Quindi
altri riferimenti a Enea e alla sua morte: “Lui ci fa riflettere, perché lui si
è sempre buttato, a volte anche sbagliando. Ma era un generoso e non a caso
Gesù dice che c’è più gioia nel ricevere che nel donare. Torniamo allora a dare
importanza alla fede e alla preghiera, perché l’egoismo ci incattivisce e ci
indebolisce”.
La
preghiera, appunto. Prima che la celebrazione liturgica si concluda, una penna
nera legge quella dell’alpino e Elena, la compagna di Enea, affida il suo
saluto a un messaggio che è, insieme, appunto anche una bellissima e tenera
preghiera.
“A tutti coloro che amano, hanno amato e ameranno... Alle navi in
navigazione e ai porti di scavo, alla mia famiglia e a tutti gli amici e agli
estranei - dice - questo è un messaggio e una preghiera. Il messaggio è che i
miei viaggi mi hanno insegnato una grande verità: io ho già avuto quello che
tutti quanti cercano ma che soltanto pochi trovano, la sola persona al mondo
che ero destinata ad amare per sempre”.
Elena parla di Enea come di una persona “ricca di
semplici tesori, che si è fatta da sola e che da sola ha imparato”. E aggiunge,
con voce commossa: “Un porto in cui mi sento a casa per sempre e che nessun
vento, nessun problema potranno mai distruggere. La preghiera è che tutti al
mondo possano conoscere questo genere di amore ed essere da esso sanati. Se la
mia preghiera sarà ascoltata, saranno cancellati per sempre tutti i rimpianti e
tutte le colpe e avranno fine tutti i rancori”.
Il rito si conclude. La bara lascia la chiesa sorretta
a spalla dagli alpini. Fuori, sale alto un applauso. Poi il tragitto verso il
cimitero della frazione e la sepoltura.
Somana
non dimenticherà Enea. E a ricordarlo, nel giardino della casa dove lui è cresciuto,
sarà anche un ulivo donato alla famiglia dai suoi amici più stretti. E più
cari.
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