25 aprile 2019

Giulia Zucchi e la Resistenza. Quando scrisse: “Avevo tanta voglia di liberare l’Italia”


Giulia Zucchi con il presidente Sandro Pertini al Quirinale: è il 1983.

di Claudio Bottagisi
Ha combattuto in prima linea la lotta di Resistenza. Quante battaglie si ritrovano ripercorrendo la vita della mandellese Giulia Zucchi. E con quanta tenacia questa donna ha saputo poi diffondere gli ideali dell’azione partigiana e i valori che la ispirarono!

Era la fine degli anni Novanta quando “la Giulia” decise di raccontarsi attraverso le pagine di un diario tutto da sfogliare. Il diario della sua vita. Un percorso con tanti ostacoli, sempre superati con la determinazione e la volontà di chi non vuole accettare la sopraffazione. E l’ingiustizia.
Quella carezza sotto il mento con cui il presidente Sandro Pertini la congedò dopo averla ricevuta nel 1983 al Quirinale e la lettera che Enzo Tortora le scrisse prima di morire per denunciare “la buia notte della democrazia” che aveva avvolto il Paese erano rimaste scolpite nella memoria di Giulia Zucchi, che non esitava a definire l’8 settembre 1943 “la data più terribile e infame della storia d’Italia”.
Un gruppo di partigiani a Era in una foto del 1944.
Nel libro Giulia - Un duro percorso di vita da Somana a Poada dato alle stampe nel 1999 dall’Editoria grafica Colombo di Valmadrera la mandellese, classe 1922, ricorda vari episodi della lotta di Resistenza. Tra gli altri, questo: “Un giorno, mentre tornavo da Lecco con la borsa  carica di munizioni, sulla strada davanti all’ex caserma dei carabinieri mi fermò un fascista di Mandello. Cosa vuoi da me?, gli chiesi. Lui rispose: “Guardare nella tua borsa”. Allora io gli dissi: “Guardaci pure, mi sono recata a Lecco a fare un po’ di spesa”. Convinto dal mio atteggiamento sicuro, lui non guardò. Quel giorno presi un grande spavento e, arrivata vicino alla Moto Guzzi, scesi dalla bicicletta e per qualche minuto rimasi appoggiata al muro. Poi proseguii, arrivando fino a Somana”.
Il diploma d'onore al combattente per la libertà concesso a Giulia Zucchi nell'84.
Poi un altro episodio: “Nel marzo del ’44 fui mandata a Milano per ritirare delle armi che ci avevano procurato i Gap, i Gruppi di azione patriottica che ebbero grandissimo merito nella lotta partigiana. Dovevo recarmi a San Siro in via Pellizza da Volpedo… Caricai le armi in una valigia di dimensioni medie. Arrivata in piazza Castello un repubblichino in borghese fece scendere tutti perché il tram non proseguiva oltre. Si viveva nel terrore e nessuno protestò. Presi la mia valigia e mi incamminai verso piazza della Scala per riprendere il tram… All’imbocco di via Dante c’erano le macerie di un grande palazzo bombardato. E dalle macerie partirono raffiche di mitraglia. Erano i gappisti che attaccavano un corteo fascista… Io proseguii con la mia valigia. Avevo 22 anni e tanta voglia di liberare l’Italia. Ormai erano diventati 100 i compagni che mi aspettavano lassù a Era.”.
Il diploma assegnato a Giulia Zucchi per la sua attiva partecipazione alla lotta di Resistenza.
E ancora: “I cittadini mandellesi ci aiutarono molto, altrimenti non avremmo potuto resistere venti mesi in montagna. La nostra Brigata ha avuto il privilegio di ospitare uno dei partigiani più giovani d’Italia. Sua madre Fulvia Poletti, sorella del nostro comandante Lino Poletti, e suo padre Isidoro Mauri, antifascista di vecchia data, avevano portato con loro il figlio Franco, di soli 5 anni, per sfuggire alle rappresaglie fasciste. Quando di sera i partigiani scendevano da Era per fare delle azioni, al ritorno si fermavano a casa mia e io preparavo gnocchi di patate… Finito di mangiare, i partigiani si incamminavano nuovamente verso Era. Quasi tutti a piedi nudi, perché scarpe non ne avevamo… A Somana non si è mai visto, durante il periodo della resistenza, un tedesco o un fascista. Appena in paese si vedeva un volto nuovo, tutti erano in allarme. Quasi tutti avevano in montagna fratelli o parenti, così si stava sempre molto attenti. E fortunatamente è andata sempre bene”.
Nel libro-diario di Giulia Zucchi c’era quindi spazio per un intero capitolo dedicato a Giovanni e Giuseppe Poletti, arrestati mentre percorrevano la strada che portava a Molina. Giuseppe tentò la fuga che lo portò alla morte, Giovanni fu portato al comando tedesco a Molina, torturato e fucilato all’esterno del cimitero.
“Ci chiamavano banditi - scriveva la Giulia - ma in realtà i banditi erano loro”. Poi il racconto dell’attentato della Maiola dell’ottobre 1944 costato la vita a Battista Morganti (il Brachèt), Davide Gaddi e Adamo Gaddi, quest’ultimo morto nell’ambulatorio del dottor Stea dove era stato portato a causa delle gravissime ferite riportate nello scoppio.
Infine lo scioglimento della Brigata e i giorni della Liberazione. E una considerazione: “Purtroppo la vita ha il suo corso inevitabile e tutti gli anni qualcuno manca all’appello, ma la storia dobbiamo tenerla viva. Il ricordo deve restare anche per le giovani generazioni, per far sì che l’Italia rimanga sempre uno stato democratico e libero”.

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