L’operazione
“Eco degli abissi”, finalizzata a realizzare riprese terrestri e subacquee delle
fasi di collaudo del localizzatore di
profondità I 3, condotte dall’équipe
di “Mediacreative project” di Como e coordinate da Aristide Angelo Milani,
culminerà con l’appuntamento di giovedì 21 febbraio, con inizio alle ore 11,
nella sala riunioni della Canottieri Lecco.
I
risultati del collaudo, avvenuto nelle scorse settimane, hanno confermato ciò in cui il poliedrico
artista lecchese Aristide Angelo Milani da sempre aveva creduto, con la convinzione
che un giorno sarebbe riuscito a esaudire
il più ambizioso e tormentato dei suoi progetti, rispondendo all’aforisma che
sintetizza la sua filosofia di vivere il sogno,
anziché sognare di viverlo.
Milani
è insomma riuscito a “materializzare” un vero e proprio sogno, “non un’opera d’arte fine a se stessa”, sviluppando un discorso che si è rivelato
assolutamente credibile. Perseverando, questa volta, nel campo delle scienze e
delle tecniche, servendosi non unicamente dell’illuminazione ma, grazie alla
poesia, essendo uomo di grande fede, senza un pur minimo dispendio di energia,
è riuscito nel suo singolarissimo intento di raggiungere l’obiettivo che si era
prefissato, trasformando “la frequenza dell’onda ultrasonora in velocità”,
ovvero materializzando non soltanto il sogno ma pure l’energia ultrasonora dei sonar.
Ci si è dunque resi conto che il suo “Eco degli abissi”
è virtualmente “il mezzo di ricerca
subacqueo fondato sulla sublimazione della frequenza dell’onda ultrasonora”.
Una
sensazionale scoperta, realizzata in uno spazio temporale di ben 65 anni, grazie all’amore e alla
passione per tutto ciò che il poeta
tocca con mano.
La
storia dell’“Eco degli abissi” culmina proprio nel 65.mo anniversario della sua
nascita, quasi si trattasse di una creatura umana.
“Dobbiamo ricondurci al 1954 per trovare il bandolo
della matassa che porta a questo
enigmatico “Eco degli abissi” - spiega Aristide Milani - E’ appunto nell’aprile
di quell’anno che, in una marmitta dello
scappamento di una Lancia Ardea ritrovata presso un cumulo di rottami alla concessionaria
del Lazzaretto, ravvisai il batiscafo,
un po’ diverso da quello da sempre sognato e che un giorno avrei
desiderato pilotare, come
Geppetto, del resto, da un pezzo di legno da ardere creò il suo ben noto burattino”.
Ecco
ora lo stralcio di una sua poesia tratta dal libro Sonar book c.v.d. del 2017: “Ma che più caldeggiavo era il sogno
di poter coronare l’ideale di abitare in un bel batiscafo nel ventre
cupo del lago incantato, assorto
a sentire le eco abissali delle ninfe che vegliano i laghi”.
Prodigandosi,
dopo averla riprogettata, a trasformarla in un vero e proprio batiscafo, fornendolo
di una cabina originata da una scatola della serratura di una porta con inserito
un legno merlettato, della batisfera-deriva,
originata dal pomolo sempre di una porta, riempita di pallettoni e pochi giorni
dopo essersi dilettato a vederlo affondare nel lago zavorrato con olio minerale
di scarto, un mattino si svegliò folgorato dalla geniale idea di dotarlo di
autonomia funzionale. A opera ultimata,
Milani celebrò il varo del suo gingillo
ai piedi del molo della gru al Lazzaretto, battezzandolo per l’occasione con il provvidenziale nome di “Eco degli abissi”.
Raggiunto
l’obiettivo dell’autonomia, il batiscafo-marmitta
venne immediatamente collaudato, dopo aver fatto saldare ai fianchi due chiavette (del perno della pedivella
della bici) a mo’ di ganci per poter appoggiare, con l’ausilio di un collarino in filo di ferro malleabile, le
zavorre in pietra o in marmo di cui era
costellata allora la riva del Lazzaretto, permettendo così al mezzo di inabissarsi fino a scaricare
le zavorre con l’urto sul fondo e ritornare in superficie. Il tutto in assoluta autonomia!
“Rammento a questo proposito - racconta Milani - che le aspettative
marinaresche mi avevano così tanto infervorato da indurmi a passeggiare
sempre con il copricapo da
marinaio e non solo, ma a convivere pure con il sommergibile giocattolo sul comodino a mo’ di… reliquia.
Superando ogni limite di eccessi quando,
sempre nel ’54, mi sentivo morire dalla voglia di iscrivermi all’Accademia Navale di Livorno, non appena compiuti i miei
attesissimi 14 anni”.
“Il
motivo scatenante - aggiunge - era dovuto
unicamente al fatto di voler vivere sulla Amerigo Vespucci, la nave più bella del mondo. Avventura, mio malgrado, non andata a buon fine per il
diniego dei miei genitori. Già
alcuni anni prima desideravo vivere racchiuso in un batiscafo sul fondo del
lago e mi facevo chiamare dai
miei soldati della banda di
quartiere, capitan Ned Land, ispirandomi
a un personaggio del libro di Verne. E ancor prima, proprio da bambino, esprimevo sovente il desiderio che
da grande mi sarei sposato con una genovese, logicamente per stabilirmi a Genova accanto al suo porto
gagliardo”.
“Arrivavo al punto di telefonare alle sale
cinematografiche - osserva sempre Aristide Milani - per chiedere se era in programmazione qualche film sui
sommergibili. Tesi avvalorata comunque, questa dell’amore sviscerato per la Marina, sia
subacquea sia di superficie, per il fatto di essermi dilettato, dai 13
ai 18 anni, a bordo della mia barca
a guscio a immergere il mio superbo “Eco degli abissi”nelle verdi acque del lago che mi diede i natali, alla luce del
sole o al chiaro di luna, avendo dotato di una pila a stilo il mio gingillo e acquisendo così, non a caso, lo pseudonimo di professor Piccard dall’amico Giorgio
Mazza, pontiere”.
Ecco
allora un altro significativo stralcio poetico del libro già menzionato: “Mai scorderò le stagioni vissute con l’“Eco
degli abissi” argentato, sorto
da una marmitta ritrovata, pensata tale e quale a Geppetto che da un legno da ardere creò il figliolo, come
da un rottame io creai un tesoro, in un contesto diverso dal sogno, così per
non più pilotarlo a bordo ma trattenendolo nelle mani con l’intento di gratificarlo”.
Ora
Aristide Milani si ritrova, in questo 65° anniversario della nascita dell’ “Eco
degli abissi” e in coincidenza con il 500.mo anniversario della scomparsa del
poliedrico Leonardo da Vinci, ancora coinvolto nella stessa avventura.
Una
vera e propria carica potenziale che ha subìto un’incubazione lunga 65 anni,
come detto, prima che esplodesse.
Recarsi
a bordo di un natante nel punto del lago dove si desidera conoscere la profondità,
immergere l’“Eco degli abissi” con le zavorre in dotazione cronometrando il
tempo
fino alla sua emersione. Moltiplicare il tempo registrato
per la velocità caratteristica, quantificata in 1,5 m/secondo. Il prodotto
ottenuto, diviso per 2, corrisponderà alla quota del fondale in metri richiesta.
A
conclusione di questa infinita
avventura umana è doveroso affermare che il rinato “Eco degli abissi”, pur assoggettandosi alle ragioni della
scienza, della tecnica e dell’arte improntata al design, non potrà mai essere
citato come bene strumentale, ma essendo stato progettato e realizzato in
cristallo acrilico e per la possibilità di “delocalizzare o non delocalizzare”
(contrariamente all’evoluto sonar) verrà traslato in un nuovo ordine definito
per l’occasione con il termine “Opera Paradoxart”.
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